Ruby protesta e piange (davanti a me)
“Arriva alle 10.30? Mah..”" A me han detto che ci ha ripensato”. “No, no, non viene, e’ tutto organizzato, vedrai. Una mossa mediatica”. Ore 9.30 del mattino, Palazzo di Giustizia di Milano, sveglia presto per affrontare il traffico milanese del …Leggi tutto
“Arriva alle 10.30? Mah..”" A me han detto che ci ha ripensato”. “No, no, non viene, e’ tutto organizzato, vedrai. Una mossa mediatica”.
Ore 9.30 del mattino, Palazzo di Giustizia di Milano, sveglia presto per affrontare il traffico milanese del mattino e arrivare puntuale – mica che buco – all’appuntamento con lei, Kharima El Marough. Detta Ruby.
Ha annunciato a smozzichi tra Ansa e tv satellitari che stamattina sarebbe stata qui a protestare. Protesta perché i giudici non l’hanno ascoltata. Nessuno l’ha ascoltata. Eppure questo processo tutti lo chiamano con il suo nome.
Senza parlare comunque davanti al tribunale siamo una ventina di troupe una ventina di fotografi, 4 regie mobili per andare in diretta nei tg e svariate agenzie di stampa, radio, quotidiani. Insomma, qualsiasi cosa abbia da dire, forse non interessa i magistrati, ma di certo la stampa si’.
Alle 10.20, persino in anticipo, eccola. Si presenta da sola, con un pesante ed ingombrante cartello tra le braccia. La corsa comincia. Si salvi chi può. Lei tace, guarda in basso spaventata dall’assalto che evidentemente non si aspettava. Sale sui gradini, tutti addosso. Due fotografi cascano, una telecamera scivola, un microfono viene perso. In tutto questo lei gira a vuoto davanti al tribunale, ma “senza intralciare l’ingresso” – urlano gli addetti della procura che ci spintonano fuori dai cancelli. Insomma una “tonnara” pazzesca per seguire Ruby.
Che dopo 5 minuti di sali, scendi, arretra, “vi prego, fatemi parlare”, riesce finalmente a trovare un punto dove poter leggere quei 4 fogli che ,con mano tremante per l’emozione, stringe.
Alla decima riga, quando spiega da dove nasce l’idea di protestare oggi, cioè dall’insulto ricevuto da una donna durante la messa di Pasqua, Ruby crolla. Legge, non va a braccio, perché vuole essere sicura che chi le sta davanti ascolti proprio quello che ha da dire.
Perché il resto lo vuol raccontare ai magistrati.
Cerca di non dare soddisfazione a quelli che chiama “venditori di frottole”. Ma cascano due, tre, molte lacrime. “Mai avuto rapporti sessuali a pagamento. Nemmeno con Silvio Berlusconi. Ma mi chiamano prostituta, perché colpendo me vogliono colpire lui. E’ in atto una guerra contro di lui”
Poi, tutto da sola, davanti alla calca di addetti alla notizia pressati in pochi gradini, estrae il suo vecchio passaporto. La foto risale a parecchi anni fa. Lo brandisce come una spada.
Flash su flash. “Qui c’è scritto Moubarak, ecco perché ho detto che ero sua nipote. Mi spiace per quella bugia”. E giù altre lacrime.
Quando termina la lettura, cerca di distribuire, si fa per dire perché pressata dalla stampa, il testo delle sue dichiarazioni. Non riesce nemmeno a tirare fuori i fogli, ordinatamente pinzati. Io le sono accanto. Le mani dei colleghi tese verso di lei per averne una copia. Mi guarda con faccia interrogativa, della serie “come faccio?”. Le do’ un mano. Prendo una parte del malloppo e lo faccio girare tra i giornalisti.
Una collega la vuole portare in diretta tv. Attimo di confusione, ancora, perché ognuno vuole le sue domande e le sue risposte al suo microfono.
Ricomincia la corsa. Ruby cerca di liberarsi dal plotone di “gelati” (i microfoni, in gergo…) sotto di lei. Scende i gradini, guarda per terra, tace. Attraversa Corso di Porta Vittoria. Le auto inchiodano. Lei in un secondo si è infilata in un taxi. Via. Insieme alla sua verità.