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Tutte le tappe del caso Stefano Cucchi

Dall'arresto del 2009 alla morte qualche giorno dopo al Pertini di Roma, fino alle minacce ai difensori di Francesco Tedesco

Dopo la deposizione del carabiniere Francesco Tedesco che, per la prima volta dall'inizio delle 2 inchieste sulla morte, il 22 ottobre 2009, del geometra romano Stefano Cucchi ha chiamato in causa i suoi due colleghi Raffaele D'Alessandro e Alessio Di Bernardo denunciandoli (l'atto è del 20 giugno 2018) per il pestaggio ai danni di Cucchi l'intero caso ha cambiato i suoi equilibri aprendo una serie di nuovi scenari fatti di attacchi, repliche e controaccuse.

A prendere posizione è stato anche il Comandante Generale dell'Arma Generale Giovanni Nistri che, in televisione, ha dichiarato: "Chi sa parli" aggiungendo: "'L'Arma non solo andrà fino in fondo per la parte di sua competenza e io ribadisco la necessità che un carabiniere ha il dovere morale prima ancora di giuridico di dire la verità e la deve dire subito. Quindi questa è l'occasione. Chi sa parli. Perchè un carabiniere deve rispettare il proprio giuramento se vuole essere un carabiniere. Chi esce da questa regola e viene ritenuto responsabile di gravi fatti non è degno di indossare la divisa".

E in questo momento tutte le persone coinvolte nel caso tremano a partire dal maresciallo Roberto Mandolini colui che era a capo della caserma di Via Appia a Roma, teatro dei fatti e che avrebbe avuto la presunta responsabilità di insabbiare la vicenda.

A parlare, in una lettera aperta firmata 17 ottobre, è stato l'avvocato di Mandolini, Bruno Giosuè Naso, che ha scritto al difensore di Francesco Tedesco, l'avvocato Francesco Petrelli, accusando il collega con cui, per nove anni, ha condiviso la linea processuale del caso Cucchi di aver cambiato la sua versione per ottenere una depenalizzazione del reato commesso dal suo assistito denunciando, nello stesso tempo, una sorta di alleanza della difesa con la pubblica accusa a discapito degli altri imputati: "Stiamo celebrando il dibattimento e in un processo di tale delicatezza, in un processo condizionato come pochi altri da fattori stravaganti ed extraprocessuali - scrive Naso a Petrelli - e tu che fai? accompagni il tuo assistito nell'ufficio del pm perchè questi conduca un'indagine parallela e riservata rispetto a quella in corso con innegabili, inevitabili se non addirittura perseguiti effetti di condizionamento su quello che sarà il di lui contributo dibattimentale?".

Naso ha poi parlato di "Inconfessabili accordi con il pm" sostenendo che questo accordo sia stato raggiunto con "La promessa derubricazione della imputazione elevata nei confronti del cliente in quella di favoreggiamento, reato allo stato già prescritto, anche a costo di aggravare la posizione di tutti gli altri imputati". Naso ha accusato il collega di non essere professionale e ha sancito la fine di ogni rapporto con lui. Nel frattempo l'altro legale di Tedesco, l'avvocato Eugenio Pini, è stato minacciato di morte per via telefonica.

Petrelli al collega Naso ha replicato dicendo: "È semplicemente impensabile - fa sapere Petrelli - che un avvocato, per colleganza o, peggio ancora, per amicizia, possa violare il segreto istruttorio ed il riserbo assoluto di una indagine. Ed è altrettanto inaccettabile che si voglia sovrapporre indebitamente la figura del difensore a quella dell'assistito e si confondano i rapporti personali e professionali fra colleghi con le scelte processuali degli imputati.

Il carabiniere Tedesco ha fatto una scelta difficile e coraggiosa e non vi è nulla di inconfessabile nei motivi che lo hanno indotto a denunciare i fatti e le responsabilità altrui, nè nei modi in cui tale contributo di verità è stato fornito all'autorità giudiziaria".

