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(Ansa)
Tecnologia

Niente smartphone a scuola; i cellulari in classe distraggono e basta

Il ministro Valditara ha promesso una circolare che limiti l’uso dei telefoni cellulari in classe. La linea è quella giusta, ma resta il dubbio su come una circolare, anche dura, possa incidere su una realtà dei fatti ormai consolidata.

Lo smartphone distrae, attira, anzi di più, assorbe. E lo sappiamo tutti, perché quotidianamente tutti lo proviamo. Se durante una riunione si guarda lo smartphone, si perde il filo e si fa altro, se a tavola si dà un’occhiata allo schermo, finisce che si entra in un mondo parallelo e ci si isola, se si guida con un occhio alla strada e uno al telefono, si corrono rischi enormi per sé e per gli altri.

Che sia per noia, per ricercare una notizia, per curiosare qualcosa o per rispondere a qualcuno, lo smartphone è nemico numero uno della concentrazione per chiunque e in ogni occasione. Figurarsi per un adolescente, per di più alle prese con la quotidianità scolastica fatta di ripetitività, fatica, lezioni talvolta interessanti e altre meno, talvolta ripetitive, talvolta considerate a torto inutili. Il docente parla e il telefono si illumina, la lezione è anche stimolante e magari importantissima, ma il telefono vibra e non c’è modo di resistergli. In qualsiasi attività, quando c’è la possibilità di usare il proprio smartphone, c’è il rischio di perdersi, ad andar bene. La scuola non fa eccezione, per cui i telefonini andrebbero, anzi vanno limitati.

In questi anni il coro è stato sempre unanime: docenti genitori e anche alunni – quando è capitato – chiamati a riflettere sul ruolo del telefonino sulla concentrazione, hanno sempre avuto una e una sola posizione di condanna, eppure la circolare promessa dal ministro Valditara volta a limitare l’uso dei telefoni dall’alto del ministero, sottraendo probabilmente ai singoli istituti una certa libertà di azione, ha fatto scattare polemiche e contrarietà.

Va detto subito che una comunicazione non risolverà la situazione, piuttosto c’è il rischio che risulti una grida manzoniana, vale a dire un provvedimento severo senza alcuna efficacia reale, però occorre trovarsi d’accordo sulla necessità di rompere un andazzo che non fa bene alla quotidianità scolastica, cioè lo sdoganamento di fatto del telefono tra le mani, ormai nemmeno troppo nascosto sotto il banco, ma sempre più sopra, con naturalezza tra calcolatrice, astuccio, libro e quaderno.

In questi ultimi vent’anni la tecnologia a scuola ha seguito un binario di sviluppo parallelo. Da una parte, l’inserimento ufficiale degli strumenti a disposizione della didattica: qualche computer, poi lavagne interattive – le LIM – in ogni aula, con l’abbaglio di una nuova didattica digitale che non ha mai svoltato, fino al covid che ha aumentato esponenzialmente l’uso degli strumenti digitali da parte dei docenti e nell’azione didattica quotidiana. Dall’altra parte, ma in contemporanea, si sono fatti strada nelle tasche i primi telefonini, apparecchi che hanno poi seguito la loro repentina evoluzione, dando agli studenti strumenti sempre maggiori per essere collegati con il mondo al di fuori dell’aula. Con il covid, poi, ogni dispositivo proprio ha trovato spazio tra i libri, per la condivisione di materiali, video, filmati.

Ecco, ora si è a un bivio, perché se è vero che gli smartphone garantiscono alcune possibilità nuove e interessanti, come la ricerca di fonti in aula, o la condivisione di materiali senza ricorrere a fotocopie, è anche vero che permettono un’attività non didattica parallela, costante e incontrollabile. Senza pensare a tutto quanto possa accadere di illecito, dalla copiatura al bullismo, la sola deconcentrazione regolare basti a considerare lo smartphone un nemico degli studenti in azione, per cui un ospite indesiderato in classe. E’ semplice, se si studia servono attenzione, silenzio e stimoli terzi ridotti al minimo. Tutto il contrario di ciò che avviene con un telefonino in mano.

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Marcello Bramati