Baby bulli
Getty Images/20 marzo 2017
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Vittime di bullismo: come recuperare l'autostima

Lo psicoterapeuta Silvio Ciappi spiega come possono essere superate le violenze subite dalle baby gang

La violenza non è mai “una ragazzata” e gli adolescenti violenti non sono “baby bulli” ma gruppetti di criminali spesso figli di famiglie "normali" che non respirano le subculture del degrado e dell’emarginazione.

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Dopo Vigevano, dove una gang composta da 5 baby-criminali per mesi ha brutalizzato, violentato, ridicolizzato e fotografato durante le violenze un ragazzino di 15 anni, la stessa violenza senza una giustificazione, si è ripetuta in provincia di Napoli, a Mugnano.

Qui la vittima è un ragazzino 14enne, picchiato a sangue solo per aver incrociato lo sguardo dei suoi aguzzini. Ma quando il giovane adolescente è rientrato a casa, i suoi genitori lo hanno fotografato, con le ecchimosi sugli occhi, il labbro spaccato dai pugni e i lineamenti “cancellati” dalle percosse.

I genitori, hanno voluto mostrare sul web la brutalità degli aggressori. Poco dopo, i componenti della gang grazie alla foto diventata virale su Facebook, sono stati identificati e fermati da carabinieri.

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Stessa cosa è successa a Vigevano, dove gli aguzzini del 15 enne sono finiti tutti dietro le sbarre dell’istituto per minori Beccaria di Milano.

Atroci sevizie sia psicologiche che fisiche.

Silvio Ciappi, psicoterapeuta e criminologo, è possibile per un adolescente sanare queste ferite?
Si è possibile, anche se occorre tempo. Spesso a seguito di casi del genere ciò che si determina è un forte senso di vulnerabilità e di inadeguatezza, che vanno a minare sia l'autostima che le relazioni con gli altri. Occorre quindi far sì che non si attivi un pericoloso schema di deprivazione emotiva, ovverosia è importante che il ragazzo venga il prima possibile preso in carico e supportato dalle persone significative. Spesso una delle conseguenze degli abusi è il senso di vergogna e di colpa, per la convinzione errata di essersi meritato ciò che è accaduto. È su questo senso di colpa che famiglia e professionisti sono chiamati a intervenire e lavorare.

Un'esperienza così traumatica ad opera di coetanei potrà, in età adulta, portare ad un rifiuto relazionale con gli appartenenti alla sua stessa generazione?
Sì, se non curata. Si avrà ad esempio la tendenza a circondarsi di persone che o ci ignorano oppure abusano di noi. Il modello che rischia di cristallizzarsi è quello di tenere gli altri a una distanza di sicurezza o intrattenere rapporti solo superficiali. Normalmente siamo portati a rivivere il nostro dolore, prolungando la nostra sofferenza: si tratta di ciò che Freud chiamava "coazione a ripetere". Come dico spesso, è difficile cambiare da soli. Si può cambiare solo se si può contare sul sostegno degli altri e recuperando un livello ottimale di libertà da uno schema che ci ha visto soccombere. Per fare questo occorre tempo e una valido aiuto che ci faccia recuperare la sicurezza di base. Se impieghiamo tutto il nostro tempo a preoccuparci per la nostra sicurezza personale non riusciamo a mettere in atto altri nostri bisogni evolutivi, come l'avere relazioni personali e intime gratificanti, recuperare un senso di padronanza di noi stessi e un po' di autostima.

Il web come nel caso di Mugnano a Napoli, può aiutare. Altre volte, invece, cristallizza per sempre le atroci sevizie subite su articoli stampa. Come può una vittima dimenticare il proprio trauma?
Qui s'innesta il contrasto tra esercizio del diritto di cronaca e tutela della salute mentale del ragazzo. Occorrerebbero forme che riuscissero a ottemperare a entrambe le esigenze. Sicuramente il fatto di rivedere a distanza di anni e di rileggere la vicenda che ci ha visto vittime non assicura un senso personale di reintegrazione e di fuoriuscita dal dolore traumatico. Solo a seguito di un profondo senso di ricostruzione del sé è possibile riaffrontare il proprio dolore.

Come incide sulla "guarigione" di una vittima di bullismo un articolo stampa che racconta in modo estremamente dettagliato le violenze subite?
Incide negativamente. Moltissimo. Anche in questo caso credo che dovremmo limitare il voyerismo cronachistico e limitarci a una generica descrizione dei fatti. Occorre fare in modo che il pattern di sottomissione venga con il tempo meno. È chiaro che una esposizione eventuale alla vicenda narrata non fa che riacutizzare il senso di impotenza della vittima. Forse potremmo prevedere una sorta di notizie che vadano sul web 'a tempo' e poi scompaiano, ma non so se questo sia realisticamente possibile. In caso contrario dobbiamo cercare di allenare i ragazzi a saper affrontare il riacutizzarsi del dolore a seguito della diffusione delle notizie. Su questo credo sia molto importante il contributo del gruppo dei pari, la loro vicinanza, la rete di solidarietà e di protezione.

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Nadia Francalacci