Usa-Corea del Nord, perché l'Iran vuole che falliscano i colloqui
Sul tavolo la questione del programma nucleare, anche di Teheran. E la guerra in Siria pesa sui rapporti con l'America
Non bastava la guerra in Siria, con il sospetto uso di armi chimiche e l'attacco di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna contro Damasco. Ora anche i negoziati per l'incontro storico tra il presidente Usa Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un potrebbero creare nuove tensioni proprio nell'area mediorientale e in particolare in Iran. A Teheran, infatti, preoccupano i preparativi del faccia a faccia, atteso tra fine maggio e inizio giugno.
Il motivo è legato proprio allo sviluppo del programma nucleare, che accomuna Pyongyang e Teheran, contro il quale il capo della Casa Bianca ha preso una netta posizione di rottura rispetto al suo predecessore Obama. Entro il 12 maggio proprio Trump è chiamato a decidere su nuove sanzioni contro l'Iran.
L'Iran e la questione nucleare
Non appena insediatosi alla Casa Bianca, Trump non ha nascosto l'intenzione di modificare l'accordo sul nucleare siglato tre anni fa da Barack Obama, minacciando Teheran di nuove sanzioni e facendo scattare l'allarme nella repubblica islamica. Dopo mesi di braccio di ferro anche con la comunità internazionale, decisa a mantenere lo status quo con Teheran, il presidente statunitense lo scorso gennaio ha deciso di congelare le sanzioni, lasciando intatta l'intesa, ma avvertendo: "Questa è l'ultima chance per migliorare l'accordo con l'Iran. Se questo non accadrà gli Stati Uniti si ritireranno immediatamente" aggiungendo di ritenere "il regime iraniano principale sponsor del terrorismo mondiale".
Ai partner europei firmatari del documento del 2015 a Ginevra, Trump ha chiesto di rivedere alcuni aspetti, per aumentare la sicurezza, decidendo però al tempo stesso misure mirate. Washington ha fatto scattare provvedimenti specifici per 14 soggetti, tra i quali Sadeq Amoli Larijani, capo della magistratura iraniana e molto vicino all'ayatollah Ali Khamenei, ritenuto responsabile di avere "ordinato, controllato e diretto gravi violazioni dei diritti umani di cittadini iraniani".
L'obiettivo di Trump è rimasto quello di rivedere gli accordi del 2015, includendo nuove limitazioni ai programmi nucleari per lo sviluppo di tecnologia militare e in particolare per la realizzazione di missili con testata atomica.
La "tregua"
Dopo la minaccia a Teheran, però, Trump ha concentrato la propria attenzione su altri fronti, primo tra tutti quello nordcoreano, con le progressive aperture nei rapporti con Kim Jong-un, che hanno subito un'accelerazione in occasione dei Giochi Olimpici invernali in Corea del Sud e grazie alla mediazione proprio di Seul, oltre che di Pechino.
Ora che la strada dei colloqui sembra spianata, l'Iran torna a temere che gli Stati Uniti possano mettere in atto il loro programma di revisione degli accordi vigenti, agendo in particolare su alcuni fronti. L'amministrazione Trump mirerebbe a pretendere dall'Iran la possibilità di "ispezioni veloci, sufficienti e immediate in tutti i siti" da parte di osservatori internazionali.
Un punto imprescindibile è poi rappresentato dalla impossibilità che Teheran possa ottenere armi nucleari e che invece, con gli accordi vigenti, secondo Trump può essere aggirata. Per questo è stato chiesto di considerare l'attività di arricchimento dell'uranio a scopi civili strettamente connessa a quella militare e missilistica. Infine, gli Usa vorrebbero poter inserire nella revisione dei documenti in vigore la possibilità di decidere nuove sanzioni "senza scadenza", se l'Iran non rispettasse le condizioni precedenti.
La scadenza di maggio
Secondo i vertici iraniani, il passo avanti con la Corea del Nord, proprio sul terreno del nucleare permetterebbe ora a Trump di tornare a concentrarsi sulla questione mediorientale. Tra poche settimane è previsto che il Presidente statunitense torni a decidere se varare nuove sanzioni o meno. La situazione iraniana, infatti, richiede un aggiornamento ogni 120/180 giorni: l'ultima volta è stata proprio il 12 gennaio e la prossima scadenza è fissata entro il 12 maggio.
L'imminente scadenza, inoltre, arriva proprio in un momento di massima tensione nell'area mediorientale, dovuto alla guerra in Siria, all'inchiesta sull'uso di armi chimiche a Douma e dopo l'attacco delle forze occidentali contro Damasco, che ha coinvolto da vicino proprio l'Iran.
L'Iran e gli Usa in Siria
Nel mirino del'operazione militare di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna in Siria del 14 aprile è finito indirettamente anche l'Iran, principale alleato e sostenitore di Assad sul terreno siriano, dove conta diverse basi con proprio personale militare.
Oltre ai tre siti distrutti dai missili occidentali, ritenuti centri fondamentali di sviluppo del programma chimico siriano, ad essere colpita poche ore dopo sarebbe stata anche la base iraniana di Jabal Azzan, a sud di Aleppo. Diversi media siriani hanno attribuito le esplosioni, che hanno causato la morte di almeno 20 persone, a un raid aereo israeliano, ma l'Osservatorio siriano sui diritti umani (Ondus) non è riuscito a chiarire se si sia trattato di un incidente o di un attacco.
Non sarebbe comunque la prima volta che una base iraniana in territorio siriano finisce nel mirino di bombardamenti. Era già accaduto, di recedente, con la T-4 a Tayfur, tra Homs e Palmira, dove in un raid israeliano erano morti 24 iraniani.
L'ex "Asse del Male": Iraq-Corea del Nord-Iran
La questione nucleare iraniana non è nuova. Il 29 gennaio del 2002 era stato l'allora presidente statunitense George W. Bush ad accomunare l'Iran alla Corea del nord e all'Iraq, coniando la definizione di "Axis of Devil", "l'Asse del Male". Dopo la Guerra del Golfo, scoppiata con l'invasione dell'Iraq nel 2003 e la successiva destituzione di Saddam Hussein, Pyongyang e Teheran sono rimaste le principali "minacce" alla sicurezza statunitense.
L'apertura del canale di dialogo e l'auspicio di una risoluzione pacifica del conflitto (finora soprattutto verbale e simbolico) con la Corea del Nord, fa sì che l'Iran sia ora l'ultimo obiettivo di una politica di contrasto ai Paesi considerati a maggiore rischio terrorismo da Washington.