Varsavia: Findelmonani honoris causa
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Varsavia: Findelmonani honoris causa

Un popolo che è stato attaccato, tradito, scomparso, reinventato, ma mai sconfitto. Ha toccato il fondo tante volte da capire che ogni fine è un inizio.

L’ordine è di ammazzare tutti gli abitanti di Wola, un massacro di massa.

Una donna incinta abbraccia i suoi tre bambini fino a quando arriva il loro turno e li sparano da vicino. 

Distesa a terra abbraccia ancora i tre figli morti quando si scopre viva, ferita ma viva, come il bambino che porta in grembo e che nasce lì, al quale chiamerà Mscislaw, che significa Vendicatore e vive ancora oggi.

Giocavamo a traversone dopo cena con il socio e Dario a San Lorenzo Nuovo, l’agosto  scorso, quando un uomo si presenta e parlando in inglese  ci propone amicizia. Accettiamo, e al posto di una notifica è arrivato lui, con sua moglie e una bottiglia di vino. Le magie dell'amicizia vis-à-vis. E questo è stato l’inizio di una settimana di bambini che giocavano insieme in piscina, grigliate e serate di vino e racconti. 

Come quasi tutte le amicizie estive era destinata a estinguersi col passare del tempo, ma la tenacia di non perdere di vista le persone con le quali si sta bene diede vita a un gruppo whatsapp, questo moderno modo di tenersi per mano e fare un giro tondo largo migliaia di chilometri. E settimana scorsa, quando a Milano la temperatura arrivò ai trentotto gradi, abbiamo preparato il bagaglio a mano e siamo partiti tutti i cinque per Varsavia, per ritrovarci a casa loro. 

I nostri amici ci aspettavano all’aeroporto Chopin, orgoglio nazionale, uomo dalle dita lunghe che in qualsiasi modo fa volare. Saliamo in macchina e faccio per chiudere la portiera “è come con le Ducato - pensai - solo questione di forza” e ho quasi scardinato  la porta scorrevole che richiedeva solo di premere un bottone. Mi piacciono quei momenti in cui tenti con fatica e con la forza di fare una cosa che poi risulta semplice, banale.

Un paio di ore di volo ci hanno portato alla scoperta di un popolo mai visto prima e che dopo tre giorni ho dichiarato Findelmondano honoris causa

Fuori dal finestrino scorreva la città attraversata dal fiume Vistola, vena che circola attraverso i quartieri e di fianco alle grandi strade della città. Quanto mi ricorda la mia Paranà e il suo fiume, ascoltatore attento, protettore di confessioni. 

Scopro guardandola che Varsavia è piena di verde, di spazio, e ha un cielo enorme, la cui presenza non deve essere facile d’inverno senza sole. I marciapiedi piastrellati e alberati di un quartiere di case basse  mi ricorda zone di Buenos Aires, non so se è perché si somigliano veramente o perché la mente cerca riferimenti. Si alternano costruzioni nuove e palazzi di austerità comunista, quel regime che i figli del capitalismo si stampano sulle magliette ma al quale, coloro che l’hanno vissuto, non vogliono tornare. 

Da un parco arriva la musica di un pianoforte, c'è un pianista che sotto lo sguardo di una enorme statua di Chopin suona le sue note, e tutto intorno c’è gente che ascolta: famiglie, coppie, gruppi di amici, anziani sdraiati sull’erba  senza protocollo ne visi concentrati, mentre un gruppo di bambini piccoli fa la guardia sotto un pino a dei piccoli topi di campagna. Mi sorprendono i parchi: sono enormi e curati, popolati da alberi secolari, scoiattoli che mangiano dalle nostre mani e  distese di prati puliti (i cani non sono ammessi) sui quali stiamo a piedi nudi e ci sdraiamo a guardare il cielo. 

Ma ora basta musica e fauna simpatica. Raduniamo i bambini che è ora di andare a mangiare. 

