Usa, elezioni di Midterm: la sfida delle piccole grandi donne
In 256 hanno prevalso nelle primarie americane, con un’agenda fatta di coraggio, concretezza e un tocco di fantasia.
La grande sorpresa delle primarie americane sono le donne. E piccole si fa per dire. O forse sono partite piccole, dai sobborghi delle metropoli e dall’America profonda delle Grandi Pianure, ma alla fine hanno vinto di slancio contro avversari, molto spesso uomini, più ricchi, più navigati e più famosi.
Per 256 di loro si apre ora la sfida alle elezioni di Midterm. Certo non tutte riusciranno ad entrare alla Camera o al Senato. Ma la loro vittoria, simbolica e pragmatica a un tempo, è già sancita.
La reazione al trumpismo alla fine è arrivata da quel settore della società più inatteso, che tuttavia ha dimostrato di aver più argomenti, più passione e probabilmente più spirito di sacrificio.
Chi sono
Alcune di loro portano nomi che ormai hanno superato la soglia critica dell’anonimato: Alexandra Ocasio-Cortez e Alessandra Biaggi (New York); Ayanna Pressley (Massachusetts); Sharice Davids (Kansas, cuore del cuore delle Midlands filo Trump); ma anche le prime donne musulmane che forse metteranno piede al Congresso come Rashida Tlaib (Michigan) e Ihlan Omar (Minnesota). Sono loro le protagoniste di un movimento collettivo, ma spontaneo, ben più ampio dell’occasione e che promette di aver voce e peso nella politica americana del futuro.
Quota 256
Questa storica affermazione a quota 256 (erano solo 48 le candidate al Congresso nel 1978, e 131 nel 1998) segna il tramonto del modello Hillary Clinton e Nancy Pelosi; e in un certo senso anche quello di Michelle Obama (ammesso che l’ex first lady non decida, più prima che poi, di essere lei il cavallo presidenziale 2020 e di mettersi a capo di queste agguerrite truppe).
La crisi, in altre parole, del modello di donna in carriera e giro di perle al collo, con qualche somiglianza di troppo alla miope mentalità maschile basata sulla logica del “potere per il potere”.
Siccome il potere è anche passione e non solo possesso, le donne d’America hanno giocato una sfida d’avanguardia, basata su un’agenda progressista e concreta; se al principio si pensava che si muovessero quasi tutte nell’ombra di Bernie Sanders e della sua declinazione ideologica (il sanderismo), ben presto ci si è accorti che avevano idee e fiato per andare con le proprie gambe e per cambiare, dall’interno, anche l’apatia dei Democratici e la loro cronica dipendenza dalle lobby.
Inclusione sociale, diritti delle minoranze, scuola pubblica, città intelligenti ed ecologiche, diritto alla salute, diritto alla casa; un programma politico che di femminile ha poco, perché è assolutamente universale, ma al tempo stesso di femminile ha tutto, perché ha avuto l’audacia di dire al sistema: enough is enough. Un coraggio che ormai gli uomini sembrano aver smarrito.
Una sfida all'America di Trump
Una sfida molto difficile da lanciare, dal momento che l’America di Trump è in piena occupazione e batte tutti i record economici. Una nazione che ha anche ritrovato il proprio orgoglio patriottico grazie a un Presidente fuori dagli schemi. Ma la chiave del successo al femminile di queste primarie è esattamente qui: le donne hanno capito che per sfidare Trump occorreva essere come lui, ovviamente non in quanto a programmi e stile, ma nel coraggio di spezzare schemi e consuetudini della politica. Insomma Trump, piaccia o no, sa vincere ma anche le donne hanno dimostrato la forza assiomatica di un concetto che oggi negli Stati Uniti corre di bocca in bocca: “When women run, women win.”
Il Melting Pot esce dal guscio del folklore
Ecco perché Ocasio-Cortez, il cui collegio abbraccia Bronx e Queens (e Trump è appunto nato nel Queens), da cameriera ha potuto lanciare una sfida a un peso massimo dei Dem e sconfiggerlo nella sua roccaforte. E’ il melting Pot divenuto finalmente adulto, che sveste l’abito del folklore e diventa identità politica.
Le donne hanno osato, e sono state premiate. Signori, resta solo una cosa da fare: chapeau.