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La grande sete

Il fiume Po senza acqua mette a rischio anche la filiera del cibo, che vale da sola 538 miliardi di euro. L'estate fa paura dopo una primavera priva di piogge e al Nord (ma non solo) si fa la conta dei danni

Il grande fiume è malato, quasi moribondo. Una distesa di terra bruciata, arsa dal calore e privata del suo elemento fondamentale: l'acqua. Tutti i parametri raccontano la grande crisi. Mai negli ultimi settanta anni chi si affaccia sul suo corso aveva vissuto una situazione così con la prospettiva di un'estate davanti che fa paura. Il livello idrometrico del Po è di ben 3 metri sotto la media stagionale e ben presto obbligherà al razionamento anche per l'acqua potabile alcuni dei territori che si affacciano sul grande malato. Già oggi, hanno denunciato i tecnici dell'ANBI, non c'è più acqua sufficiente per garantire tutti gli usi. Non è un problema, è un dramma che rischia di investire alcune delle aree più importanti del Paese nella creazione di valore per la filiera dell'agroalimentare.

Ci sono zone dove negli ultimi 110 giorni non è caduta nemmeno una goccia di pioggia. Altre in cui il deficit di precipitazioni è stato così importante da ritoccare tutti i record. In Piemonte, ad esempio, da dicembre a maggio sono scesi dal cielo solo 40 millimetri di pioggia contro i 160 abituali. E la neve è sparita: meno 60%. Così anche il Nord Italia, tradizionalmente ricco d'acqua, sta soffrendo come mai capitato negli ultimi decenni, mettendo a rischio coltivazioni che già oggi viaggiano con settimane di ritardo sui tempi e con danni che la sola Coldiretti ha stimato in un miliardo di euro. E siamo solo all'inizio.

In 125 comuni tra Piemonte e provincia di Bergamo sono già state chieste misure d'urgenza, le stesse che la Regione Lombardia si appresta a richiedere per far fronte all'emergenza che colpisce indistintamente tutto il bacino del Po, non solo il suo corso. Anche i grandi laghi del Nord sono in difficoltà, con l'unica eccezione del Garda cui potrebbe essere richiesto uno sforzo eccezionale mettendone a rischio la sua stessa tenuta se davvero la soluzione fosse richiamare acqua con volumi inusuali per inviarla al Po.

E ancor più grave è il problema scendendo verso l'Adriatico perché il cuneo salino, ovvero la risalita dell'acqua salata dal mare lungo il Delta impoverito dalla siccità, è destinato a spingersi fino ai 15-20 chilometri che significa bruciare terreno fertile, danneggiare l'agricoltura e contaminare anche le falde acquifere dell'acqua potabile. Una riserva che garantisce centinaia di migliaia di abitanti. L'irrigazione dei campi è già difficoltosa e centellinata nelle province di Rovigo e Ferrara, quelle più vicine al mare, e presto l'allarme potrebbe estendersi.

Un problema che riguarda tutti, non solo chi vive e lavora intorno al Po. Il cibo è un'industria da 538 miliardi di euro con una filiera complessa che raccoglie oltre 3,8 milioni di lavoratori, 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari e ha resistito, tra le poche, anche alle sollecitazioni della crisi causata dal Covid. Sta già soffrendo per l'impennata dei prezzi dell'energia e di alcuni prodotti importati da fuori, con rincari che si stanno scaricando sul prodotto finale: la siccità rischia di trasformarsi nel colpo di grazia per molti.

La grande sete, però, non è una sorpresa inattesa. Quella che ci lasciamo alle spalle è stata la terza primavera più siccitosa degli ultimi anni, superata solo (statistiche alla mano) da quelle del 2003 e del 2017. Al Nord è andata anche peggio, se possibile. Rispetto alla media sono mancati 35 miliardi di metri cubi d'acqua e i primi 5 mesi del 2022 sono stati i più secchi degli ultimi 63 anni con un maggio addirittura torrido che ha riaggiornato le classifiche storiche in molte città del centro e del nord. Il 27 maggio sarà ricordato per le sue temperature massime: 35,6° a Grosseto, 34° a Pisa, 32,8° a Genova solo per citare alcuni esempi. Non è solo il Po ad essere malato. L'Arno, ad esempio, viaggi oggi al 27% della sua portata media, quasi un torrente più che un fiume.

E scendendo al Sud ci sono altre sacche di grande sete. In Abruzzo, ad esempio, si raggiunge un picco del 90% di deficit di piogge. Nel Nord Ovest la temperatura media a maggio è stata superiore di 2 gradi e mezzo rispetto alla serie storica dal 1950 a oggi. La desertificazione più volte evocata come scenario sinistro è realtà che si tocca con mano e rischia di mettere in ginocchio un'intera industria che vive della fertilità delle terre attraversate dal grande malato. E non è un problema solo dell'agricoltura, se è vero che anche le riserve per l'idroelettrico sono ai minimi storici.

E' possibile che le piogge che arriveranno nelle prossime settimane, se saranno rilevanti, possano in parte alleviare la grande sete della Pianura Padana. Non risolvere il problema che è moltiplicato da un inverno in cui la neve si è fatta attendere invano su gran parte dell'arco alpino arrivando a scoraggianti punte del -80% rispetto alle medie stagionali. Che i ghiacciai si stiano consumando nemmeno troppo lentamente è ormai un dato di fatto.

La novità di questo inizio estate del 2022 è che si è rapidamente esaurita anche la riserva di neve che dalle Alpi andava a ingrossare i corsi d'acqua a scendere verso sud. Ci sono interi affluenti rinsecchiti che non portano più nulla a valle. Anche per questo i prossimi mesi fanno spavento e alla fine la questione non sarà se ci saranno danni da conteggiare, ma solo quanti e chi potrà rifonderli sperando in un autunno diverso e in controtendenza rispetto alla deriva degli anni Duemila.

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Giovanni Capuano