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L’infanzia interrotta delle dive bambine

L’infanzia interrotta delle dive bambine

  • Cinque, sei, sette anni: un piccolo esercito di baby modelle in cerca di celebrità. Gestite da un manciata di agenzie tra Milano e Roma e da madri manager, entrano in un meccanismo che ne cancella velocemente l’infanzia. E le rende corpi da sfilata o da concorso, da comunicare sui social.
  • Le lolite social della porta accanto

Sfilano con sicurezza da top model. Durante gli shooting fotografici hanno pose da piccole dive. Su Instagram raccolgono migliaia di follower, alternando momenti domestici a frammenti pubblici. Hanno cinque, sei, sette anni. Spesso i capelli sono biondi, gli occhi chiari, alle spalle mamme con ambizioni nel mondo della moda: «Avevo molti sogni, ma poi sono rimasta incinta» sospirano di frequente, durante i casting come nei backstage.

È fatto di dettagli – rimmel e lucidalabbra, capelli cotonati e gonne corte – l’inaccessibile universo della moda bimbo, nel quale si è reginette fino al metro e 30 (poi si diventa troppo alte per indossare gli abiti delle case di moda), il giro d’affari supera i tre miliardi di euro annui ed è in costante crescita (+3,5 per cento nel 2019 secondo Confindustria Moda).

In questa dimensione mignon il potere è nelle mani di una manciata di agenzie che si concentrano fra Milano e Roma: oltre a cataloghi e pubblicità si contendono la manifestazione più importante, Pitti Bimbo, che si tiene due volte l’anno a Firenze e intercetta buyer e aspiranti modelle da mezzo mondo. Ultimamente sono numerose le polemiche collezionate dall’iniziativa, come quando le piccole vennero tenute un intero pomeriggio lontane dai genitori e senza niente da bere: «Neanche un bicchiere d’acqua per paura che chiedessero di andare in bagno o bagnassero i vestiti prima della sfilata» ricorda un insider con esperienza decennale nel campo. «Ci aspettavamo che i genitori avrebbero protestato, invece erano tutti in diretta Facebook. Per loro l’importante era esserci, anche se non erano stati nemmeno pagati».

Esserci. È questa una delle parole chiave per interpretare un fenomeno che si declina lungo la Penisola fra concorsi di bellezza (il più ambito è Miss&Mister Italia Baby, organizzato nel napoletano), sfilate improvvisate fra centri commerciali e spiagge, casting sfiancanti e lavori malpagati (i compensi oscillano da 50 a 300 euro per evento). Il sogno? Conquistarsi un posto al sole nello showbiz, ma anche un frammento di gloria di cui vantarsi con il vicinato. «Eppure» riflette la psicoterapeuta Maura Manca, presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza «insegnare alle bambine che il corpo può essere uno strumento per ottenere ogni cosa è molto pericoloso. Normalizzare e legittimare questo atteggiamento crea potenzialmente dei problemi nello sviluppo emotivo e psichico. Quello dell’infanzia è il periodo in cui si va a strutturare l’identità, e i rischi sono legati all’immagine corporea e all’accettazione di sé. Disturbi dell’alimentazione, ma anche bassa autostima e il rischio di “burn out”, stress ed esaurimento sono i pericoli principali».

Pericoli spesso sottovalutati. È di quest’estate la copertina di un settimanale che mostrava la figlia tredicenne di Francesco Totti e Ilary Blasi in costume da bagno, ed è recentissima la controversia sul film Cuties, diretto dalla regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré, che racconta di un gruppo di undicenni in un quartiere difficile di Parigi fra twerking ed emancipazione. Doveva essere, nelle intenzioni, una pellicola di denuncia, invece si è ritrovata al centro di una polemica internazionale per le inquadrature che scandagliano il corpo delle bambine, e per le riprese che le mostrano sensuali e maliziose. Lo scandalo è stato immediato, ha prodotto una petizione per la rimozione che sulla piattaorma Change.org ha raccolto 650 mila firme e l’hashtag #cancelnetflix imperversante su Twitter. Il danno d’immagine ed economico per la piattaforma (ben 9 miloni di euro evaporati in Borsa) è stato notevole, ciononostante il lungometraggio è ancora online.

