Il ponte delle spie di Steven Spielberg: 5 motivi per vedere il film
Thriller vecchio stile solido e teso, attraverso la storia di un eroe comune tesse una sobria riflessione sui valori delle società democratiche. Con un Tom Hanks magistrale, una volta di più
Thriller di spionaggio dall'impianto classico ambientato durante la Guerra fredda, plumbeo e solido, Il ponte delle spie vibra della profondità magnetica di Tom Hanks, che viene fuori imponente sulla lunga distanza. Steven Spielberg tiene sospesi e avvinti, sul filo di un gioco di interessi, ideali e macchinazioni. I fratelli Coen fanno il resto, popolando la sottile tensione di un umorismo sottile e misurato.
Dopo aver chiuso il Courmayeur Noir in Festival, il film arriva al cinema dal 16 dicembre in 300 copie distribuito da 20th Century Fox e si candida a essere fra i protagonisti degli Oscar 2016. Ecco 5 motivi per vedere Il ponte delle spie:
1) Alla riscoperta di un eroe normale
Dopo il biopic su Abraham Lincoln del 2012, Spielberg rispolvera un altro frangente di Storia americana e va alla riscoperta di un meraviglioso eroe normale, James Donovan, interpretato da Tom Hanks. Avvocato idealista, nel 1962 Donovan negoziò per la Cia il primo scambio di prigionieri sul ponte di Glienicke in Germania, fra Usa e Urss.
Nell'America spaventata dal "pericolo rosso" di fine anni '50, dove si insegnava ai bambini come prima protezione dalla bomba atomica la tecnica del "Duck and cover" (buttarsi a terra e coprirsi la testa con le mani), l'Fbi cattura la spia russa Rudolf Abel (Mark Rylance). Si genera un'escalation di paura e paranoia. L'agente sovietico, nella sua calma stoica, rifiuta di collaborare e viene rinchiuso in un carcere federale in attesa si processo. Nella necessità di trovare un avvocato indipendente che assuma la difesa di Abel, il governo si rivolge a James Donovan (Hanks), legale assicurativo di Brooklyn con poca esperienza in casi così importanti ma abilissimo come negoziatore. Ben sapendo di andar incontro all'impopolarità della gente e di danneggiare così anche la sua famiglia, Donovan non allontana le responsabilità e accetta il caso. Instaurerà un sensibile rapporto di stima reciproca con Abel. Sfidando il clima forcaiolo, si batterà contro tutti per i suoi diritti. La sua abilità lo porterà a essere reclutato dalla Cia per negoziare lo scambio di Abel con un prigioniero statunitense nelle mani dei sovietici, il pilota Francis Gary Powers (Austin Stowell), abbattuto in volo sul segretissimo aereo spia U-2.
Nella Berlino fredda e austera, in cui si erge il Muro e un clima di sgomento, Donovan, chiuso nel suo cappotto e nella sua solidità morale, cercherà di ottenere il massimo. Non per la Cia, ma per il suo senso di giustizia. Andando al di là e contro le direttive della Cia stessa.
2) Sobria riflessione sui valori americani
Nato nel 1916 e morto nel 1970, Donovan incarna gli ideali americani di giustizia e liberalità, quei valori democratici che sono diventati cardine degli Stati Uniti, come anche dell'Europa di oggi, e che diventano ancor più significativi nel complicato momento contemporaneo, con l'Isis alle porte e la paura a portata di mano.
"James Donovan era una persona che faceva valere i propri valori, che intendeva garantire la giustizia a tutti, a prescindere da quale fosse il lato della Cortina di Ferro a cui appartenevano", dice Spielberg. "Il suo unico interesse era rispettare la legge".
Il ponte delle spie ci ricorda che se vogliamo continuare a sentirci fieri di quello che siamo, dobbiamo non farci annebbiare la vista dal terrore e continuare a tenere saldi i nostri valori più profondi.
3) Tom Hanks, sempre lui
Tom Hanks fa brillare Donovan in fermezza, integrità morale e scaltrezza. Lo fa però con tutta la naturalezza dell'uomo comune, senza machismo da supereroe, con le striscianti preoccupazioni del padre di famiglia e del privato cittadino senza scorte al seguito. Dopo l'acuta interpretazione dell'intelligente uomo di mare di Captain Phillips - Attacco in mare aperto, da lui un'altra perla, screziata anche di sottile umorismo.
Per l'attore americano si tratta di un'ennesima collaborazione con l'amico Spielberg dopo Salvate il soldato Ryan, Prova a prendermi e The Terminal.
Il suo Donovan, qualche mese dopo i fatti di Berlino, fu protagonista di un'altra impresa: mandato da Kennedy a negoziare la liberazione di oltre 1100 prigionieri a Cuba, catturati dopo la fallita invasione della Baia dei Porci, riuscì a far tornare a casa più di 9000 persone.
4) Sceneggiatura da fratelli Coen
"Mi odieranno tutti però almeno perderò", osserva con autoironia giocosa il Donovan di Hanks quando accetta la difesa di Abel. Nella Berlino ancora segnata dalla guerra, si trova a trattare con l'enigmatico avvocato Sebastian Koch (Wolfgang Vogel) della Repubblica Democratica Tedesca e con l'ufficiale Ivan Schischkin (Mikhail Gorevoy) dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. La sua osservazione è: "Vi dirò qual è il problema. I nomi dei vostri Paesi sono troppo lunghi".
Il necessario e stuzzicante tocco di leggerezza in mezzo al rigore storico è firmato da Ethan e Joel Coen, che hanno realizzato la sceneggiatura insieme a Matt Charman. Per i fratelli Coen si tratta della prima collaborazione con Spielberg. Tra le loro fonti per la scrittura il libro di Donovan del 1964, Strangers on a Bridge.
5) Mark Rylance da Golden Globe
Mark Rylance che dà al suo Abel un costante stato di diffidenza, tranquillità serafica, imperscrutabile intelligenza. "Lei non si preoccupa mai?", gli chiede Donovan/Hanks. "Servirebbe?", è la sua risposta costante.
L'attore britannico si è conquistato una nomination ai Golden Globe come migliore attore non protagonista: meritatissima. Lo vedremo presto di nuovo alla corte di Spielberg ne Il gigante gentile.