Il botta e risposta è il risultato della denuncia depositata agli atti del pm Giovanni Musarò a inizio dell'udienza dell'11 ottobre quando, davanti alla Corte, ha detto: "Il 20 giugno 2018 Tedesco ha presentato una denuncia contro ignoti in cui dice che quando ha saputo della morte di Cucchi ha redatto una notazione di servizio". Nota di servizio che, si scopre ora, sarebbe stata fatta sparire su intimidazione dei superiori di Tedesco che, per paura di perdere il lavoro, avrebbe deciso di tacere la verità per tutti questi anni.

"Mi sono determinato a raccontare la verità per tutta una serie di ragioni — ha spiegato il carabiniere  — All’inizio avevo molta paura per la mia carriera, temevo ritorsioni e sono rimasto zitto per anni, però successivamente sono stato sospeso e mi sono reso conto che il muro si stava sgretolando".

A farlo crollare sarebbe stato il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale che lo ha messo di fronte alle sue responsabilità.

"La lettura del capo d’imputazione per omicidio preterintenzionale mi ha colpito molto — continua Tedesco —, perché il fatto descritto corrisponde a ciò che ho visto io. Solo a quel punto ho compreso appieno la gravità dei fatti, e ho deciso di dire quello che ho visto, per una questione di coscienza. Prima credevo che la vicenda fosse anche gonfiata mediaticamente, poi ho riflettuto e non sono riuscito più a tenermi dentro questo peso".

Nella denuncia del giugno 2018 e in dichiarazioni successive Tedesco ha dato la sua versione dei fatti chiamando "in causa gli altri imputati: Mandolini, da lui informato; D'Alessandro e Di Bernardo, quali autori del pestaggio; Nicolardi quando si è recato in Corte d'Assise, già sapeva tutto".

"Gli dissi 'basta, che c...fate, non vi permettete" ha dichiarato Francesco Tedesco che ricorda le parole rivolte ai colleghi Di Bernardo e D'Alessandro (anche loro imputati come lui di omicidio preterintenzionale) mentre uno "colpiva Cucchi con uno schiaffo violento in volto" e l'altro "gli dava un forte calcio con la punta del piede".

"Fu un'azione combinata - si legge sul verbale d'interrogatorio - Cucchi prima iniziò a perdere l'equilibrio per il calcio di D'Alessandro poi ci fu la violenta spinta di Di Bernardo che gli fece perdere l'equilibrio provocandone una violenta caduta sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di avere sentito il rumore. Spinsi Di Bernardo, ma D'Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi mentre questi era sdraiato a terra".

Da quanto dichiarato da Tedesco, inoltre, il vero regista dell'insabbiamento dell'intera vicenda fu l'allora comandante Roberto Mandolini.

Il militare ha sottolineato che, pur non essendo mai stato minacciato, aveva capito che gli conveniva tacere. Nel corso del primo processo Tedesco avrebbe chiesto proprio a Mandolini cosa avrebbe dovuto dire e il comandante gli avrebbe risposto in maniera inequivocabile. "Non mi minacciò esplicitamente - ha dichiarato Tedesco - ma aveva un modo di fare che non mi faceva stare sereno. Io avevo capito che non potevo dire la verità e gli chiesi cosa avrei dovuto dire al pm, e lui rispose: 'Tu gli devi dire che stava bene (Cucchi, ndr), gli devi dire quello che è successo, che stava bene e che non è successo niente... capisci a me, poi ci penso io, non ti preoccupare'".

Il Ministro dell'Interno Matteo Salvini (che aveva dichiarato: "Ilaria Cucchi si dovrebbe vergognare, mi fa schifo") ha invitato la famiglia Cucchi al Viminale, ma la sorella di Stefano, Ilaria, ha ribadito che si presenterà al ministero dopo le scuse ufficiali del Governo.

Ecco tutte le tappe di quella che è una delle più gravi inchieste che coinvolgono i carabinieri degli ultimi anni. 

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Nella notte del 15 ottobre 2009, in via Lemonia, a Roma, a ridosso del parco degli Acquedotti, il geometra trentunenne Stefano Cucchi viene arrestato dai carabinieri perché sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina.