Non è la prima volta che l’infanzia violata a suon di lustrini e rossetti attrae il cinema. In principio fu Bellissima di Luchino Visconti, nel quale Anna Magnani faceva di tutto per trovare un lavoro nello spettacolo alla figlioletta. Sono seguiti poi Little Miss Sunshine e il documentario Casting JonBenet, incentrato su un caso che negli anni Novanta sconvolse gli Stati Uniti: una reginetta di sei anni trovata ammazzata nella cantina della casa dei genitori in Colorado. «L’autrice Joyce Carol Oates» racconta la scrittrice Teresa Ciabatti «ne ha fatto un capolavoro con Sorella, mio unico amore, una bibbia capace di svelare l’idea che gli adulti hanno dell’infanzia: un’infanzia artificiale, in cui i genitori vivono una seconda giovinezza attraverso i figli, sperando di raggiungere la loro infanzia ideale».

Di genitori ossessionati dalla bellezza – capaci di sottoporre le loro bambine a diete iperproteiche, sedute dall’estetista per allungare le ciglia ed eliminare la peluria, dal parrucchiere per schiarire la chioma – ce ne sono molti. Protagoniste indiscusse sono le mamme che si riscoprono spesso, pur non avendolo mai fatto, manager spietate. «Ti tempestano di telefonate» rivela l’insider «per sapere se ci sono nuovi provini o se ci sono state risposte dai brand, fra di loro si fanno cattiverie di ogni tipo, mortificano le figlie quando non vengono selezionate e creano un ambiente competitivo sul set, come se la loro vita dipendesse da quale bambina uscirà per prima in passerella o da chi farà una foto in più».

Altre invece inseguono l’obiettivo come un gioco. È il caso di Emanuela Roccetti la cui figlia, battezzata BeatriceStar su Istagram, ha 11 mila follower e decine di servizi fotografici all’attivo: «La nostra storia è particolare. Beatrice è stata poco bene, quando è guarita abbiamo deciso di uscire dalla routine casa-ospedale. Adesso ha sei anni e mezzo, fa scherma, nuoto e tennis, ma si divide anche fra set e studi televisivi, lezioni di recitazione e canto. Vive tutto come un gioco, e sogna di diventare attrice modella a tempo pieno».

Una su mille ci riesce. Di certo è innegabile che le bambine di oggi crescano prima, e che spesso i genitori sottovalutino il giudizio degli adulti capaci di trasformarle in oggetti erotici. Proprio per tutelare l’immagine delle minori da anni è in corso una lunga battaglia. In prima linea c’è Terre des Hommes, che nel 2012 ha redatto la Carta di Milano, un decalogo per il rispetto dei più piccoli nella comunicazione. «È nata» spiega il direttore generale Paolo Ferrara «consultando 70 esperti della pubblicità e della comunicazione, e partendo dall’assunto che i bambini non sono oggetti ma soggetti attivi con sogni, valori e idee proprie. Con il decalogo abbiamo introdotto il concetto di ipersessualizzazione, nonché portato l’attenzione sul benessere psicofisico dei più piccoli».

Restano però numerosi problemi. «Spesso» prosegue Ferrara «è sottovalutata la portata delle immagini divulgate online. I bambini rischiano che il loro futuro venga ipotecato dalle foto diffuse a volte con troppa leggerezza, e quasi mai con il loro consenso, dai genitori. Social basati sulla diffusione di video e scatti, come Instagram, TikTok e YouTube, possono poi diventare luogo di minacce e di seduzione».

