Start-up in Puglia: 4 storie di eccellenza
Nextome, auLab, Enjore, Impact Hub Bari: come sono nate, cresciute e dove vogliono arrivare, tra difficoltà e successi
Nextome
Una nuova tecnologia in grado di localizzare le persone all’interno di edifici e di proporre loro dei percorsi personalizzati e senza l’ausilio del gps. È stata questa l'idea vincente per la start-up Nextome. Si va dalla realizzazione di percorsi costruiti secondo le proprie esigenze durante una visita in un museo, all’individuazione rapida di prodotti di proprio interesse all’interno di un centro commerciale. Domenico Colucci, uno dei fondatori, ci racconta la sua storia,
Come è nata l’idea?
Dalla ricerca di un bagno. Eravamo alla Rinascente di Milano e per cercare il bagno abbiamo dovuto “esplorare” tutti i piani fino a trovarlo al sesto. Allora ci siamo resi conto che un servizio che forniva indicazioni sullo smartphone sarebbe stato ideale per questa esigenza e per tante altre.
Perché ha deciso di svilupparla in Puglia?
Perché volevamo vivere qui e uno dei miei colleghi che si era trasferito a Milano voleva tornare in Puglia. Nel 2012 poi, la Regione ha aperto un bando per finanziare idee innovative con 25.000 euro, con l’obbligo di realizzarlo sul territorio regionale. E quindi lo abbiamo dovuto e voluto fare qui.
Vantaggi e gli svantaggi di lavorare in Puglia?
Abbiamo trovato una certa arretratezza culturale. Molte aziende hanno mostrato diffidenza nel provare questo nuovo sistema. Tra i vantaggi invece, oltre alla bellezza del territorio e a un costo della vita molto basso a fronte di una qualità elevata, abbiamo trovato delle risorse umane preparatissime e a un costo ragionevole rispetto ad altri paesi.
In un altro luogo sarebbe stato più facile?
Sicuramente una Google in Italia difficilmente sarebbe nata. Magari ci abbiamo messo un po’ di più ma va bene così.
Quanta gente lavora a questa start-up?
Per ora i tre fondatori, un collaboratore e un business angel.
A quando il primo utile?
Noi siamo attivi sul mercato e fatturiamo dal 2014 ma i ricavi importanti credo arriveranno nel 2017.
Impact Hub Bari
È il primo spazio di co-working a Bari, che allo stesso tempo fa da incubatore alle nuove imprese e con queste collabora per nuovi progetti. Un ibrido che ha dotato il capoluogo pugliese di un luogo di lavoro per free-lance, start-up e progetti innovativi e li ha messi in contatto tra loro e con la rete mondiale degli Impact Hub realizzando anche un’operazione di recupero industriale "rianimando" un padiglione in disuso della Fiera del Levante. Ne parliamo con uno dei fondatori, Diego Antonacci
Come è nata l’idea?
In un’epoca in cui tutti puntavano sui social, abbiamo pensato che a Bari ci potesse essere il bisogno di un luogo fisico per far incontrare competenze, progetti e relazioni creando uno spazio di lavoro condiviso. Abbiamo deciso di collaborare con altri che proponevano un progetto simile unendo le forze.
Perché ha deciso di svilupparla in Puglia?
Quasi tutti i fondatori erano pugliesi ma vivevano fuori regione, prevalentemente in Spagna e avevano voglia di rientrare. Per questo non potevamo che trovare un’idea da realizzare qui.
Vantaggi e gli svantaggi di lavorare in Puglia?
Le difficoltà iniziali sono state le diffidenze del territorio quando proponevamo questa idea innovativa. E poi la burocrazia italiana e i tanti ostacoli che mette. Tra i vantaggi, la fase di forte innovazione che sta vivendo la Regione che ha facilitato molto la nascita di start-up innovative. In più, proprio nel periodo in cui stavamo pensando a questo progetto, la Fiera del Levante si stava trasformando e ci ha concesso questo spazio.
Altrove sarebbe stato più facile?
Non lo so dire ma credo che più che il luogo contano le persone. Per il resto facciamo parte di una rete di 70 hub, che non sono tutti uguali ma si adattano al loro territorio.
Quanta gente lavora a questa start-up?
