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Trump e il G7: il bullo che vuole destabilizzare il mondo

Il presidente, da re dei sovranisti, ha sconfessato il summit con un tweet e ha spostato le attenzioni sull'incontro con Kim Yong-Un

Difficile credere nello scatto di rabbia. C’è premeditazione nel tweet di Donald Trump che fa decollare l’Air Force One verso Singapore e schiantare il G7 verso il ridicolo dichiarando di non voler firmare nessun comunicato congiunto con gli altri leader europei per tenere insieme una politica sui dazi che eviti la guerra commerciale da tutti temuta.
Come sempre, con Trump, è questione di prospettiva. Se voleva mandare un messaggio chiaro alla diplomazia vecchia maniera, ai vertici elitari, c’è riuscito ancora una volta.

Il tentativo di Emmanuel Macron di metterla sul piano del temperamento non convince. Definire il padrone di casa Justin Trudeau, come ha fatto Trump, un "traditore" non ha bisogno di esegesi. Anche le parole con le quali il Presidente USA ritira la firma da documento finale non hanno bisogno di essere interpretate. Se per i sei leader rimasti con un cerino in mano a testa la firma messa da Trump è valida, per lui non lo è più. E tanto basta. D’altronde, per gli affari esteri, non esiste la carta bollata.

Perché lo ha fatto

La mossa “social” di Trump è molto efficace dal punto di vista tattico, perché il tweet è stato scagliato al momento giusto, cioè alla vigilia di un summit, quello con Kim Jong-un, che per importanza sovrasta addirittura il già importantissimo G7 canadese.

Trump insomma non lascia tempo ai bersagli del suo tweet che già il mondo guarda dall’altra parte, perché ora gli occhi del pianeta sono ovviamente puntati su Singapore. Qualsiasi vittimismo da parte dei partner G7 risulterebbe a questo punto sì giustificato, ma anche inutile; Trump e la potenza americana, questo è il messaggio implicito nel tweet, pensano già a un altro dossier.

Qual è la strategia

Non è plausibile illudersi che l’uscita di Trump sia l’inizio della campagna elettorale per le elezioni di Mid Term del novembre prossimo. Nella mentalità politica, e nella psicologia, del Presidente alle elezioni di medio termine manca un secolo: tante cose possono succedere e nulla in grado di preoccuparlo sul serio.
La strategia è invece quella di affermare, non solo nelle politiche commerciali, ma anche nello stile diplomatico, una cesura netta col passato. Il "Make America Great Again" si realizza in un multilateralismo sbrigativo, insolente e financo brutale che, in fin dei conti, raggiunge lo scopo. Che questo scopo destabilizzi, o come dice Berlino “distrugga la credibilità del G7” è un altro discorso.

Cos aspettarsi ora

A giudicare dalle reazioni, tutto sommato educate e prudenti, di Germania, Francia e del diretto interessato Trudeau, Trump ha azzeccato l’ennesimo azzardo. Cioè ha dato prova di poter gettare impunemente il guanto di sfida e vedersi recapitare, invece della visita dei padrini per un duello diplomatico, un invito alla ragionevolezza. Ma The Donald è istinto, irruenza e segue una sola regola: quella che di non riconoscerne alcuna.

Mai come oggi l’espressione Vecchio Mondo per disegnare l’Europa attonita di fronte al voltafaccia americano sembra azzeccata. Il giovane leader canadese, se non vuole apparire indietro di una marcia o due, è bene che si metta al passo. Trump ha dimostrato un dinamismo superiore a tutti gli altri leader, e con un tweet falloso e provocatorio, da Re assoluto dei sovranisti, ha avvicinato l’inavvicinabile salotto del G7 alla platea globale, e un po’ rozza, dei social. Questo gesto è rivoluzionario, per lessico politico (o analfabetismo, ognuno la veda come vuole), ma è certo denso di rischi.

Dimostra però che con Trump, tranne Vladimir Putin, nessuno è ancora riuscito a prendere “le misure” e un round dopo l’altro è sempre The Donald quello a uscire meno malconcio dalla lotta. Adesso tutti in poltrona, a partire dai sei comprimari reduci dal G7: Trump vs Kim sta per iniziare.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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