Sanremo 2020: vince Diodato, le pagelle della finale
Fai rumore è la canzone che ha trionfato al Festival. Al secondo posto Francesco Gabbani, terzi i Pinguini Tattici Nucleari
Diodato ha vinto la settantesima edizione del Festival di Sanremo. Sul risultato finale la giuria demoscopica ha inciso per il 33%, la giuria della sala stampa, tv, radio e web per il 33% e il televoto per il 34%. Il 14 febbraio uscirà per Carosello Records Che vita meravigliosa, il nuovo album d'inediti di Diodato, il quarto della sua carriera discografica.
Al terzo posto i Pinguini Tattici Nucleari, al secondo Francesco Gabbani. Diodato ha conquistato anche il premio della critica Mia Martini.
- LE PAGELLE DELLA FINALE
MICHELE ZARRILLO – Nell'estasi o nel fango
Testo: Valentina Parisse
Musica: Michele Zarrillo
Dimenticate gli elefanti e le farfalle. Zarrillo ha il merito di essere uscito in questo Sanremo dalla sua zona di confort con una canzone pop rock uptempo molto contemporanea sul mal d'amore , con una significativa variazione tra strofe e ritornello, che ricorda lo stile dell'ultimo Nek, ma con un singolare falsetto alla Sylvester nell'incalzante refrain. In una conversazione con un amico, l'artista esprime la propria insoddisfazione sia nei sentimenti che nella vita, ma non c'è tempo di abbattersi: bisogna alzarsi e andare subito avanti. «Vorrei fosse vero/ Vorrei ora è chiaro/ Sto qui come vedi/ Io resto ancora in piedi/ Sia nell'estasi o nel fango», canta Zarrillo con buona intensità. Voto: 6
ELODIE – Andromeda
Testo: Alessandro Mahmoud
Musica: Dario Faini
Soldi di Mahmood non è stata semplicemente la canzone vincitrice di Sanremo 2019, ma anche il brano italiano più ascoltato di sempre su Spotify. Perché, quindi, non ricalcare la stessa formula e mettere di nuovo insieme la premiata ditta Mahmood e Dardust (al secolo Dario Faini) nel comporre Andromeda per Elodie, la Rihanna del Cupolone? Pezzo ballabile, tanta elettronica, ritmi cadenzati, variazioni interessanti, testo non eccelso, ma la canzone funziona molto bene. Un uomo le dice che è una grande stronza, lei, di contro, rivendica con uno scatto d'orgoglio la sua posizione e le risponde che non sarà mai suo marito. Scopriamo quindi che il suo ex si era sbagliato a confondere "il tuo ridere per un vero amore". Andromeda diventerà probabilmente un tormentone radiofonico, grazie al suo accattivante ritornello tutto da ballare: «La mia fragilità è la catena che ho dentro/ Ma se ti sembrerò piccola/ Non sarò la tua Andromeda». Buona l'interpretazione vocale di Elodie, che si concede interessanti cambi di passo e di tono, una sorta di Mahmood in (mini)gonnella con una grande presenza scenica, forse un po' troppo statica per un brano dance, che ha il grande merito di citare l'immensa Nina Simone. All'Eurovision un brano come Andromeda potrebbe fare faville. Voto 7
ENRICO NIGIOTTI – Baciami adesso
Testo e musica: Enrico Nigiotti
Una ballata old school che poggia sulla chitarra acustica, incentrata sulla fine di una storia d'amore molto intensa, dove non ci sono vincitori né vinti, ma la canzone è meno efficace rispetto a Nonno Hollywood dello scorso anno. Apprezzabile l'assolo di chitarra, peccato solo che duri troppo poco. «Baciami, baciami, baciami adesso» viene ripetuto quasi come un mantra dal cantautore toscano. L'impressione finale è quella di una canzone che scalda poco i cuori. Voto 5,5
IRENE GRANDI – Finalmente io
Testo: Vasco Rossi, Roberto Casini, Andrea Righi
Musica: Vasco Rossi, Roberto Casini, Gaetano Curreri, Andrea Righi
