55 anni fa la tragedia del Vajont: storia e foto della costruzione della diga
Nel 1963 la diga a doppio arco più alta del mondo faceva parte di un grande sistema idraulico. Costruita tra il 1958 e il 1961, non entrerà mai in funzione
Quando fu costruita tra il 1958 e il 1961 la diga del Vajont era la più alta del mondo (261,60 m.). Faceva parte di una sistema idraulico complesso, noto come le "dighe del Piave", sistema idraulico concepito per rispondere alla sempre crescente domanda di energia elettrica a partire dal dopoguerra.
Il sistema Piave-Boite-Maè-Vajont
Quest'ultimo funzionava attingendo alle acque del Piave e dei torrenti Maè, Vajont e Boite attraverso una complessa rete di condotte in caverna. La diga del Vajont avrebbe permesso il funzionamento delle centrali idroelettriche della zona durante tutto l'anno, grazie all'impressionante bacino di oltre 50 milioni di metri cubi d'acqua. Il livello massimo dell'invaso fu stabilito a quota 722,5 metri slm, mentre ai piedi della diga fu costruita la nuova centrale di Colomber (in caverna) che sfruttava il salto tra il bacino del Vajont e il livello piezometrico della diga stessa.
Il progetto della diga più grande del mondo fu preceduto dagli studi geologici tra le del Professor Giorgio dal Piaz, Fu l'accademico amico di Benedetto Croce ad insistere sulla collocazione dell'opera a valle del ponte del Colomber, posizione a cui si contrappose il Professor Hug di Zurigo che avrebbe preferito costruirla nella stretta del ponte di Casso.
Nascita di un colosso
Durante la fase progettuale fu considerato maggiormente l'aspetto relativo alla impermeabilizzazione delle pareti dell'invaso a causa della natura fortemente calcarea del Vajont, trascurando di fatto i movimenti franosi che già risultavano evidenti sul fianco del monte Toc, quello che causò la tragedia del 1963. Nel 1939 l'Ingegner Carlo Semenza concepì il sistema idraulico Piave-Boite-Maè-Vajont.
La rete idraulica era basata sul principio dei vasi comunicanti e comprendeva 5 serbatoi (Pieve di Cadore, Valle di Cadore, Pontesei, Val Gallina, Vajont) e 4 centrali idroelettriche (Gardona, Soverzene, Piave-S.Croce, Vajont-Colomber). I collegamenti tra serbatoi riempiti dal Piave e dai suoi affluenti erano garantiti da una serie di condotte in galleria e ponti-sifone spesso della lunghezza superiore ai 20 km. La rete idraulica, completata dalla grandiosa diga dominante la valle di Longarone, collegava una serie di serbatoi e centrali preesistenti potenziandone notevolmente la resa a prescindere dalla stagionalità delle portate.
Dopo un decennio di stallo dovuto alle conseguenze della guerra, il progetto della diga a doppio arco più alta del mondo riprese all'inizio del 1957, gestito dalla SADE (Società Adriatica Di Elettricità) e affidato per i lavori di carpenteria alla ditta costruttrice Torno di Milano. Il primo getto di calcestruzzo avvenne nell'agosto dell'anno successivo, il 1958. Per il trasporto dei materiali inerti in quota fu realizzata un complesso sistema di teleferiche della lunghezza di circa 1,500 metri in grado di trasportare dalla cava a 420m. slm. circa 175 tonnellate di materiali all'ora. Per le gettate di calcestruzzo fu utilizzato un grande "blondin", in pratica un silos su fune dove due gigantesche benne sospese sopra l'invaso del Vajont scaricavano il calcestruzzo per la costruzione in cemento armato delle pareti dell'invaso. In quota furono realizzati alloggi separati per impiegati ed operai, sia della SADE che della Torno.
Il cantiere (1958-1961)
Il grande cantiere aperto nel 1958 fu una manna dal cielo per una popolazione locale interessata da un fortissimo flusso migratorio, beneficio rafforzato anche dal fatto che gli operai della zona erano già altamente specializzati nella costruzione di dighe, spesso realizzate all'estero.
La realizzazione della diga del Vajont procedette speditamente con l'ultima modifica al progetto originario, che innalzò ulteriormente la quota dell'invaso ai 722,50 metri finali.
L'anno successivo, nel pieno dei lavori di costruzione, si verificò una frana nel serbatoio di Pontesei, parte del "sistema Vajont". Era il 22 marzo 1959 quando circa tre milioni di metri cubi di roccia e detriti si riversarono nel bacino idrico, fortunatamente senza gravi conseguenze. L'allarme era scattato.
I collaudi e la tragedia
Nel 1960 fu testato l'invaso sperimentale, che raggiunse la quota 650m mentre erano ancora in atto i lavori di costruzione della parte sommitale del doppio arco. Fu in questa occasione che si accentuarono gli smottamenti franosi, più volte minimizzati dal Professor Dal Piaz. Il 9 novembre 1960 una frana di circa 800.000 metri cubi rovinava dal fianco del monte Toc (da cui si staccherà la grande frana alla base della tragedia del 1963) nel bacino del Vajont, fortunatamente ancora ad un livello che permise alla struttura di contenere l'onda di piena. Dopo l'episodio gli ingegneri Edoardo Semenza (figlio di Carlo) ed il collega austriaco Leopold Muller si mossero abbassando il livello di invaso in via precauzionale, iniziando parallelamente a studiare piani strategici per poter rallentare o arrestare la frana, purtroppo mai messi in atto.
Nel frattempo il colossale lavoro di centinaia di operai terminò nell'ottobre 1961. La diga a doppio arco più alta del mondo era pronta per il ciclo di collaudi previsti dalla legge. Sarà proprio durante le successive prove di invaso che il fronte di frana riprenderà a muoversi alla rilevante velocità di 2 m/s.
Durante i collaudi, fu approvato lo riempimento dell'invaso fino ai 715 metri, quota mai raggiunta in quanto lo smottamento originatosi dal monte Toc stava accelerando progressivamente. Le operazioni di svuotamento del Vajont subirono rallentamenti dovuti anche all'intricato passaggio di testimone tra la SADE e l'ENEL, conseguenza della nazionalizzazione del mercato dell'energia elettrica del 1962.
Mentre procedevano le operazioni di svuotamento del bacino, alla 23:39 del 9 ottobre 1963 la storia della diga del Vajont si interrompeva bruscamente quando 270 milioni di metri cubi di terra e roccia si staccarono dal monte Toc sollevando un onda di 200 metri di fronte che, superando il coronamento della diga, provocò una frana che alla velocità di circa 100 km/h investì l'abitato di Longarone, spegnendo oltre 2.000 vite. E senza mai aver acceso una sola lampadina, perché l'opera orgoglio dell'energia nazionale non entrò mai in funzione.