Alcune verità scomode sull'incidente di Mestre
Quali sono i problemi strutturali sulle strade italiane che sono diventate mortali sul cavalcavia di Mestre
Ci sono alcune verità che all’accadere di gravi incidenti come quello di Mestre improvvisamente dimentichiamo. Fosse per rispetto o pudore, sarebbe una reazione comprensibile, ma non è così. Eppure le verità, o almeno alcune e innegabili, sono lì sotto i nostri occhi e sempre sincere, ma vengono mascherate fino a sparire perché un ministro, Matteo Salvini in questo caso, usa tre aggettivi di troppo – si controlli Ministro, lei rappresenta lo Stato, meglio una frase in meno che una in più – mentre l’opposizione la coglie come un’alzata imperdibile per fare la sua schiacciata sterile, gridando alla strumentalizzazione, seppure dimenticando di essere stata al governo per oltre un decennio durante il quale non abbiamo visto campagne di rinnovamento delle strutture stradali italiane, anzi, vedevamo molti soldi spesi per un florilegio di autovelox a scapito di buche, cespugli, cartelli stradali illeggibili o incomprensibili. E anche guard-rail che divengono arrugginiti o vetusti. Perché innanzi al numero degli incidenti stradali che aumenta si pensa a “fare qualcosa in più” ma non ci si chiede se, oltre le cattive abitudini degli autisti, non sia invece l’ambiente a essere divenuto inadeguato. E nell’impossibilità di avere nuove norme in tempi utili, l’importante è essere inattaccabili sul fronte delle responsabilità.
La verità però è sempre al suo posto, e allora varrebbe la pena di chiudere la bocca e aprire gli occhi facendo l’elenco delle cose vere e assolute sulle quali lavorare perché l’unico insegnamento che questa tragedia ci può dare è come fare perché non se ne verifichino altre simili.
Eccole, le verità: la massa e le dimensioni dei mezzi su ruote (tutti) è aumentata mentre la larghezza delle strade non altrettanto. Colpa dei percentili umani, sia chiaro: le nuove generazioni di persone hanno altezze medie maggiori e gli automezzi hanno seguito questo adattamento più in fretta delle infrastrutture. E con la massa, sulla terra aumentano peso e forza d’inerzia. I nostri guard-rail non hanno seguito la medesima rapida evoluzione, abbiamo strade con protezioni dell’ultima generazione e altre decisamente da sistemare. Seconda verità: quanti mezzi transitano, ogni giorno, su strade che sono state pensate e realizzate per numeri molte volte inferiori. Terza: l’autobus elettrico ha le batterie poste nella parte inferiore dove contribuiscono ad abbassare il baricentro aumentando la stabilità. Nessun progettista sarebbe tanto stupido di fare il contrario. Invece i cinesi lo hanno fatto, proprio su quel modello di pullman. Avranno fatto i conti, per carità, e non si sarà ribaltato per quello, permettiamoci però il dubbio.
Ma è altrettanto verità che una volta incendiate, le batterie si fa molta fatica a spegnerle, e il tempo necessario gioca contro la speranza di sopravvivenza. Abbiamo corso troppo nel tentativo di elettrificare il parco circolante? Questo dubbio, almeno, poniamocelo. Altra verità: dopo un volo di dieci metri non c’è normativa di “resistenza strutturale” che tenga. Neppure un carro armato Abrams resisterebbe, men che meno chi si trova all’interno. Figuriamoci un mezzo che dovrebbe offrire confort e finestrini ampi per fare del turismo. Siamo un Paese dal territorio piccolo e fragile, abbiamo una densità abitativa molto alta e questo significa che abbiamo poco spazio da sfruttare. Mestre, seppure non sia Genova, emblema nazionale dei viadotti e degli “svincoli micidiali” di De Gregori, è una via di transito della quale non possiamo fare a meno, un posto che i manager definirebbero strategico. E per questo meritevole di grande attenzione. Allora, molto prima del “chi ha sbagliato”, occorre capire perché non siamo in grado di prevedere, ma soprattutto gestire, le conseguenze dell’evoluzione dei mezzi e del tempo sulla nostra rete stradale. Inutile cercare facili soluzioni – se fosse facile non ci sarebbero incidenti - inutile puntare il dito verso le batterie e il guad-rail, perché il problema siamo noi che non ci rendiamo più conto del fatto che le infrastrutture sono state fatte quando il mondo piccolo dell’Italia era un posto diverso. E quando lo facciamo, è sempre in termini di budget e appalti più che di fattore umano. E poi, irrimediabilmente, ricadiamo negli stessi errori facendo finta che la verità sia qualcosa da scoprire.