Irene Grandi, alla ricerca di un rilancio dopo quasi trent'anni di carriera, ha raggiunto il suo obiettivo. Voce graffiante, base ritmica potente che poggia su una chitarra acustica, con un basso in grande evidenza, l'ex "tua ragazza sempre" Irene Grandi fa Irene Grandi con un brano ontologicamente vaschiano (Vasco Rossi firma sia la musica che il testo insieme a Gaetano Curreri, Roberto Casini e Andrea Righi), anche se non molto originale nelle sonorità anni Novanta. La canzone racconta una donna matura che, nonostante la fragilità di chi è inebriato dall'amore, non è disposta a perdere la libertà e ha voglia di urlare al mondo la propria indipendenza e la riconciliazione con se stessa. La frase cult è «Se non ti ho mai detto sì / se vuoi fare sesso / facciamolo adesso / qui», mentre in testa resta il refrain «Ma quando canto sto da Dio, mi sento uno schianto e il mondo è mio». Un inno al vitalismo femminile, con un ottimo potenziale radiofonico, interpretata con il giusto mix di grinta e malizia. Voto 6,5
ALBERTO URSO – Il sole ad est
Testo e musica: Pietro Romitelli, Gerardo Pulli
Già vincitore di Amici, il bocellino Alberto Urso, nonostante abbia solo 22 anni, presenta una proposta musicale che ci proietta direttamente ai tempi della televisione in bianco e nero (e non è da intendersi qui come un complimento). Il sole ad est è una romanza pop in crescendo, con una struttura classica, che ha l'obiettivo di mettere in mostra la notevole estensione della sua voce, poggiandola su un avvolgente tappeto d'archi e sul suono del pianoforte, facendo contenti al tempo stesso i teenager e i nostri connazionali all'estero che rimpiangono il Belpaese. Il tema, manco a dirlo, è l'amore. Non mancano le onde, il mare, le nuvole, le terre che "han voci materne" per cantare un amore distante. Il ritornello è romantico e a presa rapida, ma poco incisivo:«Per te ho nel cuore il sole ad est / E nel mondo ovunque vada / Mi ricorderà la strada / Che porta fino a te». Voto 5
DIODATO - Fai rumore
Testo: Diodato
Musica: Diodato ed Edwyn Roberts
Giunto al suo terzo Festival, il cantautore nativo di Aosta sta raccogliendo quest'anno i frutti di una carriera che meritava maggiori riconoscimenti mainstream. Il brano parte lento, con qualche accordo suonato al piano, poi va su in un crescendo continuo, fino ad esplodere in una potente melodia nel refrain: «Che fai rumore qui/ E non lo so se mi fa bene/ Se il tuo rumore mi conviene/ Ma fai rumore sì/ Che non lo posso sopportare/ Questo silenzio innaturale/ Tra me e te». La canzone parla della fine di una storia, della difficoltà del dopo, tra ricordi che riaffiorano e luoghi che ritornano in mente. Parla, fai rumore, dì quello che pensi, implora Diodato, ma non lasciarmi consumare da questo silenzio innaturale. L'orchestra aggiunge ampiezza e pathos a una canzone che contiene malinconica e nostalgia. Le frasi «Fai rumore e non so se mi conviene, se il tuo rumore mi conviene» e «Ho capito che per quanto io fugga, torno sempre da te sono quelle che restano più in testa». Bravo. Voto 7,5
MARCO MASINI – Il confronto
Testo e musica: Marco Masini, Federica Camba, Daniele Coro
