Gli animali domestici, da sempre, hanno un posto di riguardo nello star system. Ora un libro racconta quelli «nobili». Una storia di re, regine, papi e cardinali e dei loro amici a quattro zampe
Miley Cyrus è arrivata ad avere otto cani, tra bulldog, chihuahua, pitbull e beagle, tre gatti, due cavalli e un maialino. Taylor Swift ha scelto Benjamin Button, il suo gatto ragdoll, per il video Me! e Jessica Chastain mostra con orgoglio su Instagram il cagnolino Chaplin, mentre David Beckham adora il suo cockapoo Simba, ed Emmanuel Macron con la moglie Brigitte stravedono per il cane Nemo, un bel Labrador Retriever-Griffon, da poco affiancato da Jules e Jeanne, due levrieri tazy. Sono soltanto alcuni esempi del gotha degli animali domestici che si accompagnano a politici e personaggi dello star system.
Ma la storia dei migliori amici delle celebrities non è recente. Sono moltissimi i cani e i gatti che hanno avuto il privilegio di potersi accomodare accanto ai troni o alle poltrone del potente di turno, spartendo gli onori dei protagonisti di ogni tempo. Ha pensato di raccontarli Enrico Ercole, autore del saggio V.I.P.Very Important Pet (Rossini Editore), in arrivo in libreria.cAl centro della trattazione, gli animali domestici che hanno condiviso la vita di re e regine, papi e cardinali, diventando spesso autentici confidenti. Come nota Ercole, giornalista e direttore artistico con Riccardo Mazzoni del festival La città dei gatti, «la vita di un regnante, malgrado le apparenze, è fatta di grandi solitudini. Per cui i sovrani di tutte le epoche molto spesso hanno ravvisato in questi animali, quasi sempre cani, un’amicizia spontanea che non aveva nulla a che vedere con il loro lignaggio. Federico II di Prussia si faceva leccare i baffi da Biche, una whippet fiera e slanciata cui erano riservati tutti gli onori, magari negati ai familiari più vicini.
Maria Stuarda decise di andare al patibolo tenendo il suo cagnetto nascosto tra le pieghe della veste rossa e Carlo I d’Inghilterra, anche lui condannato a morte, chiese di trascorrere l’ultima notte di vita insieme ai suoi spaniel». Le attestazioni dell’amore per gli aninali domestici non mancano: Carlo V nel suo ritratto eseguito da Tiziano si fece immortalare con un elegante molosso bianco Sempere e Pietro il Grande di Russia e Maria Teresa d’Austria decisero di fare impagliare i loro cani. Ai pet di allora era riservato ogni tipo di attenzione ma, a differenza di oggi, non venivano creati capi sartoriali su misura. L’unico ornamento alla moda era il collare. «Ci sono ritratti di nobili in compagnia dei loro cani, con collari tempestati di pietre preziose, e molto spesso su questi accessori era inciso il motto del sovrano» spiega Ercole. «Una storia curiosa riguarda Bernabò Visconti, signore di Milano nel XIV secolo. Aveva dei molossi ferocissimi che teneva nel cortile del suo palazzo. Periodicamente li lasciava andare liberi in giro per Milano, rendendoli riconoscibili grazie al suo nome inciso sul collare. In città era facile riconoscerli, e quando entravano nei cortili dei palazzi dei nobili, questi avevano l’obbligo di sfamarli». I cani la fecero da padrone per molto tempo. Per secoli i gatti servirono solo per dar la caccia ai topi, e bisogna aspettare il Settecento per veder dilagare la moda dei felini da appartamento. Tra questi, nelle cronache spicca la storia del gatto Brillant, un persiano bianco come quello del Numero 1 dei film di 007, offerto in dono a re Luigi XV. «Il sovrano se ne innamorò perdutamente e i nobili furono obbligati a riservargli il saluto che si deve a un duca».
Ma già un secolo prima c’era stato qualche segnale della futura tendenza. Nella prima metà del Seicento lo scrittore orientalista Pietro Della Valle importò in Italia dalla Turchia i primi gatti d’Angora, suscitando un notevole interesse. A quell’epoca fu un anticipatore il cardinale Richelieu, che aveva una vera venerazione per i suoi 14 gatti. Nel suo palazzo riservò un appartamento di quattro stanze ai suoi amici felini, che avevano nomi importanti, come Lucifero, Ludovico il Crudele, Soumise, ovvero sottomessa, Perruque e Racan, chiamati così perché nati dentro la parrucca del poeta Honorat de Bueil de Racan. A proposito di nomi estrosi, la storia si ripeté con i gatti di Freddie Mercury, rockstar e grande appassionato di felini: Dorothy, Tiffany, Tom, Jerry, Delilah, Goliath, Lily, Miko, Oscar e Romeo. Il frontman dei Queen dedicò una stanza a ciascuno di loro e al telefono intratteneva gli amici con i loro miagolii. Sulle riviste di gossip si parla molto di amici a quattro zampe. Ranieri di Monaco era molto affezionato a Odin, un griffon korthal, ed era ricambiato, come dimostra una foto del funerale del principe, con il cane fedele che segue la bara a testa bassa. E restando a Monte Carlo, la principessa Charlene, consorte del Principe Alberto II, ha pianto la perdita dello yorkshire Carlo e del chihuahua Monte.
Anche l’Inghilterra vanta un’importante tradizione di pet d’alto rango. Fanno parte del passato i corgi della Regina Elisabetta, mentre appartengono al presente i due Jack Russell di Camilla, chiamati Beth e Bluebell, fatti ricamare dalla regina consorte sull’orlo basso dell’abito dell’incoronazione. Una passione che risale ai tempi della regina Vittoria, che aveva un pittore di corte designato a dipingere i suoi cani. «Amava visceralmente i cani e nei suoi castelli faceva costruire canili che erano dei villaggi, dotati di impianti di acqua calda» nota Ercole. «Appena incoronata, in barba al cerimoniale, andò subito a dar da mangiare alla sua cagnetta». Dal canto suo, Sissi, l’imperatrice d’Austria, aveva una mania per i cani giganteschi. «A quel tempo le dame avevano piccoli cagnetti petulanti, e lei che andava sempre controcorrente, fu la prima a portare al guinzaglio un irish wolfhound, che tra l’altro uccise un cagnolino della cognata, la principessa Carlotta del Belgio».
Ma non si tratta soltanto di cani e gatti. In passato a corte si poteva vedere ogni sorta di animali. I sovrani africani e orientali portavano i loro doni più esotici ai regnanti occidentali. Carlo X ricevette una giraffa, Luigi XVI ebbe in dono un rinoceronte, e fin dalla scoperta dell’America, i pappagalli erano diventati di gran moda, senza dimenticare le scimmie, che nel Rinascimento e nel primo Seicento erano vestite da paggetti. «Spesso questi animali ebbero vita breve» conclude Ercole. «Una giraffa arrivò a Firenze, alla corte dei Medici. Non c’era una stalla abbastanza alta per poterla tenere dentro, e sbatté la testa contro una trave. Così morì a causa di un trauma cranico».