Viene gestita dai tre dei quattro fondatori. Poi ci sono tre persone full time e tre tirocinanti. Mentre in 160 hanno scelto l’hub per lavorare di cui 60 hanno una postazione fissa.
A quando il primo utile?
Siamo già sostenibili ma puntiamo a reinvestire gran parte degli utili e a garantirci dei giusti stipendi.
AuLab
Una start-up che insegna a fare start-up. Un laboratorio per stimolare gli studenti delle scuole superiori a fare impresa e a scegliere consapevolmente il percorso formativo più giusto alle proprie esigenze, cercando di stimolare anche le scuole a nuovi modelli di insegnamento con attività sia fisiche che online. Questa è auLab e l'abbiamo scoperta parlando con il fondatore Davide Neve.
Come è nata l’idea?
Stavo lavorando a un’altra start-up a Milano e dovevo decidere se continuare il mio percorso a San Francisco o a Tel Aviv per trovare nuovi fondi. Sono rientrato a Bari a riflettere e, nel frattempo, ho iniziato a collaborare con scuole e università. Da lì abbiamo creato un format sulle scuole di start-up e partecipato a un bando di finanziamento della Camera di commercio che abbiamo vinto ottenendo 70 mila euro.
Perché ha deciso di svilupparla in Puglia?
Perché quando sono rientrato a Bari ho trovato una città diversa da quella triste e spenta che avevo lasciato 10 anni fa e ho deciso di restarci. E poi non posso nascondere che un peso importante lo ha avuto il finanziamento.
Vantaggi e gli svantaggi di lavorare in Puglia?
Per ora sto trovando solo vantaggi: ottimo rapporto qualità-prezzo di tutto quello che serve. Personale serio e preparato. Anche le infrastrutture mi sembrano buone.
In un altro luogo sarebbe stato più facile?
Non lo so. È capitato qui e per me va bene così
Quanta gente lavora a questa start-up?
Per ora siamo in quattro soci più una stagista. Per i corsi avviamo collaborazioni con professionisti
A quando il primo utile?
Abbiamo iniziato quest’anno e già abbiamo fatturato 40 mila euro. Con i nuovi progetti che avvieremo l’anno prossimo a partire dalla coding school, per diventare programmatori, credo che faremo un bel salto in avanti.
Enjore
Enjore è la start up che ha lanciato una piattaforma scalabile per la gestione di tornei e campionati sportivi ma anche per competizioni di videogame e tutto quello che riguarda giochi con più persone e più livelli. È stata utilizzata quest’anno da un milione di persone in tutto il mondo.
Nicola Taranto, come è nata quest’idea?
Nell’estate nel 2012 una società che ha dei campi di calcetto nel mio paese, Capurso, mi aveva chiesto di organizzare un sito per un torneo. Quando iniziò, vidi capannelli di ragazzi che commentavano i risultati delle partite. E allora mi venne l’idea di creare una piattaforma scalabile dove chiunque potesse organizzare online un torneo e gestirlo.
Perché ha deciso di svilupparla in Puglia?
Non sono campanilista però sono romantico... Lavorare in Puglia è davvero molto bello e offre stimoli creativi continui.
Vantaggi e gli svantaggi di lavorare in Puglia?
Ho trovato competenze tecniche ottime, un costo della vita e del lavoro ottimi. Ma qui al sud reperire denaro per investimenti è difficile e lo dimostra il fatto che chi ha investito in questo progetto 650 mila euro non è di questo territorio ma sono tutti capitali provenienti dal nord. Ci sono tante aziende che hanno molta liquidità ma non vogliono investire e rischiare.
Altrove sarebbe stato più facile?
Probabilmente sì ma non lo posso dire con certezza. Io sono dell’idea che dobbiamo sfruttare quello che abbiamo. E poi le difficoltà ti danno forti stimoli ed è ancora più bello quando si ottengono risultati.
Quanta gente lavora a questa start-up?
Ad oggi siamo in undici.
A quando il primo utile?
Prevediamo due piani di sviluppo. Il primo ci porterà a break even nel 2016. Tuttavia sia noi che gli investitori, vogliamo una grande azienda e abbiamo in programma di reinvestire e dal 2018 prevediamo la distribuzione di utili e una dimensione importante.