Turchia, la piazza a sostegno di Erdogan
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Turchia: tutti i numeri della repressione

L'ultimo blitz all'università, con oltre 100 arresti, che si sommano ai 30 mila insegnanti epurati, 20 mila soldati arrestati, 130 media chiusi

Le indagini scaturite in Turchia in seguito al fallito golpe del 15 2016 hanno colpito anche le università. 62 mandati di arresto sono stati emessi nei confronti di assistenti e insegnanti della Istanbul University. Nel periodo di luglio seguito al golpe ben 95 accademici della medesima università sono stati sospesi, lo scorso 25 luglio altri 31 insegnanti sono stati colpiti da provvedimenti di custodia. Altri 84 mandati di arresto sono stati invece emessi nei confronti di accademici dell'università di Konya, nell'Anatolia centrale. E sempre oggi una corte di Ankara ha ordinato l'arresto di 19 impiegati della Tv di stato turca Trt.

- PER APPROFONDIRE: Fethullah Gulen, da amico a nemico di Erdogan

La polizia turca il 16 agosto è entrata nella sede di 44 aziende di Istanbul per eseguire 120 ordini di arresto di dirigenti sospettati di legami con la rete del predicatore Fethullah Gulen, considerato da Ankara il regista del fallito golpe del 15 luglio.

I raid sono scattati nei distretti Uskudar e Umraniye, nel lato asiatico della città. Le aziende, i cui nomi non sono stati diffusi, avrebbero garantito finanziamenti al movimento di Gulen.

Tutti i numeri della repressione
Eccole le cifre della repressione turca dopo il tentato golpe del 15 luglio. 30 mila insegnanti epurati. 20 mila soldati arrestati e 1.684 congedati: 149 tra generali e ammiragli, 87 generali, 256 ufficiali, nella Marina 32 ammiragli, 59 ufficiali e 63 funzionari, in Aeronautica 30 generali, 314 funzionari e 117 ufficiali. Il 20% dei giudici sospesi. 130 media chiusi perchè accusati di far parte della struttura parallela del magnate e imam Fetullah Gulen, ritenuto la mente del tentato golpe di stato del 15 luglio. Nello specifico si tratta di 3 agenzie, 16 canali televisivi, 23 radio, 45 quotidiani, 15 riviste e 29 case editrici. Di più: 88 diplomatici rimossi. E infine: 98 dipendenti, tra medici e infermieri e amministrativi, dell'ospedale militare di Ankara arrestati.

Amnesty Italia: il colpo di stato è riuscito
Non ha dubbi, Riccardo Nouri, portavoce di Amnesty Italia: "La situazione assomiglia paradossalmente oggi in Turchia a un colpo di stato riuscito più che sventato. La repressione scatenata dal governo dopo il putch militare è molto amplia, secondo quanto ci raccontano le nostre fonti, fino a interessare gruppi della società civile che chiaramente non hanno avuto alcun ruolo nella pianificazione o nell'esecuzione del colpo di Stato militare. Ma quello che sta accadendo oggi parte da lontano, almeno dal 2015, quando la Turchia ha cominciato a essere attraversata da sanguinosi attentati e profonde ondate repressive. La verità oggi è che siamo già ben oltre la necessità di indagare su un fatto grave come il golpe e punire i colpevoli".

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Epurazioni, licenziamenti, arresti di massa in tutti i settori, dalla scuola all'esercito. C'è chi avanza l'ipotesi che la black list dei nemici del governo fosse da mesi già pronta e sul tavolo del presidente. 
Il buon senso ci dice due cose. La prima: ci vorrebbe una macchina organizzativa perfetta per produrre in poche ore delle liste di proscrizione di decine di migliaia di persone e procedere ad arresti e retata di massa, epurazioni e licenziamenti in tutti i settori della società turca. Sì, il fatto che ci fossero queste liste pronte ben del golpe è un’idea credibile secondo Amnesty. Ne consegue la seconda cosa di buon senso che ci dice questa ondata repressiva: di fronte a numeri così ingenti di persone epurate, arrestate o sospese è difficile  immaginare che le persone  interessate a questi provvedimenti possano essere già oggi accusate di qualcosa di concreto e tangibile.

La situazione assomiglia paradossalmente oggi in Turchia a un colpo di stato riuscito più che sventato


Quali sono questi numeri?
Tra gli insegnanti pubblici e privati i provvedimenti di sospensione o epurazione ha già raggiunto la cifra di 36mila persone. Tra i militari e i poliziotti ci sono già stati ventimila arresti. I docenti universitari, tra cui anche rettori, che hanno perso il lavoro o a cui hanno ritirato il passaporto  erano fino a ieri oltre millecinquecento.  Una trentina di radio, siti internet e televisioni sono stati chiusi. A 34 giornalisti è stato ritirato l'accredito. E il tutto andrà agiornato.

Quali scenari si aprono ora in Turchia?
Gli scenari sono due. O si va verso l’emergenza permanente oppure, passati i tre mesi di poteri speciali,  il governo riterrà di aver fatto quello che doveva fare. Molto dipenderà  anche dalle pressioni internazionali. Limitandoci però a guardare a quello che sta accadendo siamo di fronte a numeri senza precedenti, simili a quelli che ci sarebbero stai se il golpe fosse riuscito veramente.

La magistratura turca giudicherà le persone arrestate o sospese. Ci sono garanzie di imparzialità?
La logica dello stato di emergenza riduce ovviamente le garanzie del giusto processo, con rischi di tortura tra le persone fermate. Quanto alla magistratura turca le dico solo che un quinto del potere giudiziario è stato posto fuori gioco nel giro di poche ore dopo il golpe. Gli altri quattro-quinti dei giudici difficilmente tenderanno a svolgere la loro funzione in modo imparziale in questo momento. Il nostro timore è questo.

Ci sono voci di bande paramilitari vicine al presidente che si stanno formando in Turchia dopo il putch. Vi risulta?
No, c'è molto spontaneismo nelle piazze, soprattutto su iniziativa dei militanti dell'Akp. Ma non abbiamo notizia di organizzazioni paramilitari in azione.

L'Europa potrebbe fare qualcosa giunti a questo punto?
Glielo dico da osservatore: c’è un equivoco da cui dobbiamo uscire. Non è la Turchia che ha bisogno dell’Unione europea, bensì il contrario: l'Europa ha urgente bisogno della Turchia, almeno dal 18 marzo scorso, quando le istituzioni comunitarie hanno firmato con il governo turco un contratto da sei miliardi di dollari (tre più tre) per prendere in carico i migranti mediorientali giunti in Grecia, impedendo loro che possa giungere sulle coste europee del Mediterraneo. È per questo che abbiamo denunciato quel contratto: quandi si fanno accordi con Paesi che non brillano per rispetto dei diritti umani regali a questi Stati un potere ricattatorio enorme, consentendo loro di aprire o chiudere i rubinetti ogni qual volta lo ritengono utile. Lo fa Al Sisi in Egitto, lo farà  Erdogan in Turchia. E del resto: quando si affida a un Paese che non ha standard accettabili di rispetto dei diritti il compito di far da guardiano della frontiera europea, ne paghi le conseguenze. Siamo, anche noi europei, vittime dei nostri errori. 

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Un sostenitori del presidente turco Erdogan dietro la bandiera turca a piazza Taksim a Istanbul - 16 luglio 2016

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Paolo Papi