Gli ultimi dati del Telefono Azzurro a riguardo sono allarmanti: il 9,6 per cento degli adescamenti di minori nel 2019 sono avvenuti online (l’anno prima erano il 6 per cento) e il deep web è area prediletta per i pedofili che spesso si nutrono anche delle foto patinate dei minori. «A tutelare i bambini dovrebbero esserci le agenzie» racconta ancora l’insider di Panorama. «Viviamo però un momento difficile: a causa del Covid il nostro fatturato si è dimezzato, e da dicembre tante agenzie sono sotto ispezione da parte dell’Inps, con multe fino a 150 mila euro, perché i bambini, inquadrati sempre con prestazioni occasionali, non ricevevano la busta paga. Il risultato? Alcuni brand hanno cominciato a rivolgersi ad agenzie straniere, spagnole in primis, o ad alimentare il sommerso». Anche per questo è urgente una riforma, come ha evidenziato Bianca Laura Granato del Movimento 5 stelle che ha rivolto un’interrogazione al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli per chiedere maggiore attenzione nel trattamento delle più piccole. «Bisogna» dice Granato «porre limiti “all’oggettizzazione” della donna, soprattutto se minore, e risolvere il problema dello sfruttamento in passerella». Sarebbe forse utile nominare il Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, ma anche stabilire nuove norme. In questo modo si eviterebbe che bambini come C. a fine anno arrivino a fare 50 giorni di assenza in terza elementare per «aver lavorato», che altre come T. vengano ustionate da una piastra per capelli prima di un servizio fotografico, che altre ancora scoprano da adolescenti il loro passato da baby lolite attraverso i social di mamma e papà.

*Flavia Piccinni, autrice di questo articolo, ha pubblicato il libro Bellissime (Fandango), dedicato al fenomeno delle dive bambine.

Le lolite social della porta accanto

L’infanzia interrotta delle dive bambine
Ansa

Truccatissime, sfacciate, vestite per essere notate. Tante ragazzine fin dalle scuole medie vivono con nuove regole, pronte a mettersi in piazza e sui social senza grandi pudori, tra balletti di TikTok, foto scambiate e una precoce sessualizzazione. Identikit di una generazione dirompente.

di Massimo Castelli

«Oggi un signore che poteva essere mio nonno mi fa: “Dove vai bella figa?”». Giulia, 13 anni, milanese, nei suoi pantaloncini jeans davvero troppo corti racconta che «gli adulti mi fischiano dietro praticamente tutti i giorni e lo fanno da un sacco di tempo. Lo so che vestendomi così attiro gli sguardi, ma a me non dispiace. Anzi. Basta che tengano la mani a posto». Sfacciataggine, lolitismo, affermazione di libertà: questa ragazzina, preadolescente sincera, non è che una testimone della social generation, quella della sessualizzazione precoce ripresa dai cellulari e condivisa sui social, quella delle forme acerbe esasperate dall’abbigliamento. Le si vedono in giro, piccole dive della porta accanto, truccatissime e strizzate nei loro vestiti di ordinanza.

Anche Giulia (nome di fantasia) porta un crop top nero e ben scollato che lascia scoperte spalle, schiena e pancia. Luccicano i capelli piastrati, le labbra fiammanti. Mentre dietro un vistoso uso di eyeliner e mascara, gli occhi vispi vagano per poi tornare sempre lì, allo schermo del telefono con le sue «notifiche» di Whatsapp, TikTok, Instagram, le app che la tengono agganciata al mondo. In strada fischiano, ma non c’è richiamo più forte di un iPhone che vibra.

Il fenomeno è così vasto nel mondo occidentale da rendere quasi insensata la campagna di queste settimane per boicottare un piccolo film di successo che lo racconta a suo modo – Mignonnes, altrimenti intitolato Cuties. Si accusa Netflix di voler sessualizzare le undicenni che nella pellicola hanno come unico scopo quello di apparire e avere successo con atteggiamenti sensuali e balletti. La gabbia del politicamente corretto riuscirà a cambiare quella che a tutti gli effetti è la realtà?