Intorno all'1,30  i carabinieri, dopo averlo portato in caserma, lo accompagnano a casa per perquisire la sua stanza. Non trovano nulla, lo riportano in caserma e lo rinchiudono in una cella di sicurezza della caserma Appio-Claudio.

È in quelle ore del 15 ottobre, secondo i pm dell'inchiesta bis, che sarebbero avvenute le percosse che portarono alla morte di Stefano Cucchi, avvenuta  il 22 ottobre, una settimana dopo il suo arresto nel reparto detenuti dell'ospedale romano Sandro Pertini.

La famiglia Cucchi poté vedere Stefano, dopo l’udienza del processo per direttissima avvenuta il 16 ottobre, soltanto quando ormai il giovane era morto. 

A pochi giorni dal decesso, la sorella Ilaria Cucchi - per rispondere a una campagna che aveva preso a dipingere Cucchi come un tossicomane senza nessuna credibilità -  diffuse le foto shock del cadavere del ragazzo scattate all'obitorio: magrezza scheletrica (Cucchi pesava 37 chili al momento della morte, dopo un calo ponderale di sei chili in una sola settimana),  lesioni diffuse, una maschera violacea attorno agli occhi, uno dei quali schiacciato nell'orbita, un ematoma bluastro sulla palpebra e la mandibola spezzata. E poi la schiena, fratturata all'altezza del coccige.

Iniziò allora la prima inchiesta, poi annullata in Cassazione, conclusasi con l'assoluzuone di tutti gli imputati, dai medici del Sandro Pertini (accusati di omissione di soccorso) fino ai tre agenti della polizia penitenziaria, accusati ingiustamente dai carabinieri e da un carcerato  delle percosse subite dal giovane quando ormai era in cella. L'inchiesta avviata maldestramente dalla Procura - che non indagò sulla prima notte, quando il giovane fu portato in caserma, ma soltanto sui giorni in cui Cucchi era a Regina Coeli -  diede il via ad un lunghissimo processo, iniziato con il rinvio a giudizio dei dodici imputati (gennaio 2011): 45 udienze, 120 testimoni sentiti, decine di consulenti tecnici nominati da accusa, parti civili, difesa, e anche una maxi-perizia disposta dalla stessa Corte.

16 OTTOBRE 2009. La mattina successiva del fermo c'è il processo per direttissima. Stefano ha difficoltà a camminare e parlare e mostra evidenti ematomi agli occhi e al volto che non erano presenti la sera prima. Il giudice, nonostante le condizioni di salute del giovane, convalida l'arresto e fissa una nuova udienza. Nell'attesa, Stefano Cucchi viene rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.

17 OTTOBRE 2009. Cucchi viene trasportato all'ospedale Fatebenefratelli per essere visitato. Il referto è chiaro: lesioni ed ecchimosi alle gambe e al viso, frattura della mascella, emorragia alla vescica, lesioni al torace e due fratture alla colonna vertebrale. Viene chiesto il ricovero, ma Stefano rifiuta insistentemente e viene rimandato in carcere.

22 OTTOBRE 2009. Stefano, cinque giorni dopo, muore all'ospedale Pertini. Solo a questo punto, dopo vani tentativi i suoi familiari riescono a ottenere l'autorizzazione per vederlo.

25 GENNAIO 2011. Vengono rinviate a giudizio 12 persone: i sei medici dell'ospedale Sandro Pertini  Aldo Fierro, Stefania Corvi, Rosita Caponetti, Flaminia Bruno, Luigi Preite De Marchis e Silvia Di Carlo; i tre infermieri dello stesso ospedale, Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, e le tre guardie carcerarie Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, risultate innocenti e chiamate in causa dai Cc che fecero l'arresto.

Il 5 GIUGNO 2013. La III Corte d'Assise condanna in primo grado quattro medici dell'ospedale 'Sandro Pertini' a un anno e quattro mesi e il primario a due anni di reclusione per omicidio colposo (con pena sospesa), un medico a 8 mesi per falso ideologico. Invece assolve sei tra infermieri e guardie penitenziarie, i quali, secondo i giudici, non avrebbero in alcun modo contribuito alla morte di Cucchi.