Quando un uomo arriva alla mezza età, oltre ad andare in giro la domenica mattina con una spider di seconda mano, il cappellino da baseball in testa e una ragazza più giovane di vent'anni, sente anche il bisogno di tracciare un bilancio esistenziale. «La vita è un flipper e infatti ci giochiamo» canta Masini, con occhiali scuri e barba da hipster, in una canzone scritta insieme alla premiata ditta Camba-Coro, in cui racconta i suoi errori, le sue debolezze, le prese di consapevolezza, ma anche le vittorie (tipo quella a Sanremo 2004 con L'uomo volante, che ha rilanciato la sua carriera dopo un periodo buio). Sostiene di essere stato uno stronzo e un bugiardo, un padre e un marito mancato, con sorprendente sincerità. Un ballatona masiniana prevalentemente piano e voce, con un incipit fortemente "degregoriano", caratterizzata da una forte impronta autobiografica: «E sei stato un bugiardo / non hai avuto coraggio / quasi sempre imperfetto ma qualche volta saggio. / E sei stato per qualcuno, un marito mancato / e sei diventato padre, ma non è capitato. / E sei stato sul campo, sempre dietro a un pallone / e ora sei qui sulla porta, a tirarti un rigore / come un eterno bambino, dentro gli anni di un uomo». Voto 5,5
PIERO PELU' – Gigante
Testo: Piero Pelù
Musica: Piero Pelù e Luca Chiaravalli
Il Gigante di cui canta Pelù, alla sua prima partecipazione da Big a Sanremo, è il nipotino, il figlio di sua figlia, nato nel 2017. Insomma, anche i rocker hanno un cuore tenero. Chiaravalli, che produce e firma a quattro mani la musica, è una garanzia di contemporaneità, ma l'effetto thegiornalistico è dietro l'angolo. «Tu sei il mio Gesù la luce sul nulla, il mio piccolo Buddha. / È come una giostra la mente / tu sei il re di tutto e di niente… gigante», canta l'ex Litfiba, carismatico e gigione come sempre. Il ritornello entra subito in mente e proietta Pelù nell'agone pop. Voto 6
LEVANTE – Tikibombom
Testo e musica: Claudia Lagona
Già con quel nome e con i suoi colori, Levante ti fa venire il dubbio se sia spagnola o portoghese: dubbio che permane quando inizia a cantare le prime strofe, in un italiano orgogliosamente indie, non sempre intellegibile. Tikibombom non è un tormentone reggaeton alla Elettra Lamborghini, ma un brano pop ellittico e spigoloso, che veicola un lodevole messaggio sull'accettazione e contro le discriminazioni sopra un ritmo cadenzato. Una canzone che fa muovere gambe e cervello. Il messaggio arriva chiaro e forte: «Mai più, è meglio soli / che accompagnati / da anime senza sogni pronte a portarti con sé, giù con sé. / Laggiù, tra cani e porci, figli di un dio minore / pronti a colpirci / per portarci giù con sé». Voto 5,5
PINGUINI TATTICI NUCLEARI – Ringo Starr
Testo e musica: Riccardo Zanotti
Chi conosce più approfonditamente la storia dei Beatles, sa quanto sia stato importante Ringo Starr nell'economia del sound della band e della sua durata, visto il suo carattere giocoso e amichevole. I Pinguini Tattici Nucleari, la vera sorpresa di Sanremo 2020, celebrano la figura del batterista di Liverpool in un brano scanzonato e ballabile, scandito dai fiati e dalla chitarra funky, con echi pepperiani, anche se il testo è fin troppo scolastico. «Che la mia vita non è niente di speciale e forse alla fine c'hai ragione tu / In un mondo di John e di Paul io sono Ringo Starr» è un ritornello memorabile, che farà apprezzare la band di Bergamo, già amatissima nel circuito indie, anche dal pubblico generalista e maturo di Sanremo. Voto 6,5
ACHILLE LAURO – Me ne frego
Testo: Achille Lauro
Musica: Daniele Dezi, Daniele Mungia, Matteo Ciceroni ed Edoardo Manozzi
