Ustica, parlano tutti tranne lo Stato
Il 27 giugno del 1980 uno dei più grandi misteri del paese diventato buono anche per narrazioni senza senso
Ve lo dico subito, che arrivino da destra o da sinistra, considero del tutto strumentali e fatti per far parlare di sé ogni nuovo finto scoop sull’incidente del DC-9 dell’Itavia, dal quale ricorrono ormai 44 anni. Siamo alla farsa comunicativa passata dalla televisione, diventata luogo nel quale ipotesi e notizie vengono fusi sapientemente per impressionare lo spettatore. Premetto: da aviatore sono terrorizzato dal fatto che tra soltanto sei giri attorno al sole sarà trascorso mezzo secolo e in quella occasione ci sarà un revival generalizzato di ogni film, libro, dibattito e finta-scoperta finora realizzata su questa terribile vicenda. Ma una cosa è certa: mostrare il casco rinvenuto su una spiaggia senza controllare neppure su che tipo di aeroplano fosse utilizzato è fare confusione. Dimostra soltanto che in una regione italiana nella quale è presente una base americana, un pilota non di caccia lo ha perso. Ma sono proprio episodi come questo, visto due giorni fa in televisione, che hanno trasformato la vicenda di Ustica nell’ennesimo otto settembre italiano.
Vero è che nella storia del volo IH-870, marche I-TIGI, manca ancora un tassello fondamentale. Nel 1980 in Italia non esisteva un’autorità nazionale per la sicurezza dei voli e neppure l’agenzia che per legge dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO) deve svolgere l’inchiesta tecnica sugli incidenti agli aeromobili civili. Questa Agenzia ha un mandato preciso: scoprire perché, e non per colpa di chi avvengono certi fatti in modo da accertarne le cause e fare in modo che non si ripetano. L’Italia in fatto di aviazione è stata una grande nazione fino alla Seconda guerra mondiale, ma poi ha sempre dovuto arrancare e, soltanto nel 1999, è nata quella che oggi è l’Agenzia Nazionale Sicurezza Volo, in sigla ANSV. Da quel momento in poi, salvo rarissimi casi che davvero si contano sulle dita di una mano, di ogni incidente aeronautico, piccolo o grande che fosse per tipo di aereo o numero di vittime, si è compresa la causa e sono state pubblicate raccomandazioni all’autorità aeronautica e alla politica per legiferare.
Ormai è tempo di dare agli italiani e all’ICAO una risposta, di fare tabula rasa di tutto quello che dell’indagine è stato sporcato, mischiato e smentito, persino la grammatica che a comodo ha sostituito sentenze con ordinanze; è il tempo di considerare l’oggettività delle perizie e realizzare una nuova, moderna e seria inchiesta tecnica per confermare o trovare la precisa ragione a causa della quale quell’aeroplano è esploso in volo uccidendo 81 persone. Lo deve fare ANSV su mandato del governo, cioè dello Stato, perché è lo Stato il primo attore interessato nell’avere e poter dare una risposta che chiuda per sempre la voragine tra sentenza civile e sentenza penale, oggi agli antipodi; ed anche la distanza tra la politicizzazione delle tesi e troppe inutili testimonianze che non fanno altro che aggiungere confusione alla confusione. Non basta che un generale abbia detto frasi con termini come “tirato giù” per avere la prova che qualcuno abbia sparato un missile. Con un po’ di pragmatismo si ammetta che, mentre nella direzione del missile e del fantomatico duello aereo si è indagato fin troppo, finanche inventando piste fantasiose come duelli aerei al limite dell’autonomia del carburante, testimoni di qualsiasi cosa, depistaggi veri e ipotizzati, volontari o involontari, ma sempre comodi per riempire un palinsesto, verso tutte le altre ipotesi c’è stato un pregiudizio, quello per il quale la bomba è inaccettabile mentre il complotto franco-statunitense, persino Israeliano, sia accettato dall’opinione pubblica. Serve una voce non urlata, chiara e competente che faccia pulizia tra il fiorire di elementi inutili. Che sia lo Stato a informare i suoi cittadini e la comunità aeronautica internazionale è un atto doveroso in mancanza del quale nessuna ipotesi, neppure una supposizione, può stare in piedi. Il peggio è quasi concreto: che le nuove generazioni si arrendano al fatto di non poter più conoscere la verità.