Una battaglia per l'allattamento
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Una battaglia per l'allattamento

Sono ancora molti gli infastiditi, soprattutto se si allatta in pubblico. Così negli Usa è nata una campagna. Con alcune ombre

L’intento è lodevole. «L’unico modo per iniziare a sbarazzarsi dello stigma che circonda l’allattamento al seno in pubblico deve partire dagli uomini. Dobbiamo educare gli uomini a dare forza alle donne così si sentiranno sicure di allattare in pubblico». Parola di Hector Cruz, fotografo di Clarksville, nel Tennessee, inviate per mail il mese scorso al sito “HuffPost UK Lifestyle”.  Diventato padre di una bambina, Hector si è reso conto di quanto fastidio ancora oggi possa causare una mamma che allatta in pubblico, sia pure là dove le sia consentito farlo.

Fotografo di professione, Hector dà il via ad una campagna intitolata “Project BreastFeeding ” ovvero “Progetto di allattamento al seno” che, attraverso i social network, si sta diffondendo in diverse città americane con l’obiettivo di indurre le persone alla riflessione e raccogliere denaro per costituire una fondazione che, come spiega lo stesso Cruz, sensibilizzi sulla questione in particolare i padri.

Tuttavia, osservando le foto che mostrano uomini a torso nudo con i figli in braccio, alcuni nell’atto di allattare, e la scritta “If I could I would” (Se potessi, lo vorrei,ndr), viene da chiedersi se l’obiettivo sia davvero quello dichiarato e soltanto quello.

Le immagini, infatti, mostrano dei padri in piedi o seduti in poltrona, nessun oggetto attorno né contestualizzazione alcuna. Improbabile che si trovino in un luogo comunitario, eppure la campagna vuole sottolineare proprio il tabù dell’allattamento in pubblico.
 Inoltre questi uomini sono a torso nudo quando per allattare non c’è alcun bisogno di denudarsi. Anzi, l’allattamento è un atto discreto, intimo e non va ostentato. Se di una provocazione si tratta, può darsi che il fotografo verrà ricordato più del soggetto della campagna stessa.

La scritta poi non aiuta a inquadrare il problema. Non solo manca il riferimento ai luoghi pubblici, là dove allattare causa fastidio quando non sia addirittura vietato, ma l’accento viene posto sull’io maschile evidenziando un desiderio irreale.

Per sua natura, il maschile non allatta. Le sue funzioni, importanti e necessarie, sono altre: proteggere la nuova coppia mamma-neonato e inserirsi gradualmente nella simbiosi madre-figlio, dando al bambino la possibilità di entrare in relazione con la figura maschile e paterna.
 

Per la donna che intende allattare, invece, la questione è sull’impossibilità che le arriva dall’esterno. Non c’è nessuna irrealtà. Impossibilità generata da una forma mentis maschile che prova sentimenti contrastanti verso la natura del femminile, tendenzialmente portati all’eccesso. Il riferimento non è soltanto all’allattamento, ma alla stessa ciclicità della donna che, a lungo andare, ha disimparato ad affidarsi ad essa considerando il proprio corpo alla stregua di un veicolo efficiente, di cui ignorare le trasformazioni, e la propria mente come uno strumento produttivo e competitivo, nulla di più. Mettendo a tacere la propria natura istintuale profonda e costretta ad essere tutto per tutti, si è adattata e impoverita.

Facendo un passo avanti nella riflessione, è pur vero che le stesse donne, forse più o meno  inconsapevolmente, sono complici di questa forma mentis che le ha spogliate della loro ricchezza intrinseca. Stando così le cose, se possiamo allattare, a maggior ragione continuiamo a farlo ovunque ci troviamo o almeno a provarci. E i padri? Che abbiano il desiderio “realistico” di sostenere le proprie compagne.

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Annalisa Borghese

Di origini lombardo-piemontesi-siciliane, giornalista, una laurea in lingue, due figli, tre saggi pubblicati e tradotti per alcuni paesi europei e del Sud America, diversi programmi culturali curati e condotti per tv regionali e per Rai Radio Due del Trentino Alto Adige, counselor con il progetto "Attraverso la mezza età"dedicato alle donne dai 40 ai 60 anni, da alcuni anni torno a scrivere con l’intento di contribuire alla riflessione sui temi del Femminile e del Maschile e alcuni brani del diario della mia maternità vengono utilizzati dalla regista Alina Marazzi per il suo film "Tutto parla di te".
Sono una romantica realista, convinta che il "conosci te stesso" degli antichi greci sia condizione imprescindibile per sentirsi abbastanza vivi ogni giorno.

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