Usa 2016: Trump non si ferma e Hillary Clinton adesso è più forte
Intanto Jeb Bush si ritira: i Repubblicani moderati puntano Rubio. Sanders comunque è vicino alla rivale fra i Democratici
Donald Trump prosegue la sua marcia trionfale nelle primarie repubblicane conquistando il 32,5% in South Carolina, mentre sul fronte democratico Hillary Clinton riprende nei caucus del Nevada la testa della corsa con una vittoria non schiacciante (52,7% a 47,2%) ma importante su Bernie Sanders.
La situazione delegati
Dopo le consultazioni di sabato, la situazione delegati per le convention è la seguente:
Fra i Democratici, Hillary Clinton ha già 502 delegati (di questi 451 sono i cosiddetti super delegati, esponenti di primo piano del partito che parteciperanno alla convention senza essere nominati alle primarie);
Bernie Sanders ne ha 70 (19 sono super delegati).
Per la nomination ne servono 2383.
Fra i Repubblicani:
Trump ne ha 61;
Cruz 11
Rubio 10.
Per la nomination ne servono 1237.
Repubblicani
Ora però Trump non potrà più sfruttare la frammentazione del voto dopo il ritiro di Jeb Bush per il suo deludente quarto posto con il 7,8%, che rappresenta la fine di una potente dinastia ma anche il probabile preludio dell'abbandono a breve di altri due candidati altrettanto moderati, John Kasich e Ben Carson, piazzatisi alle sue spalle con percentuali poco più basse.
Ormai in casa Gop è una corsa a tre. E il vero antagonista di Trump sarà il giovane e brillante senatore della Florida Marco Rubio, che ha conquistato il secondo posto, anche se di un soffio, dopo un testa a testa con il collega ultraconservatore del Texas Ted Cruz (22,5% a 22,3%), "tradito" dalla maggioranza evangelica.
Solo una decina di punti dal tycoon, ma Rubio è l'erede naturale dei voti moderati, e dei finanziatori, di Bush. E, probabilmente tra poco, anche di Kasich e Carson.
È su Rubio infatti che si sta compattando l'establishment del partito repubblicano prima che sia troppo tardi per fermare l'incontenibile Trump, che ieri ha rilanciato la sua polemica contro il Papa sugli immigrati messicani ("il muro ci sarà e sarà ancora più alto") e la sua crociata contro l'Islam ("il generale John Pershing fermò gli attacchi dei musulmani nelle Filippine all'inizio del Novecento sparando contro di loro proiettili bagnati nel sangue dei maiali").
L'ultimo sostegno a Rubio, quello di più alto profilo finora, preannunciato domenica dall'Huffington post, arriverà dall'ex candidato repubblicano alla presidenza Usa, Mitt Romney, un vero pezzo da novanta. Prima delle ultime primarie Rubio, di origini cubane, aveva incassato l'appoggio della popolarissima governatrice del South Carolina, Nikki Haley, che si vocifera potrebbe correre in ticket con lui per la vice presidenza. Vedremo come andrà, intanto, nei caucus repubblicani del Nevada del 23 febbraio.
Il duello Clinton-Sanders
I campo democratico resta aperto il duello tra Hillary e Sanders.
I due candidati stanno già guardando alle prossime tappe in South Carolina (27 febbraio) e al supertuesday del primo marzo, quando voteranno 14 Stati con un quarto dei delegati in palio.
L'ex first lady ha vinto con uno scarto di poco più di cinque punti, non molti considerando il distacco abissale di cui godeva alcuni mesi fa ma abbastanza per rivendicare la sua prima vera vittoria impedendo che la vertiginosa rimonta del rivale diventasse un sorpasso forse fatale.
L'ex segretario di stato ha sfruttato la sua potente macchina elettorale e il voto delle minoranze, in particolare quella afro-americana, ma non sembra aver sfondato tra i latinos.
Lo staff di Sanders sostiene che il senatore 'socialista' ha battuto Hillary di circa otto punti nel voto ispanico, tesi negata dall'entourage della Clinton.
Ma sicuramente il senatore del Vermont, anche se ha perso l'occasione per infliggere un colpo clamoroso alla sfidante, ha dimostrato di poter allargare la base del suo consenso e di poter fare breccia nel "firewall" della Clinton, il muro di protezione costruito da Hillary con il consenso delle minoranze d'America.
Ora Sanders guarda al supertuesday, dato che secondo i sondaggi i giochi in South Carolina –dove nel 2008 oltre metà degli elettori delle primarie sono stati afroamericani, con Barack Obama candidato– per lui sembrano chiusi.