Radiohead. Essere o non esserci?
Sotto i riflettori, in tv, nei social network: dopo Mina, Salinger e tanti altri, i Radiohead scelgono "la sparizione". A modo loro. E fanno il botto
La scintilla scocca il 21 giugno 1997 a Dublino: i Radiohead sono in scena, davanti a loro 40 mila fan rapiti dalle note di un disco, Ok computer, uscito appena una settimana prima. La strada che porta dritto a diventare i nuovi U2 è spianata. Thom Yorke e i suoi stanno per varcare la soglia della fama senza ritorno.
«Quella notte si sono chiesti: ma davvero vogliamo questo?» racconta James Doheny, scrittore e musicologo di Manchester, l’uomo che ha seguito passo dopo passo la exit strategy del gruppo, autore del libro Radiohead, la storia, le canzoni. «No, è stata la risposta: vivere nello stereotipo rock avrebbe distrutto l’equilibrio psicofisico e la creatività di cinque intellettuali del pentagramma, colti e riservati, che abitano ancora a Oxford, non lontano dalla scuola dove si sono conosciuti. L’alternativa al ritiro dalle scene è stata un meticoloso piano di sparizione controllata e la creazione di un universo musicale parallelo in cui riposizionare loro stessi e i fan» prosegue Doheny. L’operazione «don’t look back» prevede la rinuncia ad avere un’immagine pubblica e la totale destrutturazione della musica.
La prima sfida si chiama Kid A e consiste nel testare la reazione del pubblico davanti a un disco a un primo ascolto invendibile. «Per comporlo i Radiohead rinunciano a toccare chitarra e batteria. Il chitarrista, Jonny Greenwood, crea un nuovo universo sonoro utilizzando il flauto dolce e le onde Martenot, strumento monofonico appartenente alla famiglia degli elettrofoni a tastiera, inventato dal francese Maurice Martenot nel 1928» spiega Doheny. Dal packaging del disco, oltre ai volti del gruppo, scompaiono anche i testi. Strofe visionarie che il cantante Thom Yorke ha composto in solitaria senza mai svelarne il reale significato agli altri del gruppo. Nessun brano viene mandato alle radio, nessun videoclip viene girato.
Nel music business, diffidente e conservatore, la strategia dei Radiohead viene bollata come disastro annunciato. Sbagliato: Kid Avola al primo posto in America e in Gran Bretagna spinto dal tam tam in rete e conquista pure un Grammy award. Sparire paga, come nell’universo letterario dimostra la scelta di Carlos Castaneda, scrittore peruviano che dopo la copertina di Time, nel 1973, s’impose di non concedersi più ai media per 17 anni, continuando a vendere milioni di libri.
Oltre a reinventare se stessi, i Radiohead reinventano la musica optando per sonorità estreme e innovazioni tecnologiche di pura avanguardia, uccidendo idealmente la teoria secondo cui la musica creata attraverso le macchine non sia musica vera. «La mutazione definitiva da rock band a pionieri del suono avviene con il brano Idioteque dove le sonorità sono per intero figlie della programmazione al computer» spiega Doheny. «La fonte di ispirazione sono le tecniche di alcuni outsider della scena elettronica che sfregiano con una penna i cd per farli “saltare” esattamente nel punto stabilito».
Allontanandosi dal pubblico di massa che alla musica chiede di ripetersi in maniera ortodossa e rassicurante, i Radiohead conquistano quella che era una zona di nessuno, fatta da milioni di ascoltatori attenti e devoti, che ai loro idoli non chiedono una bella immagine e un ritornello. Basta un sito internet e un tour mondiale ogni due-tre anni. Una condizione sufficiente per fare saltare l’ultimo ponte con il passato: la band chiude il rapporto con la Emi alla scadenza del contratto e si accinge, nel 2007, alla più spregiudicata operazione della sua storia, pubblicare un album, In rainbows, sul sito ufficiale con la formula «scaricalo e paga quel che vuoi». Da zero all’infinito. Con questa mossa cala il sipario sulla tradizionale idea di gruppo e di marketing musicale.
Una vera rivoluzione celebrata in una canzone emblematica: How to disappear completely, ispirata dal senso di angoscia per quella folla a Dublino nel 1997. Come ricorda Doheny: «Il brano ha il suono del tempo che si ferma e richiama quel momento di Star Trek in cui l’equipaggio entra in contatto con una forma di vita che vive a una velocità accelerata. Per Kirk, le voci degli alieni sono un ronzio. Per gli alieni, gli uomini dell’Enterprise
appaiono immobili. Ecco, la canzone dà voce a quel ronzio, sovrastato dalla voce di Thom Yorke che canta: “Luci stroboscopiche e altoparlanti collassati, fuochi d’artificio e uragani. Io non sono qui, tutto ciò non sta accadendo. Io non sono qui”».