Se fossimo a Tu si que vales o a Tale e Quale, le esibizioni di Achille Lauro, assurto ormai a testimonial fisso di un noto marchio italiano della moda, oltre che a eroe dei movimenti LGBT, sarebbero certamente da applaudire per la sua sfacciataggine rock e per l'indubbio carisma con il quale tiene il palco, indossando abiti non esattamente minimalisti, con il pretesto di riferimenti artistici "alti". Siamo però a Sanremo che, fino a prova contraria, è il festival della canzone italiana, quindi ci dobbiamo occupare di cose come melodia, armonia, ritmica, arrangiamento ed interpretazione vocale. Lungi da qualsiasi riferimento al ventennio, né tantomeno a qualsivoglia rivendicazione politica, Me ne frego è uno sfacciato inno al menefreghismo e al disimpegno, una Rolls Royce più ballereccia, che strizza l'occhio all'electropop degli Anni Ottanta. Lauro racconta (si fa per dire, vista la pochezza del testo, davvero elementare) con la consueta voce strascicata di un amore malato, verso cui sembra essere un po' sottomesso. «Me ne frego / Dimmi una bugia me la bevo / Si sono ubriaco ed annego». Un passo indietro rispetto a Rolls Royce, che aveva ben altro impatto live e maggiore freschezza compositiva, ma in questi giorni si parla solo di lui, sia sui giornali che sui social, quindi il suo festival lo ha già vinto. Voto 5
ANASTASIO – Rosso di rabbia
Testo: Anastasio
Musica: Anastasio, Luciano Serventi, Marco Azara, Stefano Tartaglini
Caro Anastasio, sei giovane, talentuoso, hai tanti fan, stai cantando a Sanremo davanti a milioni di persone collegate su RaiUno: perché sei inca**ato come una biscia? Rosso di rabbia poggia su un solido riff di chitarra elettrica, di quelli che hanno fatto la fortuna del produttore Rick Rubin, che progressivamente lascia spazio ad altri strumenti, in una cornice da talkin' blues o, per essere più contemporanei, alla Salmo. Il vincitore di "X Factor 2018" elenca con rabbia, senza pause, tutto ciò che non va interiormente, ma anche fuori di sé, con parallelismi legati al terrorismo e alle bombe. «E voi volete sapere dei miei fantasmi? / C'ho 21 anni posso ancora permettermi di incazzarmi / le parole sono le mie sole armi fino al sole voglio sollevarmi. / Io vorrei farlo e non posso, non è roba da poco, / strillare mentre questi mi fanno le foto. / Come ti senti? Disinnescato». Le parole sono le sue uniche armi, afferma Anastasio, e conferma di saperle usare molto bene. «Panico panico / Sto dando di matto / Qualcuno mi fermi fate presto / Per favore, per pietà». Anastasio è un virtuoso delle barre e Rosso di rabbia è un brano potentissimo e inquietante: ma prendere un po' di Lexotan, no? Voto 7
PAOLO JANNACCI – Voglio parlarti adesso
Testo: Andrea Bonomo e Paolo Jannacci
Musica: Emiliano Bassi e Maurizio Bassi
Jannacci Jr dedica un tenero brano a sua figlia Allegra, nata 12 anni fa, con quella che vorrebbe essere (ma non è) una sorta di La Cura 2.0, scandita da pianoforte e archi a profusione. Con parole semplici e al tempo stesso profonde, il cantante le offre alcune istruzioni di vita, affidando agli arrangiamenti il compito di sottolineare le parole più importanti. I versi «Voglio parlarti adesso / solo per dirti che / nessuno può da questo cielo / in giù volerti bene più di me» saranno molto apprezzati da padri e figlie. Voto 6
JUNIOR CALLY – No grazie
Testo: Junio Cally, Jacopo Angelo Ettorre
Musica: Jacopo Angelo Ettorre, Federico Mercuri, Giordano Cremona, Eugenio Davide Maimone e Leonardo Grillotti
