Gli Stati Generali del nulla (di fatto) del M5S
Il primo "congresso" del Movimento si è chiuso in un (prevedibile) nulla di fatto. Tutto come prima: posizioni, anime, liti, futuro al governo. Tra il disinteresse del paese
In attesa di sapere il risultato sul voto avvenuto sulla Piattaforma Rousseau che dovrebbe dire qual è il sentimento della base gli Stati Generali del Movimento 5 Stelle si sono svolti e chiusi nel più classico dei nulla di fatto. Eravamo abituati a congressi di altri partiti in cui le liti esplodevano fino al cambio di segreteria e rotta politica. Qui invece niente di niente.
Che i grillini siano profondamente spaccati in due non è di certo una novità. Ma che la sintesi tra le due voci ed una possibile linea unica non solo non si è vista, tutt'altro. Le diversità e certi attacchi personali tra i leader di un'ala e dell'altra non sono mancati.
E così Fico ha attaccato Di Battista, che ha attaccato Di Maio, che ha attaccato Casaleggio che non ha partecipato; un'assenza che è stata la cosa più rumorosa di tutto il resto.
Di Battista non ha usato mezze misure. Il leader dei duri-e-puri ha attaccato i vertici attuali, da Crimi a Di Maio: «Avete denigrato il movimento e vi siete genuflessi davanti ai vostri (nuovi) padroni».
Ascolta l'analisi di Marco Canestrari
Altrettanto dura la risposta di Fico che ha chiesto di «abbandonare le strategie della vecchia politica».
Immancabile poi l'intervento del premier Conte, che a seconda delle necessità è un uomo del Movimento oppure un corpo estraneo. Insomma, un buon democristiano che ha tenuto il suo solito discorso che voleva accontentare tutto e tutti. Da una parte quindi l'apprezzamento per la storia ed i valori originali del Movimento; dall'altra gli applausi per chi «trova la forza di cambiare, per migliorare», cioè per salvare la sua permanenza a Palazzo Chigi.
Liti interne a parte, anche sul vincolo di mandato e sul numero dei mandati del quali di fatto non si è parlato è emersa chiara la distanza ormai tra chi sta sul territorio e quelli che invece sono ormai diventati uomini di «palazzo», con questi ultimi propensi per una nuova organizzazione interne da partito della Prima Repubblica, distaccato da Casaleggio (cosa non si fa e come non si cambia per salvarsi la poltrona).
Alla fine però cosa resta in mano? Nulla, tanto rumore per nulla. Si va avanti così perché alla fine va bene così a tutti i protagonisti. I governisti restano al governo, felici. E felice è anche Di Battista che di fatto resta voce unica dei duri-e-puri, pronto forse a creare un Movimento più avanti tutto suo.
Poco, troppo poco per un partito che è maggioranza relativa in Parlamento e nel governo (nel periodo più delicato della storia del paese alle prese con la pandemia). O forse semplicemente il massimo di quelle che solo le sue potenzialità: cioè quasi zero.
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