La sentenza della Corte di Assise di Roma del 5 giugno 2013 on Scribd

31 OTTOBRE 2014. A seguito di una sentenza della Corte d'appello di Roma, sono assolti tutti gli imputati, anche i medici. La sorella di Stefano, Ilaria, dichiara che avrebbe chiesto ulteriori indagini al procuratore capo Pignatone e che avrebbe continuato le sue campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica.

12 GENNAIO 2015. La Corte d'assise d'appello della capitale deposita le motivazioni della sua sentenza. Si dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero per nuove indagini sulle violenze subite da Stefano Cucchi. La Procura di Roma apre un'inchiesta-bis.

Scarica la prima sentenza Cucchi: prima parte seconda parte terza parte

10 SETTEMBRE 2015. Per la prima volta viene iscritto nel registro degli indagati un carabiniere per falsa testimonianza. Alla fine i carabinieri indagati sono 5: si tratta di Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro, Francesco Tedesco (tutti per lesioni personali aggravate e abuso d'autorità, ora accusati di omicidio preterintenzionale), Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini (per falsa testimonianza, e il solo Nicolardi anche di false informazioni al pm).

11 DICEMBRE 2015. La Procura di Roma chiede, nell'ambito dell'incidente probatorio davanti al gip, una nuova perizia sul pestaggio subito da Cucchi.

15 DICEMBRE 2015. La Corte di Cassazione annulla l'assoluzione di cinque medici del Pertini, disponendo che nei loro confronti sia celebrato un appello-bis per omicidio colposo. Definitivamente assolti, invece, tre agenti di polizia penitenziaria, il medico che per primo visitò Cucchi e i tre infermieri finiti sotto processo. La sentenza arriva mentre procede l'inchiesta-bis della Procura di Roma che ha iscritto cinque carabinieri nel registro degli indagati.

9 MARZO 2016 Non sono state fornite «spiegazioni esaustive e convincenti del decesso di Stefano Cucchi ». Così la Cassazione, in 57 pagine di motivazioni (scarica la sentenza), spiega perché ha annullato l'assoluzione dei cinque medici del Pertini, disponendo un appello-bis per omicidio colposo. Questi ultimi - scrivono i giudici di legittimità - avevano una posizione di garanzia a tutela della salute di Cucchi e il loro primo dovere era diagnosticare con precisione la sua patologia, anche in presenza di una «situazione complessa che non può giustificare l'inerzia del sanitario o il suo errore diagnostico».

Caso Cucchi: leggi la sentenza della Cassazione on Scribd

18 LUGLIO 2016 La terza Corte d'Assise d'appello confermata l'assoluzione dei 5 medici che hanno avuto in cura Stefano Cucchi nell'ospedale Pertini di Roma. Era stata la Cassazione, nel dicembre scorso, a chiedere il nuovo processo dopo la condanna in primo grado e l'assoluzione in appello.

Sentenza Appello Bis on Scribd

4 OTTOBRE 2016 I periti, nominati a gennaio dal gip nell'ambito dell'inchiesta-bis, depositano 250 pagine in cui spiegano che non ci sarebbe nesso causale tra il violento pestaggio cui è stato sottoposto Cucchi e il decesso. Due sarebbero le ipotesi. La prima «è rappresentata da una morte improvvisa e inaspettata per epilessia», per la quale avrebbe agito come «ruolo causale favorente» anche la tossicodipendenza del ragazzo. Analoga «concausa favorente», la «condizione di severa inanizione» (indebolimento per carenza di alimentazione). La seconda è che la morte del ragazzo sia legata «alla recente frattura traumatica di S4 associata a lesione delle radici posteriori del nervo sacrale». Un'ipotesi giudicata per la prima volta come possibile, che di fatto ha favorito la messa sotto indagine dei tre militari che dopo l'arresto lo avevano portato in caserma.
 