Tanto rumore per poco. I giorni precedenti al festival si è parlato per giorni dell'ex rapper mascherato Junior Cally, diventato il nemico numero delle donne per i suoi testi violenti e misogini, come se fossero una novità nel rap hardcore. Alla prova del palco, Junior Cally si è mostrato un performer poco incisivo, con un brano modesto nelle liriche, furbescamente bipartisan nei suoi attacchi ai due Matteo della politica italiana, con una ritmica fin troppo simile a Black Skinhead di Kanye West. Il refrain «No,no,no grazie» appare il giudizio più adatto per un brano trascurabile, soprattutto se paragonato a quelli di Rancore e Anastasio, che poteva essere una bomba e che invece è solo una pistola a salve. Voto 4,5
RAPHAEL GUALAZZI – Carioca
Testo: Raffaele Gualazzi, Davide Petrella
Musica: Raffaele Gualazzi, Davide Pavanello
Non fatevi ingannare dal titolo: Carioca è un pezzo molto ritmato, tra sonorità urban e un piano suonato in stile cuban jazz, sorretto da una poderosa sezione di fiati diretta dal bravissimo Mauro Ottolini, che del Brasile ha solo l'attitudine festosa. Gualazzi diverte e si diverte, tra falsetto e cambi di ritmo, a raccontare con ironia alla Carosone di sogni, amori infranti e diavoli. Un brano con il quale è impossibile rimanere fermi, musicalmente tra i migliori di questo festival. Voto 7
TOSCA – Ho amato tutto
Testo e musica: Pietro Cantarelli
Un'intensa ballata pianistica jazzy, senza un ritornello, scritto da Pietro Cantarelli (a lungo collaboratore di Ivano Fossati) e interpretata con straordinaria misura ed eleganza da Tosca, i cui ricami vocali non sono mai eccessivi, ma sempre funzionali al testo. Da antologia i versi finali: «Se tu mi chiedi in questa vita cosa / Ho fatto io ti rispondo ho amato / Ho amato tutto». Applausi. Voto 8
FRANCESCO GABBANI – Viceversa
Testo: Francesco Gabbani e Pacifico
Musica: Francesco Gabbani
Invece che proporre una nuova Amen o Occidentali's karma, Gabbani mostra il suo lato più cantautorale in Viceversa, un'originale canzone d'amore con una costruzione circolare e con un climax ascendente nelle strofe, che parla di sentimenti in modo leggero, ma non superficiale, senza rinunciare alle sue amate immagini figurate. Il segreto del'amore, sembra suggerire Gabbani, è «che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa». Voto: 6,5
RITA PAVONE – Niente (resilienza 74)
Testo e musica: Giorgio Merk
Rita Pavone dismette i panni della sovranista divisiva per unire il Belpaese al ritmo indiavolato di un energico brano pop rock scritto dal figlio. L'ex Pel di Carota, forte dei 50 milioni di dischi venduti, sembra aver stretto un patto col diavolo, non sul Delta del fiume Mississippi come Robert Johnson, ma sulle sponde del lago di Lugano (vicino a dove vive da anni), mostrando a 74 anni una grinta da esordiente. Ce l'ha con un uomo violento («Picchia più forte, non lo vedi che sto in piedi») e con i meccanismi televisivi («E il tempo intanto passa e se ne va/ meglio cadere sopra un'isola o un reality che qualche stronzo»). La rassegnazione lascia il posto alla voglia di non lasciarsi travolgere dalla società e da ciò che non va come dovrebbe, con la consapevolezza di aver resistito per tanti anni in un ambiente difficile come quello della musica. La voce c'è ancora, anche la canzone funziona, l'interpretazione è notevole, tanto da essere salutata dalla standing ovation del Teatro Ariston. Peccato solo per la parola resilienza nel titolo, che fa tanto self help per gonzi e marketing da multinazionale. Voto 6,5
LE VIBRAZIONI – Dov'è
Testo: Roberto Casalino
Musica: Roberto Casalino, Davide Simonetta, Francesco Sarcina
