Rufus Wainwright: il ritorno del "Gay Messiah" - Intervista
Abbiamo incontrato “il miglior cantautore del pianeta”. Parola di Elton John
Rufus Wainwright è un trasformista in grado di passare dal piano alla chitarra senza perdere in efficacia, scherzando e comunicando con chi ha davanti a sé, dando vita con la sua voce a canzoni struggenti dall’alto impatto emotivo. Un artista che non riesce a stare fermo su se stesso, a fossilizzarsi nell’immagine che ogni musicista – almeno all’inizio della carriera – tenta di creare per avere un riscontro immediato in termini di pubblico e accaparrarsi una pensione certa per il suo avvenire. Lui no.
Dicevamo appunto, Rufus: compositore, musicista, autore di opere, attore, attivista per l’ambiente e per i diritti civili. Quest’anno, alla nona edizione del Barezzi Festival, non si è fatto mancare nemmeno il “brevetto” di cantante lirico esibendosi nell’aria della Traviata “Di Provenza il mar, il suol” in omaggio a Giuseppe Verdi. E dove poter fare una cosa del genere se non al Teatro Regio di Parma? Un ritorno sulle scene italiane, quello di Rufus Wainwright, dopo lo “scompiglio” creato al Festival di Sanremo 2014 con la tanto discussa “Gay Messiah” e ora di nuovo in attività con la pubblicazione della nuova edizione dell’opera Prima Donna ispirata alla figura di Maria Callas.
Abbiamo incontrato “il miglior cantautore del pianeta” come lo ha definito Elton John, poco prima del suo concerto a Parma per parlare di musica, dell’Italia, del valore dell’arte e dei matrimoni gay.
In cosa si differenzia la nuova edizione di Prima Donna: A Symphonic Visual Concert da quella del 2009?
Essenzialmente Prima Donna Visual Concert è la mia strategia per aprire le orecchie alla gente in un modo più delicato e gentile. La prima parte è un’ora di opera, mentre nella seconda canto le mie canzoni e altri pezzi famosi. Volevo fare qualcosa di diverso e di inusuale, ecco perché la combinazione dell’aspetto visivo con la musica operistica.
In cosa è stato fondamentale il lavoro del filmaker Francesco Vezzoli per trasmettere in emozioni visive la musica di questo progetto?
È successo tutto molto velocemente, stavo facendo un’intervista con Francesco Vezzoli e stavamo appunto dicendo:“dovremmo trovare i visual per Prima Donna”. Io ero seduto a fianco di Francesco e a un certo punto ho pensato che lui potesse essere il candidato perfetto per quel tipo di estetica, una diva dall’incredibile bellezza, un glamour letale, così gli chiesi di pensare a qualcosa e accettò subito. Mi disse che era un’idea grandiosa, all’inizio pensai che potesse fare tutta l’opera, ma poi sarebbe stato troppo lungo e troppo impegnativo; così ci venne questa idea per il concerto e Francesco pensò che sarebbe stato carino avere una sorta di protagonista nella parte del film: Cindy Sherman (nel ruolo di Maria Callas, ndr), che è davvero fantastica, sono davvero contento. Questo concerto è un bel modo di avvicinare il pubblico “pop” al pubblico dell’opera in modo che ognuno possa apprezzare la musica dell’altro in un’unica serata.
Scrivere un’opera non è cosa comune, soprattutto in questi tempi in cui il web e la velocità dei contenuti fagocitano tutto quanto, compreso il tempo di pensare. Come mai questa scelta?
Sono fermamente convinto che l’opera in particolare sia un concetto molto importante per la cultura occidentale: dovrebbe essere tutelata, promossa, valorizzata e tramandata alla gente. Tutti gli elementi sono così puri: il livello di conoscenza della musica che dovrebbero avere - e che non sempre hanno - i musicisti dell’orchestra e i cantanti, la bellezza del teatro dove va in scena o anche solo la grandezza della musica che è durata nei secoli. L’opera è bella solo quando la qualità è molto alta: è davvero un valore per l’umanità. Oggi forse con la musica pop ci sono canzoni terribili ma con video fantastici e se un cantante non ha queste grandi doti poi può essere sistemato con il computer. Tutto è molto oggettivo, ma non si può essere oggettivi con l’opera: dev’essere fantastica, diversamente significa che è un disastro. Credo che raggiungere un tale livello di qualità sia davvero importante per l’umanità in generale e deve essere tutelato.
Come vivi la tua musica in un momento storico in cui gli album e quindi i concept stanno lasciando spazio a brani “liquidi” su piattaforme digitali?
