Turchia di Erdogan: democrazia e diritti umani dal golpe a oggi
Giorno per giorno, come sta evolvendo la situazione in un Paese che vede democrazia e libertà d'opinione messe sempre più a rischio
Più ci si allontana da quel fatidico 15 luglio 2016, giorno del fallito golpe in Turchia, più nel Paese viene oscurata la democrazia in un continuo susseguirsi di arresti e inchieste avviate dal governo Erdogan. Al punto da superare (e di molto) i numeri indicati da Amnesty International nel promuovere la petizione per il rispetto dei diritti umani in Turchia già poche settimane dopo l'inizio della repressione contro gli oppositori politici (o presunti tali) del presidente turco.
Secondo le stime di fine 2016, infatti, le autorità turche hanno arrestato 40.000 persone sospettate di aver preso parte al fallito golpe, mentre 100 mila tra dipendenti pubblici e militari sono stati sospesi o licenziati perché ritenuti seguaci dell'imam Fethullah Gulen, considerato da Erdogan la mente del colpo di Stato.
Di seguito, ecco il punto sempre aggiornato della situazione in Turchia, la cui richiesta di adesione all'UE è stata tra l'altro congelata da Bruxelles proprio per il clima instauratosi nel Paese dopo l'introduzione della legge speciale che ha sospeso i diritti umani.
7 febbraio 2017
La deputata del partito filo-curdo Hdp in Turchia, Dilek Ocalan, nipote del leader del Pkk in prigione Abdullah "Apo" Ocalan, è stata fermata nel pomeriggio dalla polizia turca all'aeroporto Ataturk di Istanbul, da cui era in partenza per Milano, dove era attesa a una manifestazione per chiedere la liberazione dello stesso "Apo" alla vigilia del 18° anniversario del suo arresto. Ne ha dato notizia sul suo profilo Twitter la stessa deputata, che secondo l'agenzia filo-curda Firat sarebbe stata fermata per non essersi presentata spontaneamente a testimoniare davanti ai magistrati di Sanliurfa, nel sud-est del Paese, dov'è sotto inchiesta con l'accusa di "propaganda terroristica" a favore del Pkk. Attualmente sono 11 i deputati dell'Hdp, compresi i leader Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, che risultano detenuti nelle carceri della Turchia.
27 gennaio 2017
Al termine di una missione di indagine di una settimana nel Paese, è stato lanciato dall'organizzazione Pen International un appello di premi Nobel e altri scrittori di fama mondiale contro la repressione degli intellettuali nella Turchia di Erdogan dopo il fallito golpe del 15 luglio. Nel documento, sottoscritto tra gli altri da Mario Vargas Llosa, J.M. Coetzee ed Elfriede Jelinek, si può leggere: "Vi scriviamo per farvi sapere che non siete soli. Vi scriviamo per dirvi che non resteremo pigri nel vostro momento del bisogno. Non resteremo in silenzio mentre i diritti umani vengono violati. Alzeremo la nostra voce a livello globale contro ogni tentativo di mettere a tacere le vostre". I delegati della Pen International, che durante la missione hanno incontrato esponenti del mondo della cultura e del giornalismo e rappresentanti della politica e della società civile, hanno inoltre voluto sottolineare che al momento "ci sono quasi 150 scrittori e giornalisti in prigione in Turchia, il che la rende la più grande galera per giornalisti nel mondo, sorpassando Cina, Eritrea ed Egitto".
10 gennaio 2017
Intervistato dalla Cnn Turk, il ministro del Lavoro Mehmet Muezzinoglu ha rivelato che sono 135.356 le persone licenziate o sospese dalle pubbliche amministrazioni in Turchia dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio, perché sospettate di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen. Lo stesso ministro ha poi affermato che più di 41 mila persone sono state inoltre arrestate con l'accusa di aver supportato a vario titolo il tentativo di colpo di Stato.
5 gennaio 2017
Il gruppo Dogan, che controlla una parte dei media turchi, è finito al centro dell'inchiesta scaturita dal golpe fallito dello scorso 15 luglio. Questa mattina la polizia ha effettuato un blitz presso gli uffici e le abitazioni del consigliere legale del gruppo, Erem Turgut Yucel, e dell'ex direttore esecutivo Yahya Uzdiyen, che si trovano ora in stato di arresto. La holding ha emesso un comunicato con cui conferma le misure decise dalla polizia e dichiara che le attività del gruppo vanno avanti, nonostante il procedere dell'inchiesta, che accusa il gruppo Dogan di avere legami con Fetullah Gulen, l'imam considerato da Erdogan la mente del fallito colpo di Stato.
3 gennaio 2017
Il noto stilista turco Barbaros Sansal, noto nel Paese anche per il sostegno alle campagne lgbt, è stato messo in carcere preventivo dopo essere stato aggredito da un gruppo di nazionalisti all'aeroporto Ataturk di Istanbul, dove era sbarcato dopo essere stato espulso da Cipro Nord su richiesta del governo Erdogan per un video pubblicato sui social network e giudicato "offensivo" dopo la strage di Capodanno. Secondo l'agenzia Dogan, la polizia avrebbe fermato gli aggressori solo dopo che avevano picchiato lo stilista, causandogli diverse ferite. Nel messaggio "incriminato", Sansal parlava della corruzione politica nel partito di maggioranza Akp, dei numerosi giornalisti recentemente arrestati dalle autorità turche e del problema del maltrattamento alle donne nel suo Paese, criticando al contempo i gruppi islamisti che inneggiavano contro i festeggiamenti di Capodanno.
