Il Punk in mostra al Metropolitan di New York
Il racconto dell'eredità del movimento degli anni '70 nell'haute couture. Cento abiti che declinano il punk in chiave sexy e ironica. Tra i protagonisti Vivienne Westwood, Galliano e Dolce e Gabbana
Al Metropolitan è stato ricostruito anche il mitico, sudicio bagno del CBGB, il locale newyorchese dove il Punk ebbe inizio e che fu il palcoscenico per artisti come Patty Smith, Debbie Harry, Richard Hell, Ramones, Sex Pistol. La loro musica, le loro magliette e i jeans strappati erano un grido selvaggio contro la cultura dominante del rock e una dichiarazione di guerra al perbenismo degli anni ‘60, un mondo lontano dal voler essere moda, che gli stilisti hanno però riletto e utilizzato a piene mani.
Martin Margiela, Gianni Versace, Galliano, Christian Dior, Dolce e Gabbana, Prada, Rodarte sono i designer rappresentati dal Met Museum che, nell’ultima attesa mostra “Punk: Chaos to Couture” (aperta fino al 17 Agosto) hanno scelto di raccontare l’influenza del punk sulla moda contemporanea. Una strada difficile e ambiziosa che ha incontrato non poche critiche.
Tra le gallerie del museo, l’eredità del movimento dei '70 si declina in vestiti che hanno fatto di catene, spille da balia e strappi elementi trasgressivi in chiave sexy, come gli abiti da sposa di Zandra Rhodes, stilista inglese pioniera del punk, o di Commes des Garcons che ha adottato l’elemento del taglio per i suoi abiti destrutturati; o ancora sacchetti di plastica per realizzare trasparenze ironiche e inneggianti all’etica del riciclo per le creazioni di Martin Margiela.
I vestiti a fiori con lungo strascico di Dolce e Gabbana dominano la sala centrale con un effetto teatrale e un gusto che oscilla tra punk e neoromantico. Protagonista indiscussa dell’evento è naturalmente Vivienne Westwood, vera artefice della moda Punk sin dagli esordi nel suo negozio londinese “Seditionaries”.
Agli abiti in mostra sono associati video di archivio degli anni caldi del punk, immagini e musica dei Sex Pistols, di Patty Smith e di Richard Hell, che con la voce spezzata e irriverente cantava la sua “Blank Generation”. Questi spezzoni sono forse i momenti più emozionanti della mostra al Met che, purtroppo, sembra non essere riuscita a esprimere a pieno la carica rivoluzionaria di quel mondo, l’intimo significato, quasi come se avesse paura di sondare un terreno che forse fa ancora paura alla parte benpensante della nostra società e, forse anche agli ambienti dell’istituzione museale. E di questo hanno sofferto anche la selezione degli abiti in mostra e l'allestimento che hanno pochi picchi di vivacità. Non sempre la moda è conformismo, anzi ci sono esempi che sfiorano l'arte, ma in questo caso molti abiti si copiano l'un con l'altro e impoveriscono l'idea di partenza, che era potente e suggestiva. Val la pena, comunque, visitare la mostra per chiedersi cosa sia stato davvero il punk, quanto viva ancora tra di noi e quanto ancora ci possa insegnare a osare di più.