La politica agricola Ue fra tagli e invasione cinese
(Imagoeconomica)
Politica

La politica agricola Ue fra tagli e invasione cinese

Continua la lotta della Commissione europea contro il comparto agricolo continentale, mentre crescono esponenzialmente le importazioni da Cina e Brasile. Il ridimensionamento della Pac servirà a finanziare le spese per la transizione green e la Difesa.

I trattori sono pronti a rimettersi in marcia. Ursula von der Leyen, che aveva promesso - con il palazzo Berlaymont assediato e bombardato da quintali di letame - di varare provvedimenti a favore degli agricoltori, rischia di dover fronteggiare di nuovo una durissima protesta.

La partita agricola è la più delicata per il mandato bis della presidente della Commissione europea e il ministro italiano per l’Agricoltura e la Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, fin dal marzo scorso si è fatto portavoce della necessità di cambiare la Pac, Politica comunitaria del settore, agendo su quattro capitoli: far arrivare i contributi diretti ai coltivatori, sburocratizzare, togliere di mezzo la strategia «Farm to Fork» e affermare i principi di reciprocità (non si può importare merce che non abbia gli stessi requisiti di quella europea) e certezza di origine. La risposta che arriva dai vertici di Bruxelles per ora è deludente. L’aria che tira è di un ridimensionamento dei contributi agricoli, di una ripresa sia pure mascherata dei limiti del Green deal a cominciare dal via libera ai «novel food» (latte e carne sintetici) per limitare le emissioni zootecniche e di nessun ascolto per quanto riguarda il problema della reciprocità.

Una riprova viene dall’accelerazione che la Von der Leyen ha impresso all’accordo Mercosur con i Paesi latinoamericani. Il Brasile, che è il primo fornitore agricolo dell’Europa (compriamo quasi 10 miliardi di prodotti) negli ultimi cinque anni ha incrementato del 38 per cento l’uso di chimica in campo, e utilizza 42 molecole vietate nel Vecchio continente. Lo stesso vale per la Repubblica popolare cinese, che è il nostro secondo fornitore. Proprio su quest’ultima è arrivato un fortissimo richiamo di uno dei principali attori dell’agroalimentare italiano: Francesco Mutti. In un’intervista al quotidiano Financial Times ha rilanciato l’idea di un dazio fino al 60 per cento sulle importazioni di pomodoro cinese. «Quel prodotto offende la dignità del pomodoro italiano» sostiene Mutti, il «re» della passata, «non risponde ad alcun requisito né sanitario, né qualitativo, né etico». Secondo l’imprenditore serve un fortissimo dazio o, in alternativa, avere il coraggio di fare come gli Stati Uniti: bloccare l’importazione.

Del resto, è noto che Pechino impiega per la raccolta dei pomodori nella regione autonoma dello Xinjiang gli Uiguri, la minoranza etnica vessata e trattata con modalità schiavistiche. Gli eurodeputati della Lega - Anna Maria Cisint, Susanna Ceccardi, Silvia Sardone e Roberto Vannacci - hanno presentato all’Europarlamento un’interrogazione per richiedere il blocco di quei prodotto asiatici. Per quanto riguarda l’Italia, quest’anno sono più che raddoppiati (+164 per cento) gli arrivi di derivati di pomodoro dalla Cina per un totale che alla fine dell’anno potrebbe superare le centomila tonnellate, pari a circa il 15 per cento della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente.

Partendo da qui il ministro Lollobrigida ha deciso di chiedere un’accelerazione della revisione della Pac e soprattutto chiarezza per quel che riguarda gli annunciati tagli ai contributi. Nel nuovo budget la Von der Leyen, per continuare a investire sul Green deal (che tra i suoi vari effetti sta provocando il collasso dell’auto europea) è intenzionata a tagliare i fondi di coesione (sono le risorse che dovrebbero servire ad appianare le diseguaglianze territoriali nel continente) e soprattutto quelli della Pac. Da uno studio condotto da Farm Europe ed Eat Europe, qualora il budget agricolo rimanesse invariato, nel 2034 il suo valore economico reale potrebbe essere appena il 46 per cento di quello del 2020.

Per quel che si sa, la presidente della Commissione intende sforbiciare subito i contributi (meno di 380 miliardi di euro in sette anni divisi per 27 Paesi, con una spesa che non arriva al 30 per cento del bilancio comunitario) per dirottarli sulle energie rinnovabili e la difesa. Peraltro Emil Boc, ex primo ministro di Bucarest e presidente della commissione Politica di coesione territoriale e bilancio Ue, ha detto che la previsione della Commissione con i tagli di budget per il prossimo quadro finanziario pluriennale della Ue è un terremoto capace di far crollare l’intera Europa.

I più letti

avatar-icon

Carlo Cambi