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Nuova via della seta: perché Pechino la vuole

I retroscena del progetto strategico di Pechino. Che promette benefici a tutti. Anche alle province cinesi occidentali

E' uno dei più grandi piani infrastrutturali e d'investimento della storia, con 1400 progetti finora realizzati, per un totale di quasi 260 miliardi di euro. Il suo ambiziosissimo obiettivo è rafforzare i collegamenti tra la Cina e 67 altri Paesi fra Asia, Europa e Africa, che rappresentano il 40 per cento del Pil e il 65 per cento della popolazione planetaria.

La Nuova via della seta è una colossale opportunità per l'Italia, il primo Paese del G7 ad appoggiare formalmente l'iniziativa strategica della Repubblica popolare cinese. Ma, come tutte le opportunità, il piano presenta anche insidie, rischi e trappole che potrebbero minarne l'efficacia.

«L’iniziativa è stata annunciata da Xi Jinping, in Kazakistan, nel settembre 2013» spiega il ricercatore Filippo Fasulo, l'esperto di Cina dell'Ispi. «Un mese dopo, in Indonesia, l'ha rafforzato, aggiungendo una componente marittima a quella terrestre» spiega Fasulo. «Così il progetto ha preso il nome di “Yi Dai Yi Lu”, che si traduce con “One Belt (la Cintura economica della via della seta), One Road (la Via della seta marittima per il ventunesimo secolo)».

Scelta astuta, quella di Pechino. Per far accettare i suoi progetti economici, ha richiamato alla memoria il reticolo di 8 mila chilometri fra itinerari terrestri, marittimi e fluviali su cui si snodavano i commerci fra l'impero cinese e quello romano. Un'evocazione suggestiva dell'età dell'oro e dell'epopea delle carovane di cammelli carichi di seta, giada, spezie...

«Nel 2017 lo stock degli investimenti cinesi in Europa ha pareggiato lo stock degli investimenti europei in Cina» continua Fasulo. «Ecco perché Pechino aveva bisogno di una narrazione per accompagnare i suoi investimenti all'estero, definendoli di “mutuo benefici”". E l’ha collegata alla tradizione della Via della seta, patrimonio comune a tutti i Paesi dell'Eurasia». Il messaggio subliminale, in sintesi, è che grazie all'iniziativa cinese torneremo tutti agli antichi splendori.

Non solo. «Il piano piace anche sul piano interno della politica cinese, perché favorirà le province occidentali più povere e più arretrate, che invece attraverso l’integrazione ferroviaria avranno un miglioramento delle loro condizioni economiche perché diventeranno la porta d’accesso verso l’Eurasia» continua il ricercatore Ispi.

Questa però è solo una parte del progetto, che va considerato nella sua interezza. «La Nuova via della seta in realtà è sinonimo di globalizzazione delineata, definita e promossa da Pechino» prosegue Fasulo. Di sicuro ci sarà un forte flusso di investimenti, ma occorrerà stabilire se saranno di “mutuo beneficio” per l'Italia, come sostiene Pechino, o se invece mireranno solo a catturare il nostro know how tecnologico, come accusano Washington e Bruxelles».

Il timore occidentale, insomma, è che, aderendo alla Nuova via della seta, l'Italia possa dare il via libera al piano espansionistico di Pechino in Europa. Come? «Favorendo l'ingresso di investimenti predatori e dando legittimità politica al progetto» conclude Fasulo. «A tutto ciò si aggiunge inoltre la preoccupazione che la Cina investa in settori cruciali come le telecomunicazioni».

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Elisabetta Burba