Unabomber: 30 attentati, nessun colpevole
Decine di feriti per una serie di esplosioni negli anni Novanta e alla fine un capro espiatorio, Elvio Zornitta. Che ora, a tutti gli effetti, è innocente
Vent'anni di indagini
Vent’anni di indagini, trenta attentati, nessun colpevole e un solo condannato. Unabomber, il terrorista che ha seminato il panico nel Nord Est negli anni ’90 e 2000 con ordigni esplosivi rudimentali ma capaci di ferire decine di persone, bambini compresi, resta un fantasma. La prima sezione penale della Cassazione ha condannato a due anni di reclusione, pena sospesa, Ezio Zernar, il poliziotto esperto in balistica che falsificò le prove per incastrare Elvio Zornitta, a lungo sospettato di essere l’attentatore. Di più, lo stesso Zornitta dovrà essere risarcito con centomila euro.
Una lunga scia di attentati
Unabomber colpì, la prima volta, a Portovecchio di Portogruaro, nel 1993. Dove esplose una cabina telefonica. Da allora è una lunga scia di attentati, finalizzati a ferire (il morto non ci è mai scappato solo per caso) la gente comune. Compresi i bambini, attratti con malvagia astuzia da giocattoli, pennarelli e ovetti Kinder imbottiti di esplosivi. Prima ordigni assemblati senza una particolare perizia, poi vere bombe alla nitroglicerina, come quella nascosta nel cuscino di un inginocchiatoio della chiesa di Sant’Agnese, ancora a Portogruaro, nella Pasqua 2004.
Molti sospetti nessuna prova
Le indagini, affidate alle migliori menti investigative del Paese, che si servirono anche dell’esperienza dell’Fbi statunitense in materia di serial killer, furono condotte da quattro procure, senza un vero coordinamento. Fino all’avvio di una superprocura istituita ad hoc ma poi naufragata.
Tante le piste battute: dal terrorismo di stampo ecologista, alla quella che suggeriva la partecipazione di militari americani di stanza ad Aviano. Decine i sospettati, ma due soli reperti importanti: un pelo e una traccia di saliva trovati in una confezione di uova che avrebbero dovuto esplodere, comprata in un supermercato, ancora di Portogruaro. Inutili però a condurre all’attentatore seriale.
Un capro espiatorio
Poi quella che apparve come la svolta. Il 26 maggio 2004 le forze dell’ordine perquisiscono l’abitazione di Elvio Zornitta, ingegnere con l’hobby del bricolage. Zornitta aveva in casa polvere da sparo e oggetti compatibili con il confezionamento delle bombe. E i suoi spostamenti erano, almeno in parte, coincidenti con le zone dove avvenivano gli attentati.
Il passo falso
Ma la foga di trovare un colpevole, di far coincidere gli indizi con il sospettato, l’ansia provocata dall’attenzione mediatica, portò al passo falso, all’errore che probabilmente segnò per sempre un’inchiesta che forse poteva essere condotta meglio, e che difficilmente potrà mai ripartire. A Zornitta furono trovate delle forbici il cui taglio riproponeva esattamente quello effettuato sui materiali repertati su un ordigno. La perizia porta la firma del superperito della Polizia Ezio Zernar. Che invece, come sancisce la Cassazione, si era inventato tutto. Serviva un capro espiatorio. Oppure mancava il suggello della prova scientifica ad un castello indiziario ritenuto valido. Il poliziotto è stato condannato, Zornitta ha vissuto per decenni con l’infamante sospetto di essere un folle dinamitardo. E Unabomber resta un nome di fantasia.