violenza sessuale venti secondi italia legge stupro
(iStock)
News

Venti secondi: troppi per reagire a una violenza sessuale

La sentenza della Core d'Appello di Milano getta un'ombra sul consenso e sui reati predatori a sfondo sessuale gettando il Paese indietro di oltre trent'anni. Gli esperti: "Serve una riforma del codice penale"

Apparentemente, per la legge italiana, reagire a una violenza sessuale con 20 secondi di ritardo comporta l'assoluzione del proprio aguzzino.

Se pensate che si tratti di uno scherzo, non è così. Raffaele Meola, un ex sindacalista della Cisl, nei giorni scorsi è stato nuovamente assolto dall'accusa di violenza sessuale nei confronti di una hostess. La Corte d’Appello di Milano ha infatti confermato la sentenza di assoluzione emessa dal tribunale di Busto Arsizio nel 2022, evidenziando che la reazione della vittima agli abusi, avvenuta dopo venti secondi, non ha chiaramente dimostrato il suo dissenso. Con una postilla: non è che il giudice non abbia creduto alla donna, semplicemente, quei 20 secondi, sembrano essere un tempo di reazione sufficiente per rendere la vittima - sotto un certo e distorto punto di vista - consenziente durante la violenza.

Come sottolineato dal legale della donna coinvolta in questo incubo dal 2018, "questa sentenza ci fa tornare indietro di 30 anni rinnega tutta la giurisprudenza di Cassazione che da oltre dieci anni afferma che un atto sessuale, compiuto in maniera repentina, subdola, improvvisa senza accertarsi del consenso della donna è reato di violenza sessuale e come tale va giudicato". "Questa vicenda giudiziaria evidenzia ancora una volta l'urgenza di una riforma della norma prevista dall'articolo 609 bis del codice penale che definisca in maniera chiara che il reato di stupro è qualsiasi atto sessuale compiuto senza il consenso della donna, il cui dissenso è sempre presunto, così come previsto dalla Convenzione di Istanbul" ha aggiunto l'avvocato Manente che segue il caso "L'onere di provare il consenso della donna all'atto sessuale deve essere fornita dall'imputato. Attualmente l'attuale legge, unitamente a una giurisprudenza non specializzata, favorisce la vittimizzazione secondaria delle donne che denunciano e ciò è inaccettabile".

Cronaca a parte, per quanto disdicevole essa sia, fermiamoci un secondo a riflettere sul termine violenza sessuale. L'enciclopedia Treccani fornisce una dettagliata spiegazione di cosa si possa intendere per violenza sessuale sottolineando come essa sia un "Delitto commesso da chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso della propria autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Il codice prevede anche le ipotesi di violenza mediante induzione che si configura con la strumentalizzazione della vittima in condizioni di inferiorità psichica o fisica o con la sostituzione dell’agente ad altra persona per trarre in inganno la persona soggetta a violenza". E ancora, l'articolo 609-bis del codice penale recita: "Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi".

Venti secondi sono quindi un periodo sufficiente per comprendere cosa sta succedendo, realizzare pienamente quello che si sta vivendo e - in caso - reagire? E soprattutto: da quando scatta il timer dei 20 secondi? Dalla battuta fuori luogo? Dalla finta carezza casuale? Dalla palpata? O si deve andare più al sodo e il conto alla rovescia inizia solo nel momento in cui ci si ritrova già nel tritacarne della violenza? Questi sono dettagli ignorati da chi ha sostenuto, per più di una volta, che "sebbene la giustizia creda alla donna (che, tra le altre cose, oltre ad aver denunciato l'abuso, ha testimoniato insieme ad altre colleghe che avevano riferito comportamenti simili da parte del sindacalista- ndr.) questo "non avesse permesso di raggiungere la prova in dibattimento su quanto denunciato dalla hostess".

Se l'indignazione è totale, a raccontare meglio come l'Italia sia ancora indietro anni luce sulla questione degli abusi nei confronti delle donne è Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna e impegnata nel contrasto della violenza contro le donne attraverso la gestione di centri antiviolenza. "Questa sentenza è la riprova di quanto la nostra legge 66/96 sia motivo di gravi e continue violenze istituzionali" ha commentato "Rifiutiamo una democrazia che impedisce di fatto alle donne l'ottenimento di giustizia a seguito di stupro. Chiediamo con urgenza una nuova legge con parametri evoluti di giustizia senza più avere le nostre istituzioni contro". Nella sua battaglia a difesa delle donne, Elisa Ercoli si è più volte esposta raccontando come in Italia ancora oggi sia difficile parlare di consenso o comprenderlo pienamente. "In Italia fino al 1981 abbiamo avuto il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, ossia una normalizzazione e giustificazione della violenza sessuale e del femminicidio. Dal 1996, poi, il reato di violenza sessuale in Italia è stato contro la morale pubblica e non contro le donne e i loro corpi" spiega " ne consegue una fotografia in cui gli uomini sono abituati a retaggi di privilegi soprattutto in ambito familiare e in questi privilegi c’è ancora un’idea di sessualità come diritto ancora dispari". Ercoli spiega anche come "l'attuale legge, nata da un compromesso tra partiti e frutto di due decenni di lotte femministe, oggi sia molto poco progressista". "La potremmo chiamare una norma penale in materia di violenza di terzo tipo. Il tipo uno è il più progressista dove il sì è sempre sì, come avviene in Svezia per esempio. Il secondo tipo è quella del "no è sempre no". E poi ci siamo noi, il terzo tipo, il meno evoluto, quello in cui il reato è riconosciuto solo quando la donna dimostra che c’è stata minaccia e costrizione".

In conclusione, questa vicenda evidenzia una dolorosa realtà: il sistema giudiziario italiano non è ancora adeguatamente attrezzato per affrontare le problematiche legate alla violenza sessuale. La sentenza che ha assolto Raffaele Meola, basata su una tempistica di reazione di soli venti secondi, sottolinea una grave lacuna nella comprensione del consenso e della dinamica degli abusi. Come suggerito dagli esperti legali e dagli attivisti, è urgente una riforma dell'articolo 609 bis del codice penale che chiarisca inequivocabilmente che qualsiasi atto sessuale senza consenso è stupro. Questa riforma dovrebbe seguire le linee guida della Convenzione di Istanbul, presupponendo sempre il dissenso della vittima, e richiedendo all'imputato di dimostrare il consenso.

L'indignazione pubblica e le critiche degli esperti come Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, mettono in luce quanto sia necessaria una trasformazione culturale e legislativa per garantire giustizia alle vittime di violenza sessuale. L'Italia, con le sue leggi attuali, si trova ancora indietro rispetto a standard più evoluti di protezione e riconoscimento dei diritti delle donne. La battaglia per un sistema giuridico più giusto ed equo continua, con l'obiettivo di eliminare le violenze istituzionali e assicurare che ogni voce di vittima venga ascoltata e rispettata.

I più letti

avatar-icon

Rita Galimberti