7 OTTOBRE 2016 La Corte d'assise d'appello di Roma deposita le motivazioni della sentenza (Scarica la sentenza) con cui il 18 luglio ha assolto dall'accusa di omicidio colposo cinque medici del Pertini: Cucchi è morto di malnutrizione e, anche se i medici «hanno omesso di diagnosticare la sindrome da inanizione» e di attuare le opportune terapie, «appare logicamente poco probabile che il ragazzo si sarebbe salvato». Per i giudici non è possibile dimostrare, in pratica, che attuando l’omessa condotta i medici avrebbero potuto impedire la morte di Stefano.

17 GENNAIO 2017. Otto anni dopo la  morte avvenuta in un letto del reparto di medicina protetta dell'ospedale Pertini di Roma, il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò chiudono la cosiddetta inchiesta bis (aperta nel novembre del 2014) sui responsabili del suo pestaggio e con l'atto di conclusione indagini contesta per la prima volta a tre dei carabinieri che lo arrestarono nel parco degli acquedotti di Roma - Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco - il reato di omicidio preterintenzionale.

Con loro, accusati di calunnia, il maresciallo Roberto Mandolini, allora comandante della stazione dei carabinieri Appia (quella che, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 aveva proceduto all'arresto) e i carabinieri Vincenzo Nicolardi e Francesco Tedesco. Per Mandolini e Tedesco, infine, anche il reato di falso verbale di arresto. Cucchi, secondo i pm, è morto per gli esiti letali del pestaggio che subì la notte del suo arresto.

Non è morto né di fame e sete, né per cause ignote alla scienza medica, né di epilessia. È stato per loro un omicidio preterintenzionale avvenuto in caserma nella notte prima del processo per direttissima. Tra le testimonianze considerate più utili c’è quella di Anna Carino, ex moglie del carabiniere Raffaele D’Alessandro, che in una telefonata avrebbe detto all’uomo: «Hai raccontato a tutti di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda (…) che te ne vantavi pure… che te davi le arie». Alla base della ricostruzione di Pignatone e Musarò ci sarebbero anche le parole di Riccardo Casamassima, all’epoca in servizio presso la stazione di Tor Sapienza. In un verbale del 30 giugno, Casamassima ha raccontato che la notte dell’arresto l’allora comandante Roberto Mandorlini disse: «È successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato».

14 FEBBRAIO 2017. La procura di Roma ha ufficialmente chiesto il rinvio a giudizio dei cinque carabinieri coinvolti nell'inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009 nell'ospedale Sandro Pertini. Per i tre militari che arrestarono il geometra il 15 ottobre precedente, e ritenuti autori del pestaggio, l'accusa è di omicidio preterintenzionale. Ad altri due carabinieri i reati sono di calunnia e di falso.

10 LUGLIO 2017. Il gup del Tribunale di Roma ha disposto il rinvio a giudizio dei carabinieri imputati nell'ambito dell'inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano deceduto nell'ottobre 2009 a Roma una settimana dopo il suo arresto per droga. Il processo comincerà il prossimo 13 ottobre davanti alla III Corte d'Assise.
"Finalmente i responsabili della morte di mio fratello, le stesse persone che per otto anni si sono nascoste dietro le loro divise, andranno a processo e saranno chiamate a rispondere di quanto commesso". È il commento a caldo di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano.

I tre carabinieri accusati per la morte di Stefano Cucchi sono stati rinviati a giudizio dal Gup di Roma dopo essere stati sospesi dal servizio, con lo stipendio dimezzato. Per i tre militari che arrestarono il geometra il 15 ottobre precedente, e ritenuti dai pm autori del pestaggio, l'accusa è di omicidio preterintenzionale. Per altri due carabinieri - che avrebbero dichiarato il falso durante il primo processo accusando i medici gli infermieri del Sandro Pertini, oltre alle guardie carcerarie - i reati sono di calunnia e di falso. 

