Asap. È l’acronimo di Act in support of ammunition production, ma anche di as soon as possible. Prima possibile. Che è il pressante orizzonte temporale col quale l’Ucraina chiede all’Europa forniture militari: semoventi, carri armati e, naturalmente, razzi e cartucce, a cominciare dal famigerato calibro 155 destinato all’artiglieria, per condurre la controffensiva di primavera.
Ieri, la Commissione Ue ha presentato un piano da mezzo miliardo per incrementare la produzione di missili e munizioni, utilizzando i fondi comunitari. Ma per portare avanti lo sforzo bellico, annunciano da Bruxelles, sarà possibile attingere anche alle riserve del Recovery fund, ovvero il Pnrr. Nel nome della «resilienza», quel contenitore vuoto che si può riempire con tutto e il suo contrario. Con lo sviluppo e con la distruzione. Con la pace e con la guerra.
Quello consolidato ieri è il «terzo pilastro» della strategia europea per sostenere Kiev. Con il primo, ha ricordato in conferenza stampa la presidente, Ursula von der Leyen, «gli Stati membri stanno fornendo munizioni aggiuntive dalle loro scorte esistenti», benché sempre più risicate, attraverso il miliardo stanziato nel Fondo europeo per la pace (Epf). Un bizzarro, orwelliano paradosso linguistico. Il secondo pilastro, per un ulteriore miliardo, è stato approvato sempre ieri dal Coreper: un miliardo all’Epf per «l’acquisto congiunto» degli strumenti bellici da spedire alle truppe di Volodymyr Zelensky. È il metodo vaccini applicato alla guerra. Il terzo caposaldo, appunto, è il mezzo miliardo di euro (260 milioni dal Fondo per la difesa e 240 dal Fondo per l’incentivo agli acquisti congiunti), che andrà impiegato per potenziare la capacità produttiva delle aziende occidentali di armamenti. Il commissario per il Mercato unico, il francese Thierry Breton, si è detto «fiducioso che, entro 12 mesi», le ditte europee «saranno in grado di fabbricare un milione di munizioni all’anno. Asap», una legge che «non ha precedenti», fornirà «la spinta di cui la nostra industria della Difesa ha bisogno per la sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa».
Il problema, semmai, è quell’imperativo: as soon as possible. Vale per gli ucraini al fronte, che adesso aspirano – o almeno dichiarano di aspirare – a riprendersi pure la Crimea. E vale per la Nato, che si è svenata per tenere in piedi gli aggrediti. I missili e i proiettili doveva esaurirli Vladimir Putin, che invece ne fa sparare, ogni giorno, dieci volte tanti quelli che consumano i soldati di Kiev. La preoccupante realtà è che li stiamo finendo noi.
L’intervento dell’Ue, comunque, fa seguito alle recenti lamentele del ministro della Difesa ucraino, Dmytro Kuleba, che si era mostrato furioso per le costipate consegne di munizioni. Josep Borrell, nel definire «comprensibile» la stizza del collega, aveva ammesso che il numero di proiettili «non ha raggiunto quello che volevo io e che voleva Kuleba», promettendo che gli impegni sarebbero stati mantenuti.
E con questo veniamo alla svolta cruciale. Se il programma battezzato ieri non bastasse, Bruxelles è pronta ad autorizzare l’impiego dei fondi di coesione e persino di quelli del Pnrr, come ha confermato Breton a Politico. In fondo, il Recovery «è stato specificatamente costruito per tre principali azioni: la transizione verde, la transizione digitale e la resilienza». E la Difesa, ha argomentato il commissario, è resilienza. A riprova che l’impiego della neolingua è una tecnica sempre attuale, ancor più quando si arruolano parole talmente vaghe, che si può attribuire loro qualsiasi senso serva alla causa del momento.
In virtù del nuovo regolamento, gli investimenti dovrebbero riguardare sia le linee di fabbricazione sia la catena di approvvigionamento, inclusa la realizzazione di polvere da sparo e la ricarica di vecchie munizioni stoccate dai Paesi membri. Il meccanismo si presterebbe così a prevenire colli di bottiglia nelle forniture. È su questo punto che appaiono non essere state soddisfatte le pretese di Parigi. I transalpini volevano vincolare gli stanziamenti alle sole aziende del Vecchio continente. Sul lato della supply chain, stando a Euractiv, potrebbero invece essere coinvolte anche nazioni esterne all’Unione. In più, Bruxelles si vorrebbe dotare del potere di dirigere la produzione industriale, per far fronte a eventuali ordini prioritari.
Le notizie devono aver ringaluzzito Zelensky, il quale, da Helskini, dov’era in visita, s’è detto «certo» che gli alleati occidentali gli forniranno caccia, «perché presto avremo azioni offensive».
Il pacchetto Ue di provvedimenti di guerra, comunque, non finisce qui. La Commissione, infatti, ha lanciato l’invito a presentare proposte per il miglioramento dei collegamenti all’interno dell’Europa, nel quadro di una sovvenzione da 790 milioni per progetti dedicati sia a esigenze civili, sia a esigenze militari. L’Unione, quindi, intende realizzare impianti che facilitino lo spostamento di truppe e attrezzature lungo i principali assi di comunicazione. «L’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina ha confermato che dobbiamo continuare a migliorare la capacità delle infrastrutture», ha dichiarato Adina Vlean, commissario ai Trasporti, «al fine di consentire alle nostre forze armate e alle loro attrezzature di muoversi agevolmente all’interno dell’Ue», rispondendo con più prontezza alle crisi che scoppiano alle frontiere esterne.
Soldati in transito nel continente su camionette e treni. Come fossimo nel 1939. Giusto perché l’Europa ci ha garantito settant’anni di pace.