Spirit of Massignano
Verso il 1880, credo, un mio trisavolo lasciò la frazione di Ancona in cui era vissuto fino ad allora – un posto sul Conero, terre argillose e scoscese – e si trasferì molto nell’entroterra. Era un uomo intraprendente e capace, …Leggi tutto
Verso il 1880, credo, un mio trisavolo lasciò la frazione di Ancona in cui era vissuto fino ad allora – un posto sul Conero, terre argillose e scoscese – e si trasferì molto nell’entroterra. Era un uomo intraprendente e capace, e si comprò un po’ di terra, oltre alla poca che aveva acquistato all’inizio; poi i suoi discendenti si mostrarono meno fortunati, ma non è questo il punto. Siccome quel trisavolo era il nonno di mio nonno paterno, ho il suo stesso cognome; solo che in campagna i cognomi non esistono, come tutti sanno, sicché più che altro ho il suo stesso soprannome, che è poi Massigna’, ossia il posto sul Conero da cui partì il mio trisavolo.
Sono passati 130 anni e più, eppure quando torno al paese di mio nonno i vecchi mi chiamano ancora così. Ci riflettevo qualche tempo fa, e mi sono venute in mente due cose.
La prima è che quello della campagna di una volta (ormai esso non esiste più, o è residuale) era un mondo fermo nel tempo e nello spazio: si ripeteva eternamente, e non conosceva evoluzioni né intrusioni. Somigliava in qualche modo alla ripetizione di uno spettacolo, con una scena fissa, o un numero limitato di fondali, e i tempi e gli interventi ormai decisi una volta per tutte. La costa e la città non facevano parte di quegli scenari e dell’esperienza collettiva, anche se magari qualcuno aveva avuto l’occasione di arrivare fino ad Ancona per qualche motivo burocratico (ma certo il Conero era soltanto una cosa verde scura all’orizzonte nei giorni più chiari). Con le distanze e l’organizzazione economica e sociale del tempo, insomma, l’arrivo di un estraneo, tanto più di un uomo con le idee chiare, portato lì non dai casi della vita, ma da un suo progetto lucido e portato a termine, doveva essere un caso straordinario. E il mantenimento di quel soprannome, da parte dei suoi nuovi vicini e compaesani, conta forse come riconoscimento dell’abilità e della personalità di quell’uomo, artefice del proprio destino e capace di inventarsi un certo successo in un contesto estraneo (si potrebbe quasi sostenere che vale di più l’intraprendenza di quel contadino d’allora che le storie di successo a Berlino o Barcellona sbandierate al giorno d’oggi in qualche rubrichetta del cavolo).
Il secondo pensiero, tuttavia, è che se fossimo rimasti sul Conero, invece di inoltrarci nel mondo contadino e montano ormai in agonia, ora avremmo una casetta carina e forse un mezzo business nel turismo. Ma come famiglia non esisteremmo né ci sarei io come individuo, sicché mi placo e non ci penso più.