Baby Gang
(Ansa)
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Il cambiamento del gruppo

Ormai i social sono pieni di video fatti da ragazzi che davanti ad episodi di violenza di ogni tipo pensano bene di diventare cameraman, invece che soccorritori

A Roma un bambino di 12 anni, dopo un diverbio familiare, si è suicidato gettandosi dal balcone. Si è già analizzata l’importanza del sostenere i bambini e i ragazzi nella costruzione di strumenti necessari alla resilienza e di quanto lo stile educativo dei “genitori elicottero” infici in realtà questo processo. Quello che però è pregnante motivo di riflessione è che, in questo caso, l’accaduto è stato filmato da alcuni ragazzi. Ciò richiama alla mente come, nel recente passato, sempre più numerosi sono stati i casi in cui, vittime di violenza, sono state riprese da amici. Questi fatti pongono degli interrogativi relativi alle dinamiche di gruppo. Se in passato il gruppo era un elemento di sostegno e di protezione, la società odierna, nelle sue componenti narcisistiche ed individualistiche, lo sta sempre più trasformando in un elemento di alienazione.

Nell’epoca contemporanea i processi di socializzazione, di interazione e di gruppo sono fortemente influenzati dalla digitalizzazione. La realtà per essere “vera” deve necessariamente passare da quella virtuale. Le due realtà sempre più di sovente finiscono per integrarsi e, in caso di bambini, preadolescenti e adolescenti, alle prese con l’importante compito di costruzione della propria identità, può creare importanti problemi sul lungo termine. Questa commistione tra realtà influenzerebbe infatti la percezione e la valutazione delle relazioni sociali alla base del sentimento di solitudine. La solitudine deriverebbe dall’insoddisfazione rispetto alla percezione che l’individuo ha delle proprie relazioni sociali. Questa comparirebbe nel momento in cui una persona sperimenta e riconosce una discrepanza tra le proprie aspettative circa le relazioni sociali e quanto, in quel momento, ottiene da tali relazioni. In letteratura, è stato ampiamente verificato l’effetto diretto negativo esercitato dal sostegno sociale su alcuni importanti aspetti del malessere psicologico tra gli adolescenti, quali lo sviluppo di problemi emotivi o i sintomi depressivi. La solitudine sarebbe anche conseguenza di esperienze stressanti, affrontate senza strumenti e supporto che si ripercuoterebbero in termini di difetti o di mancanze a livello di relazioni sociali.

Quando di parla di socializzazione si fa riferimento a quel particolare processo di apprendimento che è un momento essenziale attraverso il quale un individuo, da una parte, interiorizza senza riserve conoscenze, informazioni, simboli, credenze e comportamenti condivisi dai membri nell’ambito del gruppo di appartenenza e, dall’altra, produce altri valori che si traducono in norme sociali e successivamente in norme giuridiche. In tale prospettiva Il reale attore sociale non sarebbe più il bambino, ma la famiglia, la scuola, il sistema sociale nella sua interezza, ciascuno dei quali è chiamato a riflettere sulla sua infanzia. La socializzazione quindi, si realizzerebbe come un accumulo di esperienze, tra socializzatori e socializzati, si svolgerebbe in modo multidirezionale e ruoterebbe intorno allo sviluppo del bambino, dall’immaturità alla maturità, dalla devianza alla normalità. In questa prospettiva educativa diventerebbe possibile fornire adeguate abilità sociali e di lettura del mondo in grado di contrastare l’edonismo caratteristico dell’Era attuale.

Quando il bambino inizia a giocare in gruppo, passa dal “play” al “game”, un tipo di gioco in cui prevalgono un insieme di regole che tutti i partecipanti sono tenuti a rispettare e conoscere. Le regole del gioco non sono infatti altro che l’espressione dell’organizzazione dei diversi ruoli che ogni partecipante al gioco assume come proprio. Il bambino inizia a giocare in gruppo seguendo regole e convenzioni, assumendo ruoli diversi all’interno di un unico insieme organizzato. Il gioco è un momento importante nella costruzione della propria personalità, della propria identità, del modo di affrontare i problemi che ogni età può presentargli. Diventa altresì un anello di congiunzione tra la famiglia e la società, si consideri infatti che, a volte, i comportamenti dominanti all’interno del proprio gruppo di gioco hanno più peso di quello che può essere l’insegnamento della famiglia o di altre istituzioni. Oggi gli strumenti digitali hanno preso il posto della televisione, aprendo questioni educative ancora in discussione. Tale fase non tocca semplicemente il momento del gioco dei bambini, quanto la comunicazione talvolta assente tra figli e genitori che, il più delle volte, forse in maniera superiore rispetto ai minori, finiscono con l’essere preda della mania tecnologica a discapito di quei momenti intimi e privati che un genitore dovrebbe vivere con un figlio. Il confine tra pubblico e privato diventa così sempre più labile, a scapito di momenti di intrattenimento dove il gioco di quartiere, essenziale all’apprendimento di cosa significa essere parte di un gruppo e avere cura gli uni degli altri, lascia spazio a un gioco sui dispositivi, non necessariamente in compagnia, ma sempre più spesso in solitudine. Si creano inoltre nuove tipologie di conversazione. Il network esercita un vero e proprio predominio concettuale e sembra esaurire in sé tutti i fenomeni rilevanti dell’Età dell’Informazione o della Disinformazione. Citando la sociologa Turkle “I piccoli sorsi di connessione possono andare bene per raccogliere distinti brandelli di informazioni […], ma non funzionano altrettanto bene quando siamo esortati a vedere le cose da un altro punto di vista. Le conversazioni faccia a faccia si svolgono lentamente, insegnano ad avere pazienza, richiedono di prestare attenzione al tono della voce e alle sfumature. Quando invece comunichiamo sui nostri dispositivi ci abituiamo a una vita costantemente interrotta”.

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Cristina Brasi