Separati ma non troppo: sotto lo stesso tetto – La recensione
Dominique Farrugia (dato per morto con fake news pochi giorni fa) dirige una divertente commedia francese sul divorzio ostacolato dalla crisi economica
C’è un tratto molto sottile che connette la commedia sociale e quella di costume. Il regista, attore e produttore Dominique Farrugia (curiosità: era appena stato dato per morto in una fake news che ha scompigliato la Francia) lo ha probabilmente individuato e messo in pratica cinematografica nel suo settimo film Separati ma non troppo (in sala dal 13 settembre, durata 94’).
Prendendo spunto da una statistica che pesca informazioni sulle coppie separate o divorziate al tempo della crisi economica, Farrugia si allinea alla tendenza secondo la quale, proprio per problemi economici, molte coppie scoppiate nei fatti si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto: non potendosi permettere, né l’uno né l’altro coniuge, il lusso di abitare in proprio.
Ne nasce così un racconto di un certo spessore comico, magari dal percorso prevedibile; acceso però da dialoghi spassosi e vivaci, qualche trovata scenica e una felice vena di recitazione degli attori.
Una felice recitazione nella deriva matrimoniale
Brilla Gilles Lellouche nella parte di Yvan, sposato da quindici anni con Delphine (Louise Bourgoin): spiantato lui che fa il procuratore di calciatori con un solo, potenziale cliente; infermiera lei, carattere tosto e faccia d’angelo. Il loro matrimonio sta andando in malora, dunque la separazione è alle porte.
Ad accelerarla una scappatella di Yvan che, nonostante la deriva matrimoniale, Delphine assorbe a tolleranza zero con reazione fiammeggiante. Risultato: consorte cacciato di casa ma squattrinato e senza fissa dimora tanto da rendere inevitabile un suo ritorno sotto il tetto famigliare sfruttando di diritto – e certo senza che sua moglie (oramai ex) faccia salti di gioia - una piccola percentuale di proprietà dell’appartamento.
Due figli, una suocera e un medico consolatore
Bisticci e scaramucce a pioggia, naturalmente, tra la spartizione dei due figli - Violette (Adèle Castillon) e il più piccolo Lucas (Kolia Abiteboul) non certo insensibili, anzi reagenti a modo loro alla procella domestica – e le aspirazioni di Delphine a “rifarsi una vita” con lo slavato medico consolatore William (Julien Boisselier) che scatenano, ça va sans dire, la gelosia dispettosa, turbolenta e acida di Yvan; il quale, a sua volta, cerca comprensione nella stravagante sollazzevole suocera Solange (una sontuosa Marie-Anne Chazel).
Il rotolare della storia conduce ad una deliziosa scena finale che naturalmente si tace, non senza aver consumato, prima, ogni risma di ostilità e discordie di coppia. Perfettamente in linea con questa natura di commedie; e con inevitabili iterazioni, per così dire esorcizzate da qualche trovata di sceneggiatura prodotta più per alzare i toni e portarli sopra le righe che per rimpolpare concretamente la sostanza narrativa.
Un bell’addio al nubilato (ma alla rovescia)
E, anche se a tratti un po’ arruffata, la traccia del film tiene allegramente coinvolgendo e divertendo, spesso con battute riuscite e qualche scena ben orchestrata: come quella della festa di fine matrimonio organizzata da Delphine con le sue amiche e culminata nella mutilazione del suo abito da sposa finito a sforbiciate. Una sorta di addio al nubilato alla rovescia, dove quel vestito bianco trinciato viene innalzato quale vessillo sacrificale davanti ad uno sciame di donne urlanti e invasate.
Sostanzioso e ben selezionato, attentamente in linea con le fasi della tenzone, l’assortimento dei brani, dal Memphis Soul di Ann Peebles (I'm Gonna Tear Your Playhouse Down) al pop psichedelico di Tame Impala (The Less I Know The Better ), la dance elettronica di Cassius Feat - Cat Power (Feel Like Me), allo Zucchero Fornaciari di You Are So Beautiful.