11 OTTOBRE 2018 - Il pm Giovanni Musarò in apertura di udienza davanti alla Corte d'Assise di Roma ha riportato la denuncia e le successive dichiarazioni del carabiniere Francesco Tedesco, uno dei tre militari rinviati a giudizio per omicidio preterintenzionale. "Il 20 giugno 2018 - ha detto il pm - Tedesco ha presentato una denuncia contro ignoti in cui dice che quando ha saputo della morte di Cucchi ha redatto una notazione di servizio".

In successive dichiarazioni, ha aggiunto l'accusa, ha poi chiamato "in causa gli altri imputati: Mandolini, da lui informato; D'Alessandro e Di Bernardo, quali autori del pestaggio; Nicolardi quando si è recato in Corte d'Assise, già sapeva tutto".

I successivi riscontri della procura hanno portato a verificare che "è stata redatta una notazione di servizio che è stata sottratta e il comandante di stazione dell'epoca non ha saputo spiegare la mancanza".

"C'è stato - ha dichiarato l'avvocato Eugenio Pini, difensore di Francesco Tedesco - uno snodo significativo per il processo, ma anche un riscatto per il mio assistito e per l'intera Arma dei Carabinieri. Gli atti dibattimentali e le ulteriori indagini - ha aggiunto Pini - individuano nel mio assistito il carabiniere che si è lanciato contro i colleghi per allontanarli da Stefano Cucchi, che lo ha soccorso e che lo ha poi difeso. Ma soprattutto è il carabiniere che ha denunciato la condotta al suo superiore ed anche alla Procura della Repubblica, scrivendo una annotazione di servizio che però non è mai giunta in Procura, e poi costretto al silenzio contro la sua volontà.

Come detto, è anche un riscatto per l'Arma dei Carabinieri perché è stato un suo appartenente a intervenire in soccorso di Stefano Cucchi, a denunciare il fatto nell'immediatezza e ad aver fatto definitivamente luce nel processo".

Tedesco, al termine dell'udienza ha detto: "Sono rinato. Ora non mi interessa nulla se sarò condannato o destituito dall'Arma. Ho fatto il mio dovere; quello che volevo fare fin dall'inizio e che mi è stato impedito".

E' la prima volta, a quasi 10 anni dalla morte di Stefano, che si parla in maniera inequivocabile di pestaggio.

Ilaria Cucchi, che non ha mai smesso di lottare per far emergere una verità che era da sempre sotto gli occhi di tutti ha dichiarato: "L'unica cosa che mi dà la forza di andare avanti è provare, tramite Stefano, a dar voce a tutti gli altri Stefano, tutti gli altri ultimi di cui non importa niente a nessuno, che muoiono e che subiscono soprusi quotidianamente nel disinteresse generale, di una società che è abituata a voltarsi dall'altra parte e che pensa sempre che le cose capitino sempre agli altri e mai a se stessi".

Il Ministro dell'Interno, alla luce della svolta presa dall'intero impianto accusatorio, ha detto: "Sorella e parenti sono i benvenuti al Viminale. Eventuali reati o errori di pochissimi uomini in divisa devono essere puniti con la massima severità, ma questo non può mettere in discussione la professionalità e l'eroismo quotidiano di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi delle forze dell'ordine".

Ilaria, dopo aver ringraziato il Ministro ha comunque precisato: "Il giorno in cui il Ministro dell'Interno chiederà scusa a me, alla mia famiglia e a Stefano allora potrò pensare di andarci, prima di allora non credo proprio".

Anche il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta, via social, ha commentato il caso Cucchi scrivendo: "Quanto accaduto a Stefano Cucchi era inaccettabile allora e lo è ancor di più oggi, che sono emersi nuovi elementi scioccanti. Mi auguro che la giustizia faccia al più presto il suo corso e definisca le singole responsabilità. Chi si è macchiato di questo reato pagherà, ve lo assicuro. Lo voglio io, lo vuole questo governo e lo vuole tutta l'Arma dei Carabinieri, che merita rispetto. Ho la massima fiducia verso il Comando Generale e sono vicino alla famiglia di Stefano, ai suoi amici e ai suoi cari".

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