Vitalizi ai parlamentari condannati: i dubbi sull'abolizione
Grasso e Boldrini ne stanno facendo una battaglia personale, ma c'è chi resiste tra diritti acquisiti e leggi pro e contro
Come tutti gli ex parlamentari, anche loro intascano una media di 4mila euro al mese di vitalizio. Solo che sono stati condannati in via definitiva per reati di vario genere, dalla frode fiscale alla corruzione, dal finanziamento illecito al concorso esterno in associazione mafiosa. 330mila cittadini hanno già firmato una petizione per cancellare questo privilegio, mentre dentro i Palazzi, a battersi in prima linea contro le superpensioni è il presidente del Senato Pietro Grasso sostenuto anche dalla presidente della Camera Laura Boldrini che ha definito “inaccettabile l'erogazione a corrotti e mafiosi”. Un provvedimento su cui quasi tutti, a parole, si dicono d'accordo, ma che finora in Parlamento non ha mai trovato la strada libera. Anche perché, trattandosi di un diritto acquisito – quindi in teoria inviolabile per quanto odioso - alcuni pareri giuridici contrari stanno rischiando di bloccarne il cammino.
Secondo Cesare Mirabelli, ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura e presidente emerito della Corte costituzionale, cui si sono rivolti i vertici di Palazzo Madama per avere una sua opinione (depositata ieri in occasione della riunione congiunta dei questori di Camera e Senato), l'eventuale revoca dell'assegno pensionistico dei senatori presenterebbe, infatti, profili di incostituzionalità.
Il testo della delibera del Senato
La delibera, messa a punto dal Consiglio di presidenza del Senato, prevede “la cessazione dell’erogazione dei trattamenti previdenziali a titolo di assegno vitalizio o pensione a favore dei senatori cessati dal mandato” che abbiano riportato “condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione” per reati (consumati o tentati) di mafia, corruzione e contro la pubblica amministrazione; oppure “condanne definitive superiori a due anni di reclusione” per delitti non colposi (consumati o tentati) per i quali la legge prevede la reclusione “non inferiore nel massimo a quattro anni”.
Le obiezioni
Ma si può fare? Intanto c'è da considerare il divieto di retroattività della revoca di un diritto acquisito. Secondo Mirabelli il "trattamento pensionistico è un diritto di rilievo costituzionale che può essere toccato solo con una adeguata giustificazione. E se la giustificazione è la condanna ricevuta in via definitiva, la revoca del vitalizio dovrebbe essere considerata una pena accessoria che non può essere comminata in modo retroattivo considerato il vincolo della tassatività e irretroattività della stessa legge penale". Senza contare che per normare una materia come questa, una delibera del Senato appare una fonte regolamentare inadeguata, mentre servirebbe una legge.
Far dipendere la cessazione dell'erogazione dell'assegno a una condanna penale rischierebbe, poi, di pregiudicare l'indipendenza del parlamentare nell'esercizio della sua funzione in quanto andrebbe a toccare una delle garanzie economiche previste. Esistono inoltre alcune leggi e sentenze che hanno dichiarato illegittima la privazione “degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico” a meno che non venga accertato, con una sentenza separata, che “il rapporto previdenziale abbia avuto origine in un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite connesse con uno dei reati indicati”. In tal caso trattare i parlamentari in modo diverso dagli altri dipendenti rischia di configurarsi come una violazione del principio di eguaglianza.
L'opinione di Grasso
Ragionamenti tutti infondati secondo il Presidente del Senato Grasso, convinto intanto che non sia affato vero che per togliere i vitalizi ai senatori condannati serve una legge dello Stato visto che il Senato è un organo costituzionale che può decidere in totale autonomia senza passare per il Parlamento. Inoltre sostiene che sia sbagliato considerare la loro abolizione alla stregua di una sanzione penale accessoria quindi non erogabile retroattivamente. Infine, porta a suo favore quanto stabilito dalla legge Severino, in base alla quale “quando una condizione di eleggibilità viene meno cade il presupposto sia per l’esercizio di una carica sia per la percezione di emolumenti che sono collegati ad una carica che non si può più ricoprire. E questo deve riguardare anche i vitalizi e le pensioni”.