«È un fatto che siamo di fronte a una precocizzazione dell’infanzia e alla sua sessualizzazione, ma bisogna capire cosa è accaduto» riflette Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di Milano che nel suo ultimo libro Cosa serve ai nostri ragazzi (ed. Utet) parla anche di questo tema. «Nel giro di una generazione siamo passati da una società normata con una forte attenzione all’altro, a una che mette il bambino al centro del mondo. I genitori gli chiedono di prendere decisioni, di esprimersi il più possibile, di essere protagonista. E se sale due volte sul divano lo iscrivono al corso di arrampicata. Inoltre» prosegue lo psicologo «la società in cui crescono è votata a individualismo e successo. Non sorprende che un ragazzino desideri essere speciale già prestissimo e cerchi quegli sguardi di ritorno, in strada come sui social, che gli confermano di valere, o addirittura di essere popolare. Peccato che non tutti abbiano doni particolari, per esempio suonare la chitarra. E che qualche bambina finisca per crucciarsi di non essere abbastanza famosa o bella, al punto di doversi truccare e svestire e fare video dove si muovono i fianchi per avere like. E ci dobbiamo chiedere: è una nuova patologia di massa o una nuova normalità?».

Lo «sguardo di ritorno» dei social ha un’attrattiva ipnotica. In Mignonnes non si vedono schermate TikTok o Instagram, ma se ne intuisce l’utilizzo mentre le ragazzine imparano a twerkare (cioè a muovere a ritmo il «lato B» verso l’esterno, sia in piedi sia sdraiate a pancia in giù), osservando i video delle cantanti americane più trash e replicandone le coreografie. «Il mio primo idolo è stata Nicki Minaj, volevo essere lei» confessa Giulia citando la controversa rapper americana nota tanto per la volgarità quanto per aver venduto 100 milioni di dischi nel mondo. «È così sicura e orgogliosa delle sue forme… Guardando i suoi video musicali ho imparato a muovermi un po’ come lei, a truccarmi un po’ come lei. Poi è arrivato TikTok e ho iniziato anch’io a fare i miei video».

Sulla discussa app cinese si possono registrare e condividere brevi coreografie al ritmo di canzoni orecchiabili. Negli ultimi sei mesi in Italia ha triplicato gli utilizzatori (oggi circa 6 milioni), che hanno un’età sempre più bassa anche se il limite sarebbero 13 anni. Qui comandano le «muser», ovvero le influencer di TikTok. Tra le più famose ci sono Charli D’Amelio (16 anni, 88,4 milioni di follower), Addison Rae (19 anni, 61,6 milioni di follower), Loren Gray (18 anni, 47,6 milioni di follower).

«La mia preferita è stata a lungo Lea Elui, la volevo imitare» dice Giulia riferendosi a Lea Elui Ginet (19 anni, 12,6 milioni di follower), francese dal giusto mix tra simpatia, sensualità e look, fondamentale per far breccia tra le giovani. «Sui social e non solo io seguo Elettra Lamborghini, troppo forte» racconta a Panorama una quattordicenne appariscente, sempre milanese, che chiameremo Carlotta. Anche lei truccatissima, una canotta spudorata usata come top, pantaloncini e cintura dalla fibbia a doppia G: Gucci è un must. La cantante italiana soprannominata Twerking queen per lei è sempre stata un mito. «Quando si poteva ancora andare agli eventi dove presentava i dischi mi facevo portare da mia mamma, abbiamo anche un selfie insieme. Se twerco nei miei video su TikTok? A volte sì… Lo faccio quasi sempre quando ci sono musiche spagnoleggianti».

