Trump e Macron, la strana coppia alla guida dell'occidente
Tra forma e sostanza, la visita dei Macron a Washington è la fotografia del mondo attuale. Come piacerebbe che fosse e com’è davvero
Donald Trump ed Emmanuel Macron non potrebbero essere personaggi più diversi, eppure la loro intesa sembra funzionare. C’è chimica, si potrebbe dire, se non fosse una battuta di cattivo gusto viste le recenti crisi internazionali. Ma soprattutto c’è un interrogativo: cosa è forma e cosa è sostanza in quest’affinità elettiva tra i due presidenti?
Già, le forme. Una volta gli storici parlavano di rivoluzioni atlantiche, perché tanto quella americana quanto quella francese sono state toccate dal medesimo oceano. Oggi invece si parla di eleganza atlantica, per Brigitte e per Melania, in una gara di stile dove entrambe riescono nel non facile compito di primeggiare senza voler vincere a tutti i costi.
Intanto gli uomini parlano d’affari. In questo caso le forme sono solo apparenza, incapaci di andare oltre al galateo da protocollo o al dibattito sui centimetri delle gonne al ginocchio.
Questa mentalità nuoce più al giovane Macron che non al vecchio Trump, ma a ben guardare il Macron modello primavera-estate 2018 (liberista in economia, atlantista e interventista in politica estera) è il ritratto di un neo gollista senza i vincoli di un partito gollista a cui rendere conto e con un Assemblea Nazionale amica fedele.
Macron ha voluto dimostrarsi amico di Trump sin dal suo insediamento all’Eliseo. In sede NATO ci fu la celebre stretta di mano virile, poi l’idillio della parata militare a Parigi che convinse Trump ad averne una uguale a Washington, e infine il raid missilistico sulla Siria per punire la guerra chimica di Damasco.
Tutti preamboli al piatto forte, per venire alla sostanza, e cioè l’Iran. La Francia condivide la linea dell’Amministrazione Trump: negare qualsiasi possibilità che Teheran possa giungere alla bomba atomica. Essendo meno “lealista del re”, e il re dell’Occidente repubblicano è Trump, Macron vuole procedere per gradi invece di stracciare l’accordo e quindi legittimare l’Iran a riprendere i suoi piani.
Siccome nel linguaggio diplomatico parlare significa offrire, Teheran per ora osserva le mosse di questa strana coppia della diplomazia atlantica, e a sua volta non risparmia minacce.
Dopo il recente discorso a tutto campo all’Europa, Macron si è rivolto al Congresso americano per un discorso sui massimi sistemi. La sua candidatura a “eroe dei due mondi” è proporzionale all’autostima e a una visione della Francia come Paese faro della diplomazia, tanto da contendere al Regno Unito il posto alla destra del campione dell’Occidente, che Trump o non Trump, erano e saranno sempre gli Stati Uniti.
Macron tuttavia ha il merito di trasformare la forma in sostanza avendo tenuto tutto il discorso in inglese. Dimostra così di essere un leader moderno che ha familiarità con altri idiomi e rinuncia all’orgoglio nazionale della lingua francese, ora ancella dell’inglese come lingua veicolare mondiale.
Macron non smussa nemmeno, di fronte al Congresso, le differenze dal Trump pensiero: sì al multilateralismo, no a guerre commerciali, sì alla difesa dell’Ambiente. Per il resto, rimane nel solco di una feconda amicizia atlantica che dalle due rivoluzioni del Settecento, passando per De Gaulle, arriva intatta a oggi.
A Trump, dal canto suo, non sembra vero di ottenere credito e stima da parte del non plus ultra della politica europea, come può essere uno “stiloso” Presidente francese, giovane, preparato, largamente votato dagli elettori e paladino dell’Occidente.
Se Parigi è il salotto buono della politica mondiale, Trump grazie a Macron può ben dire di esserne ammesso a pieno titolo. E anche questa non è forma, ma sostanza.