Coworking, viaggio nella nuova dimensione del lavoro
Crescono gli spazi dove condividere tempo e idee, piacciono a freelance e aziende, offrono servizi che rendono preistoria il classico ufficio
Il più esotico, anche nel nome, è «Cocovivo»: amache con Wi-Fi garantito e sala riunioni su palafitta nella foresta di un’isola panamense; «Brooklyn Boulders», a New York, resta il più estremo: scrivanie appollaiate in cima a una parete da arrampicata, per scalare il successo non solo in senso metaforico. Due indizi che fanno una prova, anzi una tendenza: gli spazi di coworking, uffici atipici condivisi, aperti a chiunque paghi un canone variabile, sono ormai dappertutto e in costante aumento.
Secondo un’indagine globale della rivista Deskmag, erano 7.800 alla fine del 2015 (il 36 per cento in più rispetto al 2014), si stima saliranno a quota diecimila entro la fine dell’anno. Ad accomunarli, il medesimo pregio: permettono di lavorare lontano dall’isolamento domestico in pigiama e fuori dai rigidi schemi dell’azienda. Piacciono ai freelance senza fisso impiego e alle società minuscole o mastodontiche: le prime non hanno necessità di caricarsi i costi di una sede, le seconde possono aprire filiali come, dove e per quanto credono. Un antidoto molto benvenuto contro i capricci del mercato.
In Italia, lo dice un censimento del romano «myCowo», le strutture sono circa 300, concentrate soprattutto al nord (190), con Milano in testa (una sessantina). Costano in media 25 euro al giorno, 263 euro al mese. La base è un tavolo in un open space con bagno in comune, internet veloce e stampante; i pacchetti opzionali includono stanze riservate per maggiore privacy e poi cucina, caffetteria, una galassia di servizi accessori: dalle docce all’officina che ripara le biciclette, dai corsi d’inglese alla palestra, il teatro, un generoso menu di eventi assortiti di serie nell’affitto. L’evoluzione dell’ufficio che si contamina di varie occasioni di socialità. «Al centro rimane l’elemento umano, la possibilità di relazionarsi con altri che non sono colleghi, di fare rete propiziando la nascita di progetti e idee» conferma Davide Dattoli, 26 anni, tra i pionieri del fenomeno nel Bel Paese con i suoi «Talent Garden» (tradotto letteralmente, «il giardino del talento»), il primo aperto a Brescia nel 2011, l’ultimo a Roma, da poche settimane a Cinecittà. Un network con sedi da Cosenza a Bucarest, da Pisa a Barcellona, tutti accessibili con lo stesso abbonamento. A qualsiasi ora: «Ognuno» aggiunge Dattoli «deve poter lavorare quando è più produttivo. E non sentirsi uno sfigato se lo fa in piena notte». A confortarlo, troverà compagnia e stimoli in quantità: «La pausa caffè, per esempio, diventa un’esperienza. Ci si confronta con storie sempre diverse. È come essere in una stazione, succede ogni giorno qualcosa di nuovo» racconta Chiara, 31 anni, designer, frequentatrice assidua di coworking.
Il primo è stato inaugurato a San Francisco nel 2005, perciò non stupisce quanto siano radicati negli Stati Uniti, dove secondo Forbesil 34 per cento dei lavoratori è freelance: «WeWork», fondato nel 2010, è un colosso da 16 miliardi di dollari con filiali in tutto il Nordamerica, murales alle pareti, pezzi vintage a intervallare la sequenza di computer; «Croissant» è invece una sorta di Uber delle scrivanie a noleggio: tramite lo smartphone, consente di bloccare in meno di un minuto la più vicina alla propria posizione.
In Italia, scaduta la fase delle avanguardie, si consolidano i filoni già avviati all’estero: su tutti, l’unione della flessibilità al peso del design, tramite il recupero di spazi in disuso o la grande enfasi su architettura, arredi e comfort. Ci sono coworking pensati ad hoc per i genitori, con educatori che si prendono cura dei più piccoli mentre la mamma è in videoconferenza o impegnata in un progetto: è il caso di «Piano C» a Milano o di «Kilowatt» a Bologna. A Matera ha aperto «Casa Netural», ibrido di coworking e coliving, un incrocio tra un ufficio e un Airbnb: oltre alla scrivania, si affitta anche un letto e si condividono pasti ed esperienze con la comunità locale. «Illustrando il proprio progetto, può nascere qualcosa di interessante. Inoltre, mentre si digita sulla testiera, capita che dalla cucina arrivi odore di peperoni» spiega il cofondatore e coordinatore, Andrea Paoletti. Marta Cicolla, invece, ancora non crede ai suoi occhi: assieme alla socia Flavia Spizzichino gestisce «Cowo|360», appena inserito al sesto posto tra i migliori dieci luoghi di coworking al mondo dalla guida Lonely Planet «Best in Travel 2017». «Cerchiamo di proporre un ambiente confortevole e accogliente. Penso» dice Cicolla «che questa dimensione professionale diventerà la regola in futuro». Ne sono altrettanto convinti i partecipanti a «Coworking Europe 2016», l’evento riservato ai gestori degli spazi nel Vecchio Continente, l’appuntamento per fare il punto su evoluzioni e prospettive del fenomeno in programma a fine novembre. L’anno scorso si è svolto a Milano, quello prima a Lisbona, stavolta sarà a Bruxelles: la conferenza dei lavoratori nomadi senza fissa scrivania non poteva non scegliere una sede provvisoria.