L’altra cosa fantastica che mi ha sempre affascinato dell’opera è il fatto che sia l’unica esperienza di massa che non ha bisogno di microfoni. Non si può alzare il volume: si tratta dell’acustica degli strumenti, dello spazio e delle voci, è un adattamento molto mistico. Certo su Spotify c’è l’opera, la puoi scaricare e diffonderla ad alto volume con il tuo sistema, ma quando vai a vedere un’opera il volume non è mai alto: questo è un aspetto molto speciale, credo, perché non si tratta del volume ma di intensità e di profondità. Credo sia importante.
Sei sempre stato una figura eclettica nel mondo della musica contemporanea, perché questa necessità di cambiare continuamente anche in campi artistici diversi dalla musica?
Non lo so. Fortunatamente sono sempre stato una persona aperta ai desideri dell’artista che c’è in me, non ho mai avuto l’abilità di censurare i miei desideri: se voglio mangiare un marshmallow, lo mangio e se voglio scrivere quell’opera, la scrivo. Faccio solo quello che voglio fare e per fortuna so che è meglio scrivere più opere che mangiare troppi marshmallow (ride, ndr). Sono una persona che ama divertirsi e fare cose, sono ottimista, non sono scettico. Credo sia questo alla fine.
Oltre al tuo lavoro di artista, sei vicino a temi cari come la protezione dell’ambiente e dei diritti civili, come la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Mi puoi parlare di queste cause che ti stanno particolarmente a cuore?
Tornando al mio desiderio di fare quello che voglio fare, quando ero molto giovane sapevo di essere gay, avevo tredici anni e non ho mai pensato di fare finta che non mi piacessero i ragazzi o di smettere, non mi è mai successo; non nascondevo che mi piacessero i ragazzi. Comportandomi così fin da piccolo e iniziando la mia carriera con questa verità non potei evitare di schierarmi, e in quel periodo, negli anni ’80, era quasi illegale, l’AIDS era un problema molto presente allora e anche molto pericoloso, venivi immediatamente coinvolto nel dibattito e nella guerra: non ebbi altra scelta se non quella di schierarmi.
I matrimoni omosessuali sono ancora un tabù, soprattutto in Italia. Ricordo la tua canzone “Gay Messiah” suonata al Festival di Sanremo.
In Italia è una questione molto difficile. Probabilmente è l’ambiente più controverso del mondo per i diritti dei gay. Quasi tutti sanno che la maggior parte dei preti è certamente gay o almeno molti di loro lo sono, una vasta maggioranza per lo meno; ed è una cosa molto comune e storicamente nella chiesa cattolica ci sono stati e ci sono preti gay. Diffondere queste notizie e svelarle in pubblico implicherebbe alcune complicazioni psicologiche credo, non saprei… Ma deve succedere, in America sta già avvenendo; non è così facile in Italia, ma le cose devono cambiare. Ciò che davvero non va oggi nel mondo, è che in Medioriente o in Africa se sei gay vieni ucciso. Credo che l’intera comunità gay mondiale dovrebbe riunirsi per salvare queste persone le cui vite sono davvero in pericolo, e queste persone sono tante. Forse battendoci per salvare la vita di queste persone staremo tutti meglio e se ci muoviamo insieme le cose cambieranno. Sono molto entusiasta dei matrimoni gay in America, è fantastico, ma allo stesso tempo credo che il mondo stia andando a rotoli, quindi dovremmo essere capaci di dire: “Sì ok, questo l’abbiamo fatto, ora cerchiamo di salvare vite umane”.
Avevi creato un notevole scompiglio per la tua esibizione a Sanremo, per così dire. Come avevi vissuto quel momento?
Sì mi ricordo di Sanremo, ho pensato che fosse un po’ ridicolo, non era un corteo di dimostranti ma cinque o sei persone che facevano casino, non ebbi paura. Quello che mi spaventa oggi è che ci sono persone che vengono impiccate in Arabia Saudita perché sono gay. Dovremmo concentrarci su questi problemi più grandi.
Ti preoccupano mai i giudizi delle persone in merito alle tue posizioni?
Sono spesso sulla tv italiana ultimamente, credo che il dibattito ci sia e questo è l’importante. È importante che la gente ne parli, ma se proviamo a cambiare un paese alla volta ci vorrà troppo tempo, sarebbe meglio che la comunità gay si riunisse per salvare le vite umane in pericolo.
Pensi che l’arte e la musica possano cambiare e aiutare le persone?
So di certo che la mia musica ha aiutato molte persone a fare coming out, persone molto giovani che non sapevano cosa fare e come fare. Sono molto orgoglioso di esserne stato capace, non ho fatto altro che essere me stesso e sono davvero orgoglioso di essere stato d’aiuto.
Enrico Rossi - https://www.facebook.com/enrico.youthlessfanzine
Traduzione
Lorena Palladini