Relativismi
Viviamo in tempi difficili e pieni di problemi; almeno questa è la percezione comune e non sarò io, dall’alto di chissà quale pulpito, a negarla. In giro c’è inderminatezza, confusione e incertezza nel futuro: tutti sentimenti eternamente propri dell’umanità, se …Leggi tutto
Viviamo in tempi difficili e pieni di problemi; almeno questa è la percezione comune e non sarò io, dall’alto di chissà quale pulpito, a negarla. In giro c’è inderminatezza, confusione e incertezza nel futuro: tutti sentimenti eternamente propri dell’umanità, se uno ci pensa, ma che eternamente l’umanità vive come nuovi e drammatici. E d’altronde è così che funzionano le cose.
Nel clima generale, fatti indubbiamente scioccanti e imprevisti, quali le dimissioni di un Papa, acuiscono questo senso di nebulosità. In effetti è venuto spontaneo a tutti associare alla rinuncia di Benedetto XVI il gran rifiuto di Celestino V: se n’è dedotto che il 2013 somiglia al 1294, e che una Chiesa ferita e confusa è lo specchio fedele di una società, allora come oggi, giunta al termine di una lunga stagione di sviluppo e assai spaventata da un futuro che difficilmente porterà svolte positive.
Ma si può passare per Recanati (grazioso borgo in provincia di Macerata, come tutti sanno) e metter giù le cose in un’altra prospettiva. A Recanati riposa un papa, Gregorio XII, l’ultimo a non esser stato seppellito a Roma. Ne avrete letto distrattamente la scorsa settimana: si dimise anche lui, nel 1415, e poco altro. Ma la figura è invece interessante.
Si chiamava Angelo Correr, Gregorio XII, e fu il primo veneziano a diventare Papa (nel 1406). Nato da salda nobiltà, aveva studiato a Bologna e svolto tutta la propria carriera ecclesiastica in Oriente, come titolare di varie e ricche diocesi nel dominio della Serenissima e anche fuori (fu anche Patriarca latino di Costantinopoli). Ciononostante, pare, non si mosse mai dall’Italia; e il suo unico scrupolo riguardo alle popolazioni di Corone e dell’Eubea, di cui era pastore spirituale, fu la regolare trasmissione delle rendite. D’altronde Correr si era fatto notare come esattore delle decime di tutte le diocesi “venete”, da Verona all’Albania.
Divenne Vescovo di Roma e capo della Chiesa in un periodo in cui c’era un altro papa, ad Avignone (lo scisma durava dal 1378 e aveva spaccato in due la Cristianità, con due gerarchie e due obbedienze parallele): un finto sforzo orchestrato da Gregorio XII per incontrarsi in terra neutra e appianare le divergenze portò, nel 1407, il pontefice romano a stazionare per qualche tempo a Lucca, mentre il rivale avignonese, Benedetto XIII, si fermava a Portovenere. Il che non impedì ai due di evitare l’incontro. In seguito Benedetto tornò ad Avignone e convocò un concilio a Perpignano, che non avrebbe prodotto risultati; Gregorio, da parte sua, ne riunì un altro a Cividale, sperando nel sostegno veneziano, ma rischiò invece di essere catturato dai suoi nemici (Cividale era ribelle alle autorità friulane) e dovette fuggire via mare. Intanto, a Pisa, i cardinali meno invischiati nelle due fazioni aprirono nel 1409 un altro concilio e destituirono entrambi i pontefici, eleggendo un Papa nuovo e unitario e facendo tirare un sospiro di sollievo all’Europa intera.
Neanche quel papa fu quello giusto (tanto che è considerato a tutt’oggi un Antipapa); ma la sua elezione portò a un rapido precipitare degli eventi e, nel 1415, fu la volta buona: Gregorio XII rinunciava al Pontificato e si ritirava a Recanati, mentre il rivale Benedetto si asserragliava nella fortezza valenciana di Peñíscola, da cui non sarebbe più sceso.
In fondo tutto questo, però, è storia del Medioevo e non ha legami con la realtà attuale. Lo racconto solo perché riflettiate, se volete, che se pure l’umanità si somiglia sempre, pure la sua Storia cambia; e perché consideriamo, tutti, che se questo non è il migliore dei mondi e dei tempi possibili, comunque è meno buio e immorale di tanti altri eventuali e già sperimentati. E che anche una rinuncia e un vuoto – adesso parlo di Benedetto XVI e non del venale Correr – possono scaturire da un gesto di generosità e di fiducia forte nel futuro che noi umani (cattolici, italiani, europei o meno) sapremo costruire.