Ultimamente sono molto apprezzate le canzoni genere reggaeton, per ancheggiare come le portoricane di Miami («Tutte vogliono essere latine!» commenta Carlotta). Un esempio di brano «caldo» è El Efecto, diventato famoso dopo che l’attrice Ester Expósito ha messo online un video in cui lo balla con sensualità. I suoi gesti sono coreografia per un’infinità di giovani intorno al mondo con tanto di sfida alla miglior performance (ha un totale di 40,4 milioni di visualizzazioni).

Altre due hit per inquadrare il genere si chiamano Me reclama e soprattutto il tormentone di Dj Pedro Fuentes, Rompelo!, con riferimenti al fondoschiena. E certamente la scritta «Explicit» sulla cover del disco non ferma nessuno.

«Crop top, pantaloncini sexy… Le ragazze oggi si vestono per emulare muser e influencer, e sono i brand di fast fashion ad adeguarsi alla richiesta, non il contrario» spiega Paola Salvatore, vicedirettore del femminile TuStyle. «Oggi i riferimenti arrivano dai social e l’estetica che vi si trova sta imperando, compresi i balletti ammiccanti ormai replicati da bambine sempre più piccole».

Un fenomeno notato dalla stessa Giulia: «Si è superato il limite. Ci sono bambine troppo piccole che fanno video dove vogliono sembrare provocanti ma alla fine sono imbarazzanti. Nate nel 2010 che si truccano e fanno le fighe: provo disagio per loro». «Il guaio» osserva ancora Paola Salvatore «è che i genitori pensano di controllarle ma loro hanno doppi, tripli profili dove si mettono in mostra come agli adulti non piacerebbe. Con il serio rischio di venire approcciate da uomini con false identità».

È così, e la triste conferma arriva dalla cronaca. Ecco alcuni titoli di recenti giornali online: «Su TikTok allarme pedofili: 44enne fiorentino voleva adescare minorenni»; «Modena, pedofilo usa TikTok per adescare minori»; «Genova, adescava ragazzine minorenni su TikTok e Instagram: impiegato 30enne nei guai». Esistono gruppi Telegram e anche Instagram che raggruppano le immagini di questi piccoli e piccole che si sono messi in mostra su TikTok per commentarne la molto presunta procacità. Pochi giorni fa è stata la stessa società ad annunciare di aver bloccato circa 104,5 milioni di video a livello globale perché – tra l’altro – contenevano nudità e attività sessuali di adulti (nel 31 per cento dei casi) e perché non erano sicuri per i minori (22 per cento). Oltre ai balletti c’è di più.

«Una volta mi ha scritto un tipo chiedendomi foto dei piedi che ovviamente non ho fatto» conferma Giulia. «Ma non ho denunciato nulla, troppo sbattimento, ho solo bloccato. Instagram è più sicuro, e infatti lo usiamo per parlare con ragazzi carini e magari uscirci anche se non li conosciamo. Tanto risalendo ai loro contatti si sa di quale giro sono. Se i grandi usano Tinder (l’applicazione per fare sesso mordi e fuggi, ndr) perché noi non possiamo usare Instagram?».

Ma a sentire Matteo Lancini, che ogni giorno si occupa dei problemi di questa generazione, è tanto fumo e poco arrosto. «Erotizzano, precocizzano, espongono il corpo in maniera esagerata secondo i nostri canoni, ma è un atteggiamento più scenico che intimo» spiega. «Risulta ci sia molto più sexting, con l’invio di immagini, che sesso. È la loro caratteristica distintiva. È una sessualità che potremmo definire narcisistica e che non corrisponde all’idea di chi appartiene a generazioni passate, quando nella società più sessuofobica si cercavano atti proibiti. Il rovescio della medaglia è che mentre pensano di essere già grandi, può capitare che quelle immagini girino, e la cosa sfugga di mano. Si diventa popolari nel modo sbagliato. Mortificati, ci si può vergognare di essere al mondo. Gli adulti che li mettevano al centro di tutto, adesso non dimentichino questi rischi».

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