Perché la Cina ha bloccato anche WhatsApp, Facebook e Instagram
Dopo la stretta all’utilizzo delle reti private nate per aggirare il Great Firewall ecco l’ennesima censura: stop ai social network
La Cina ha bloccato WhatsApp, questa vota definitivamente. Nei mesi scorsi l’applicazione di messaggistica tra le più usate al mondo (in Oriente se la gioca con WeChat) aveva subito rallentamenti, problemi di accesso e difficoltà nella condivisione di materiale multimediale: foto, video, note vocali.
Rubinetti chiusi alla chat
Tutto un preludio a quanto accaduto il 25 settembre, quando il Great Firewall (qui vi spieghiamo cos’è) è stato impostato per chiudere le porte di accesso al servizio di proprietà di Facebook. E proprio la multinazionale del web è quella che più di altre sta patendo la censura di Pechino visto che il trittico dei social che gestisce, WhatsApp, Instagram e la piattaforma omonima, sono tutti inaccessibili nel paese.
Perché agisce così
A quanto pare, l’inasprimento contro forme di condivisione democratica digitale sarebbe dovuto all’avvicinarsi del 19esimo Congresso del Partito Comunista, che si terrà a ottobre, e che si focalizzerà anche sulle strategie a lungo termine del piano di cyber-controllo voluto dal Presidente Xi Jinping, che ha già portato a numerosi arresti negli ultimi mesi.
Le app bloccate
Dal prossimo febbraio entreranno in vigore norme più restrittive circa le modalità di utilizzo di internet, già pesantemente limitato dalla muraglia di bit cinese. La batosta maggiore spetterà a chi sviluppa, distribuisce (sia per vendita che noleggio) e usa reti VPN per aggirare il blocco degli IP e ricevere dati da siti web e applicazioni presenti in una sorta di black list governativa. Tra gli esclusi ci sono Google, YouTube, Gmail, Telegram, quasi tutta Wikipedia, Snapchat, Twitter, Dropbox e decine di tanti altri. Qui c’è l’elenco aggiornato.
Questione di etica
Oltre al business però c’è anche una certa dose di etica da prendere in considerazione. Se Facebook aveva tentato di entrare nel mercato cinese con Colorfoul Balloons, app realizzata da una società terza controllata da Zuckerberg e collegata alle dinamiche di WeChat, gli altri big non potrebbero mai sottostare alle regole volute da Pechino, che impongono la condivisione dei dati e delle informazioni personali degli iscritti con le autorità governative.
Collaborare con la polizia
La stessa WeChat, a metà settembre aveva confermato la diffusione, su richiesta, delle generalità e attività social dei suoi utenti con la polizia nazionale. Se oltreoceano la questione non ha generato grandi scalpori (anche perché l’app è totalmente autoctona) immischiarsi in questioni del genere potrebbe rappresentare un problema molto serio per le concorrenti occidentali.
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