29 dicembre 2016
La polizia turca ha arrestato il noto giornalista investigativo e scrittore, Ahmet Sik, con l'accusa di "vilipendio dello Stato, delle sue forze di polizia e di quelle militari", e di aver fatto "propaganda terrorista su Twitter". Ahmet Sık, che nel 2014 ha ricevuto il premio mondiale Unesco "Guillermo Cano" per la Libertà di Stampa, era già finito in carcere nel 2011 per aver scritto un libro ("L'esercito dell'Imam", bloccato prima dell'uscita nelle librerie turche) estremamente critico sull'organizzazione del predicatore esule in Usa, Fethullah Gulen, un tempo alleato del presidente Erdogan e oggi considerato il suo nemico n°1, oltre che mente del fallito golpe.
Negli ultimi sei mesi sono state arrestate in Turchia oltre 1.600 persone per aver pubblicato sui social media messaggi ritenuti dalle autorità "offensive delle istituzioni", mentre secondo la Piattaforma di appoggio ai
giornalisti arrestati attualmente ci sono 128 professionisti in carcere o in prigione preventiva in Turchia, quasi la metà dei quali per accuse legate al fatto di appartenere all'impero mediatico creato proprio da Fethullah Gulen.
27 dicembre 2016
Al via a Istanbul il processo che vede sul banco degli imputati 29 ex-agenti di polizia turchi accusati di coinvolgimento nel tentato golpe del 15 luglio scorso per aver rifiutato di obbedire agli ordini. Per 21 di loro i procuratori hanno chiesto l'ergastolo per “tentato colpo di Stato", mentre altri 8 rischiano 15 anni di carcere per "adesione a un'organizzazione terroristica".
26 dicembre 2016
L'antiterrorismo turco ha arrestato ad Ankara una vicepresidente del Partito democratico del popolo (HDP) filo-curdo, Aysel Tugluk, insieme ad altri otto membri del partito, tutti accusati di legami con la guerriglia curda del PKK. Lo riferisce l'agenzia Anadolu, aggiungendo che gli arrestati sono stati prelevati dalle loro abitazioni e Tugluk (deputata dal 2011 al 2015) è stata inviata a Diyarbakir, città nel sud-est del Paese, la cui procura aveva emesso il mandato d'arresto, nell'ambito di una indagine sul Congresso della società democratica (DTK), un movimento sociale vicino all'HDP, di cui la politica è stata presidente. Tra gli altri otto arrestati figurano un altro ex-funzionario del DTK e un dirigente provinciale dell'HDP a Diyarbakir.
25 dicembre 2016
Secondo dati forniti dallo stesso ministero dell’Interno turco, dal tentato golpe dello scorso 15 luglio a oggi oltre 10 mila persone sono state messe sotto inchiesta per aver postato “frasi anti-governative” su Facebook, Twitter e YouTube. Al proposito il quotidiano Sozcu, uno dei tre rimasti fuori dal controllo di Erdogan, riferisce che in questo momento ci sono 3.710 persone sotto custodia cautelare e altre 1.656 arrestate per accuse che riguardano la loro attività sui social, il cui accesso risulta tra l'altro comunemente bloccato in Turchia, anche se il governo di Ankara smentisce.
24 dicembre 2016
Senol Buran, cuoco della mensa del quotidiano d'opposizione Cumhuriyet(tra i pochi ancora aperti), è stato arrestato per oltraggio al capo dello Stato perché - riferendosi a Erdogan - ha detto a un agente durante un alterco "A quell'uomo non servirei neanche una tazza di tè!". A quanto pare l'invettiva di Buran è stata scatenata dal fatto che l'uomo si era trovato sbarrata la strada dalle forze di sicurezza perché il presidente stava tenendo un discorso pubblico in quella zona. Il quotidiano ha provato a difendere il suo cuoco, sostenendo che lo sfogo non era certo un insulto al presidente, ma per ora senza alcun risultato.
2 dicembre 2016
Rispondendo a un'interrogazione parlamentare di una deputata del partito filo-curdo Hdp, il ministro della Giustizia Bekir Bozdag ha serenamente dichiarato che "è impossibile determinare il numero di giornalisti attualmente detenuti nelle prigioni turche".
Secondo la sezione di Istanbul della Piattaforma per il giornalismo indipendente (P24), i giornalisti turchi in carcere sarebbero però attualmente 146, mentre la Federazione europea dei giornalisti (EFJ) parla di 121: numeri che, se confermati, darebbero alla Turchia il poco onorevole record mondiale di cronisti tenuti dietro le sbarre per motivi collegati alla loro professione. E numeri ai quali va aggiunto quello (invece certo) dei media chiusi dal 15 luglio a oggi: 176, tra cui 12 stazioni televisive.