Tre cose da sapere sulle elezioni in Catalogna
L'eterogeneità politica dei partiti catalanisti, le radici dell'indipendentismo, le prospettive politiche: ecco che cosa potrebbe accadere ora
L'intenzione di Arthur Mas, il battagliero governatore della Catalogna che ha trasformato le elezioni regionali in un referendum sulla secessione, è di arrivare alla separazione da Madrid entro il 2017. Incassato il risultato elettorale che ha conferito alle forze secessioniste una maggioranza dei seggi, dovrà però prima formare un governo indipendentista che, giocoforza, dovrà reggersi sull'innaturale alleanza tra i catalanisti centristi eredi di Jordi Pujol e le formazioni indipendentiste di sinistra o di estrema sinistra, uscite rafforzate da quest'ultima prova elettorale. Ma quali sono le caratteristiche storiche e culturali dell'indipendentismo catalano? E quali i partiti che spingono per la secessione?
La natura eterogenea dei partiti catalanisti
Un nazionalista spagnolo a Madrid espone un cartello contro il governatore catalanoDenys DOYLE/GETTY IMAGESLa piattaforma degli indipendentisti uscita vittoriosa dalle elezioni regionali è in realtà più divisa, al proprio interno, di quanto si creda. È vero che le due liste separatiste, Junts Pel Sìdel governatore Arthur Mas (62 seggi) e quella rappresentata dallla Candidatura d'Unitat Popular (10) di Antonio Baños, hanno raggiunto una maggioranza assoluta di 72 seggi su 135 nel nuovo parlamento catalano, ma il punto di contatto tra le due liste, l'indipendenza dalla Spagna, non significa che non vi siano profonde e diverse sensibilità sui mezzi attraverso cui conseguirla, né divergenze politiche-economiche molto forti. Juntus Pel Sì, il cartello elettorale catalanista che ha ottenuto il 39,55 dei voti, nasce infatti per volontà del governatore Mas come risposta alla bocciatura della legittimità del referendum indipendentista emessa a fine 2014 dalla Corte costituzionale spagnola. Junts Pel Sì- laddove il Sì sta per Sì all'indipendenza - nasce dalla confluenza organizzativa tra i centristi moderati di Convergencia Democrática de Cataluña (CDC), eredi di Pujol e sostenuti dal governatore Mas, e la storica formazione indipendentista e di sinistra chiamata Esquerra Republicana de Catalunya, un partito che partecipò alla resistenza antifranchista negli anni 30 e 40. La Candidatura d'Unitat Popular (CUP) di Antonio Baños, che ha ottenuto 10 seggi e l'8,21 dei suffragi, è invece una formazione indipendentista e movimentista relativamente recente che propugna la democrazia diretta e, più in generale, si batte per una Catalogna, recita il suo programma elettorale, indipendente, socialista ed ecologicamente sostenibile. Un cartello politicamente disomogeneo (Juntus perl Sì) e un partito di estrema sinistra (CUP) poco compatibile con il governo, dunque. A rendere complesso il quadro, in vista del braccio di ferro tra Madrid e Barcellona, c'è anche, oltre alla deblacle degli storici partiti spagnoli, l'affermazione di Catalunya Sí que es Pot che, nata dalla confluenza tra i radicali di Podemos e i Verdi, con l'8% dei voti conquista 11 seggi, non associabili - nonostante la freddezza di Pablo Iglesias sui temi del separatismo - al nazionalismo spagnolo.
Le radici storiche dell'indipendentismo catalano
Una manifestazione a Barcellona durante l'assedio franchista degli anni 30 GETTY IMAGESLe radici profonde dell'indipendentismo catalano affondano nella storia della penisola iberica, ma è solo a metà 800 che si comincia a cristalizzare un sentimento nazionale moderno, basato su una cultura e una lingua radicalemnte differente da quello che vige in Castiglia. Il vero e proprio atto di esordio del catalanismo politico può essere datato 1907, quando per la prima volta stravinse, con il 67% dei voti, a Barcellona un cartello elettorale catalanista chiamato Solidaritat Catalana, nato dalla confluenza tra la Lliga Regionalista di Prat de La Riba, di ideologia nazionalista e borghese, e Solidariedad Obrera, un partito che raccoglieva le istanze operaie. Quello che è accaduto ieri, con il trionfo delle forze secessioniste di centro e di sinistra, è in qualche modo una riedizione di quanto accaduto allora, il segno distintivo di un indipendentismo catalano che nasce su basi interclassiste e si è sempre nutrito, negli ultimi decenni, del mito della resistenza popolare contro le truppe golpiste del generale Francisco Franco. La sanguinosa repressione scatenata da Franco dopo la sconfitta delle forze repubblicane, con la conseguente abolizione d'imperio della lingua catalana e delle autonomie regionali, ha sedimentato, fino a oggi, un sentimento di diffidenza e orgoglio contro lo Stato centralista spagnolo molto diffuso a livello popolare, nonostante la forte autonomia, amministrativa, linguistica e anche fiscale, di cui gode oggi la Catalogna, probabilmente la regione economicamente più ricca e vivace di tutta la penisola iberica.
Le prospettive dell'indipendentismo catalano
Il leader del CUP, Banos, formazione di estrema sinistra catalanista, uscita vittoriosa dalle elezioniGETTY IMAGESNonostante la netta affermazione dei partiti separatisti, non bisogna dimenticare che - fosse stato un referendum - la maggioranza degli elettori non avrebbe votato per il Sì, essendosi fermato il fronte che si batte per l'indipendenza al 48% dei voti espressi in quest'ultima consultazione amministrativa. C'è, per Arthur Mas, il popolare governatore della Catalogna, un problema politico immediato che è quello di riuscire a formare una maggioranza indipendentista traJuntus pel Sì e Cup (sinistra movimentista), che concordi tutti i passaggi normativi dell'eventuale separazione dalla Spagna e trovi immediatamente un accordo sul nome del governatore, sul quale sono già cominciate le discussioni tra i due partiti. Nell'eventualità che la Catalogna si autoproclami indipendente, la Spagna perderebbe il 16% della propria popolazione (7,5 milioni di abitanti), un quarto delle esportazioni, un quinto dell'intera produzione economica iberica e centinaia di chilometri di coste strategiche sul Mediterraneo. Ma allo stesso tempo la Catalogna sarebbe automaticamente fuori dall'Unione europea, alla quale dovrebbe fare domanda di associazione, come sarebbe toccato alla Scozia lo scorso 18 settembre se avesse vinto il referendum sulla rottura con Londra. Ad oggi, essendo semplici elezioni amministrative, non ci sono le condizioni giuridiche perché possa avvenire senza un atto di forza che potrebbe produrre pesanti ricadute sia a livello interno che internazionale.