Dirige il maestro Beppe Vessicchio, accolto da cori da stadio, e già questa è una buona notizia. Continua l'operazione "Modà 4.0" per le Vibrazioni, più canute di una volta, ma ancora agguerrite. La canzone si stampa nel cervello, se non altro perché Sarcina canta "Dov'è" per ben 16 volte soltanto nel ritornello. Il brano viene accompagnato dal linguaggio dei segni del performer Mauro Iandolo, figlio di genitori sordi. Il cantante afferma con aria grave: «Ho una clessidra ferma al posto del cuore e un piano alto dove puoi vedere tutto». Poi chiede implorante « Ho sete di stupore, mi puoi accontentare?». Il problema è che anche noi abbiamo sete di stupore, dopo una ballatona pianistica, quasi un melodramma rock, che sembra provenire dal 1978, un dichiarato tentativo di fare una Vieni da me reloaded, con l'apertura orchestrale nel refrain che farà la gioia delle fan del gruppo. Voto 6
GIORDANA ANGI – Come mia madre
Testo e musica: Giordana Angi, Manuel Finotti
La seconda classificata di "Amici di Maria De Filippi" dello scorso anno presenta al festival una lettera aperta alla madre, rifugio insostituibile per le difficoltà della vita quotidiana, con le parole non dette e i 'ti voglio bene' troppe volte trattenuti. L'intento è lodevole, ma la canzone suona datata e non emoziona quanto dovrebbe. La frase «Se un giorno sarò una mamma, vorrei essere come mia madre» è emblematica di un brano delicato, ma troppo didascalico. Voto 5,5
RIKI – Lo sappiamo entrambi
Testo: Riccardo Marcuzzo
Musica: Riccardo Scirè e Riccardo Marcuzzo
Riki, dopo aver spopolato con i ritmi latini, porta sul palco dell'Ariston un brano pop classico, sanremese, iperprodotto, senza troppi sussulti, ravvivato da suoni contemporanei. La canzone racconta di un rapporto che si trova a un punto di stallo, tra cose non dette, guardarsi e non riuscire a comunicare, gli occhi che indugiano sul telefonino. Piacerà al pubblico dei teenager, che lo seguivano nei suoi trascorsi ad "Amici", molto meno a chi ha superato gli "anta". Voto 5
ELETTRA LAMBORGHINI – Musica (e il resto scompare)
Testo: Davide Petrella
Musica: Michele Canova Iorfida
Resta davvero un mistero insondabile la partecipazione della twerking queen Elettra Lamborghini al Festival di Sanremo 2020. Una ragazza graziosa e simpatica, che però non sa cantare, non sa tenere il palco, non sa ballare e non ha il carisma necessario per un proscenio così impegnativo. La canzone, grazie al suo ritmo reggaeton e alle sue chitarre spagnoleggianti, funzionerà alla grande nelle radio commerciali, ma è un brano con un testo imbarazzante, che fa sembrare J Balvin l'erede naturale di Bob Dylan. Volete un esempio? «La vita è corta per l'aperitivo». No, non ci siamo proprio. Voto 4
RANCORE – Eden
Testo: Rancore
Musica: Dario Faini
Eden è un autentico pugno nella stomaco, che "punge come un'ape e vola come una farfalla" (per citare Alì) sopra il piano classicheggiante di Dardust, caratterizzato da archi epici e da un ritmo contagioso, da scandire con le mani. La mela, vista in modo ambivalente, offre lo spunto per le rime torrenziali di Rancore, uno dei migliori rapper italiani, che cita l'11 settembre, la Siria e l'Iraq in un testo spiazzante e infarcito da mille riferimenti, non immediatamente comprensibili e, proprio per questo, di grande fascino. Una delle migliori canzoni del festival, che potrebbe lanciare definitivamente la carriera di un fuoriclasse delle rime, che ci ha ricordato che il rap è soprattutto comunicazione e urgenza artistica, al di là delle pose, degli stilemi, del machismo e dell'ostentazione del lusso. Potere alla parola. Voto 8
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