“E’ ora” nel senso più arbitrario ed ego riferito possibile: arriviamo al ristorante alle tre del pomeriggio, e non solo ci fanno accomodare ma portano anche matite, tovagliette da disegnare e palloncini per i bambini. Con il socio ci guardiamo increduli, ma arriva la birra bionda, fresca, saporita, e non ci pensiamo più. Ci affidiamo ai nostri amici per la scelta dei piati con una sola condizione: vogliamo mangiare polacco. E i nostri desideri vengono esauditi. 

La loro cucina ha una presenza importante di aglio, cipolla, maiale, ottimo pane, pepe, e di un elemento che adoro e che nel nord Italia è una specie di blasfemia: il burro. Si usa per cucinare e per spalmare sul pane. Ho gustato le loro zuppe, quella rossa con la barbabietola, e lo Zurek con patate e salsiccia, ho mangiato Pierogi di verdura e di carne e scelgo entrambi, ho mangiato Karp, la carpa in gelatina con le papate, ho mangiato tanto pane, spalmato di burro saporito e di pasta di avocado, formaggio bianco e aglio, ma la bruschetta che ricorderò per sempre è lo Smalec: impasto di grasso di maiale bianco, lardo e aglio spalmato sul pane con sopra cipolla tritata e peperone. Lo so che suona tremendo, invece l'ho trovato sublime. Ho mangiato meringhe ripiene di panna montata e frutti di bosco e una torta ripiena di crema. 

Abbiamo mangiato e bevuto felicemente, in ottima compagnia, ridendo, conversando, e ho ascoltato come la guerra sia ancora presente, come ogni famiglia ne sia segnata in qualche modo e abbia una storia da raccontare. Ho visto un video dove un aereo sorvola  la città ridotta in macerie, solo il fiume scorreva ancora, piangendo prima, e poi lenendo, ridando ascolto alla sofferenza e finalmente linfa per una nuova vita. 

Era difficile da credere che su quelle rovine avessero ricostruito la Varsavia che vedo oggi, civile, pulita, ordinata. Sono forti. Lo capisci dai loro sguardi centrati, dal loro stomaco, e dai leoni che, lontani da ruggire negli ingressi dei palazzi importanti, sorridono. 

Hanno vissuto la fine più volte, che è il modo per capire che la fine non è mai la fine ma un nuovo inizio. Sono spariti come nazione e sono ricomparsi, sono stati attaccati e distrutti, traditi, dominati. Ma non sono stati sconfitti. Findelmondani da capo a piedi, loro. E come tutti i “toccatori di fondo”,  goderecci, con uno sfondo di tristezza, un senso del umorismo veloce e critico, e mente aperta alle novità, che tanto il peggio è già conosciuto.

Sono salita in aereo per rientrare a casa tenendomi il fianco destro con due mani, pensando di avere un attacco di appendicite e sperando di arrivare in tempo in ospedale, ma sono bastati solo tre giorni di dieta e ho ritrovato la pace viscerale, nel senso più lato del termine, mentre in senso metaforico la ricerca è la parte interessante ed è sempre aperta. 

Penso a Varsavia oggi e vedo che la cattiveria umana può essere smisurata, ma vedo anche che non vince mai, anche se così può sembrare. Perché nonostante tutto da un parco si sente musica, che è stata scritta prima e che vivrà per sempre, perché la città è rifiorita sopra le macerie, e i sopravvissuti si sono amati ancora, e sono nati dei bambini che giocano sotto i pini, perché ci si ritrova attorno a un tavolo e mangiando come guerrieri si raccotano storie che tengono in vita ciò che bisogna sapere, e perché c’è un fiume con le sponde incolte che scorre, lava, nutre, e che quando vuole cresce a dismisura per ricordarci l’imprevedibile, la potenza e la pazienza. 

Varsavia mi ha insegnato che il Vendicatore non è colui che contrattacca e distrugge, ma colui che rinasce, ricostruisce ed è ancora capace di amare.





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Mercedes Viola