Non c'è più religione
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Non c'è più religione: ma il Presepe è multietnico – La recensione

Claudio Bisio e Alessandro Gassman protagonisti della nuova commedia divertente e garbata di Luca Miniero. Con un Bambinello da trovare ad ogni costo

In Italia si nasce talmente poco che diventa impossibile perfino trovare un bambino adatto a fare il Bambinello. Così bisogna ingegnarsi. E andarlo a scovare altrove, in barba alla tradizione più cristallizzata.

Parte da questa osservazione, impietosa ma realistica, il disegno di Non c’è più religione (dal 7 dicembre in sala), ottavo film di Luca Miniero, l’altro cineasta-prodige del cinema italiano accanto a Paolo Genovese col quale, forse non casualmente, ha condiviso la regia delle sue prime tre esperienze (Incantesimo napoletano, Nessun messaggio in segreteria e Questa notte è ancora nostra fra il 2002 e il 2008).

Un’eredità troppo “pesante”

Così, tra la palese constatazione demografica e il suo rovescio grottesco e semidolce, nasce la storia di un presepe vivente e assai movimentato che dovrebbe rispettare la costumanza di Porto Buio, isoletta mediterranea inventata e al tempo stesso vera nel cuore delle Tremiti; e che, invece, rischia di schiantarsi sotto il peso di quel ragazzino chiamato per anni a fare il Gesù in culla ma diventato adesso troppo grande e grosso per essere utile alla bisogna. Tanto che la culla-mangiatoia, appunto, si squarcia al primo impatto con i suoi chili, proprio al culmine della “prova generale”.

Naturalmente, niente sostituti. Perché gl’isolani, da tempo, non proliferano. Che cosa escogita, allora, il neosindaco Cecco (Claudio Bisio) per dribblare il guaio? Si rivolge alla comunità araba, che al contrario fa il suo dovere in tema di procreazioni, chiedendo in “prestito” un pargolo destinato a portare con sé tutt’altra coreografia rispetto a quella convenzionale. Impresa non proibitiva, visto che a capo di quella comunità c’è una vecchia conoscenza di Cecco, l’amico d’una volta Marietto (Alessandro Gassman) che s’è convertito all’Islam e adesso si chiama Bilal.

Scambio di riti e di ruoli

Scaramucce e bisticci. Ma l’affare si fa. Nonostante i sospetti degli islamici,  la mezza rivolta degli isolani più esterofobi  e la comprensibile resistenza di Suor Marta (Angela Finocchiaro), che prima di diventare tale s’era sentimentalmente intruppata sia con Cecco sia con Marietto. Insomma: un pasticcio che ne genera altri, tipo un lama al posto del bue, un Ramadan praticato dai cristiani, riti incrociati in chiesa (profetici, però, della domenica di condivisione), naturalmente un Bambinello musulmano e ancora nel grembo della moglie di Bilal-Marietto, Aida (Nabiha Akkari). Ma la giostra multietnica non si ferma qua. Perché anche sulla figura della Vergine c’è parecchia confusione e le Madonne diventano tre, di diversa intonazione religiosa: la cristiana designata Addolorata (Paola Casella), naturalmente l’avente-diritto Aida, a sorpresa Maddalena (Laura Adriani),  figlia del sindaco tornata incinta da un viaggio in Oriente e diventata buddhista.

Tra antagonismi e contrasti

Come finirà? Varrà la pena, com’è giusto, di nascondere l’epilogo. E ragionare su una commedia che sviluppa tutta la sua energia e il suo sistema comico sul costante gioco delle collisioni, dei contrasti, degli antagonismi ad ogni livello: razziale, di culto & cultura, sentimentale, sociale. Un processo realizzato con intelligenza e capacità critica attraverso una sceneggiatura  (oltre Miniero firmata da Sandro Petraglia e Astutillo Smeriglia) che concede ampio spazio all’azione, al movimento al dialogo strutturato, tagliente e rivelatore. Con un occhio, si capisce, alle sue conseguenze comiche sui tracciati di commedia colorata e chiassosa: mai dozzinale o popolaresca, però, sempre rispettosa di valori, etnìe e culture differenti fra loro.

Insieme: per amore o per forza

A volte le diverse comunità si guardano in cagnesco. Con diffidenza e sospetto, senza rancori nefasti. Il cinema, qua, sa farsi specchio della realtà generando, alla fine, una sorta di ensembleeterogeneo e trasversale, zeppo d’intime contraddizioni ma paradigmatico di una società multirazziale capace di convivere, per amore o per forza, in – possibilmente allegra – sintonia. Differenze già accese, su scala locale e regionale, quindi su distanze linguistiche e culturali più contenute, in Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord: modelli ai quali, dopo averne meritatamente assunto la paternità da regista, Luca Miniero si rifà, recuperando toni e modi felicemente sperimentati. Senza però ricalcarne i percorsi, piuttosto aggiornandoli, perfezionandoli e sviluppandoli con una certa delicatezza, mai rimuovendo l’area dei sentimenti.

Il film è amabile, garbato e divertente. Decorato di panorami suggestivi e cromatismi accesi nella fotografia di Daniele Ciprì. Agli attori già citati, in particolare ai tre più evidenti come personaggi e qualità di recitazione (Bisio, Gassman, Finocchiaro)  va aggiunto Roberto Herlitzka nella parte di un vescovo stralunato e spettrale cui è assegnato il compito di approvare e “benedire” quell’inedita espressione di presepe vivente.  Senza capirne fino in fondo tutti i caotici intrecci.

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Il momento topico: un "Bambinello" divenuto "bambinone" s'incastra nella mangiatoia e la schianta

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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