Un altro elemento importante è dato dalle condizioni della strada, delle barriere in particolare. Il mezzo ha sfondato il guardrail e la seconda barriera in metallo che delimita il passaggio pedonale. "Le immagini dei filmati che abbiamo visto mostrano il pullman che si appoggia al guardrail che è quasi una ringhiera", dice all'Ansa lo stesso Fiorese. Le foto recenti mostrano in effetti una protezione bassa e arrugginita in più punti.
"Nel progetto da oltre 6 milioni di euro di rifacimento del cavalcavia erano compresi anche un nuovo guardrail e la modifica del parapetto", interviene l'assessore comunale di Venezia ai Trasporti Renato Boraso.
"O è un malore o è una dinamica legata al momento di grande traffico. Da quello che ho visto era un momento di grandissimo traffico", aggiunge Boraso. Si vede che "c'è stato un affiancamento. Io mi sono fatto un'idea del traffico, speriamo che la procura capisca bene cos'è successo", aggiunge precisando però di non avere le competenze per comprendere cosa abbia determinato l'incidente.
La strada sul cavalcavia è a doppia corsia, ma a causa dei lavori in corso in un punto precedente a quello dell'incidente il traffico era ridotto solo su una. Il restringimento però "c'è molto prima" del punto in cui il pullman è precipitato, ovvero quello della "discesa, tutto dritto", spiega Boraso. Al momento dell'incidente - dice - "il bus viaggiava a destra, lungo un rettilineo. La velocità era bassa", sia a causa del traffico, sia perché "in questa zona non puoi correre".
"Le indagini dovranno accertare le cause che hanno portato all'incidente, ovvero un malore dell'autista o un problema tecnico", dice l'avvocato Domenico Musicco, presidente della'associazione Vittime incidenti stradali sul lavoro e malasanità. "Si deve, tuttavia, già osservare che poco o nulla era stato fatto per prevenirlo - continua Musicco - mi riferisco al guardrail sfondato dal mezzo, che già ad prima vista appare di tipo 'vecchio' e comunque totalmente inidoneo a garantire la sicurezza su un tratto di strada pericoloso come quello. Si tratta infatti di un viadotto di grande percorrenza. Questo aspetto è già sicuramente al vaglio degli inquirenti e sarà oggetto di consulenze". "A dieci anni dalla tragedia di Avellino - conclude il penalista -, dove morirono quaranta persone a bordo di un pullman precipitato dal viadotto Acqualonga, ci troviamo così di nuovo a piangere oltre venti morti per protezioni vecchie e inadeguate".
Il prefetto: "Basta voci infondate"
"Girano voci infondate sull'incidente, i fatti sono che dobbiamo osservare ciò che la magistratura sta facendo. L'intera vicenda, dal punto di vista di polizia giudiziaria, è di competenza della procura. Per il momento non si può escludere nulla e sulla dinamica non ci sono novità. Sono in corso accertamenti capillari", ha sottolineato il prefetto di Venezia, Michele Di Bari.
"Il centro coordinamento soccorsi ha aggiunto - ha avuto contatti con i consolati dei Paesi di provenienza di vittime e feriti, ma notizie ufficiali saranno date esclusivamente dalla sala situazioni del ministero dell'Interno".
Il bilancio dell'incidente di Mestre
Le vittime sono 21. Si tratta dell'autista e di venti passeggeri. Solo sette sono state identificate (cinque sono ucraini). A perdere la vita anche due minorenni non ancora identificati. I feriti sono 15: 4 sono ucraini, un tedesco, un francese, un croato, due spagnoli e due austriaci. Quattro sono da identificare. Tre sono minorenni: una bimba ucraina è ricoverata a Padova, due fratellini tedeschi sono in ospedale a Treviso.