Sulla mia pelle: perché è importante il film su Stefano Cucchi
Il giovane rivive tramite Alessandro Borghi in un racconto che non urla violenza, ma la fa respirare nella sua drammaticità strisciante
Dal fermo nella notte del 15 ottobre 2009 in via Lemonia a Roma, passando poi per la stazione dei Carabinieri Appia a quella Casilina e quindi di Tor Sapienza, di cella in cella, fino all'Ospedale Pertini di Roma, reparto di Medicina protetta, dove Stefano Cucchi è morto il 22 ottobre 2009. Sulla mia pelle è il film che ripercorre gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, le tappe che lo hanno portato alla morte durante la custodia cautelare.
La morte "misteriosa" del giovane trentunenne, fermato dai carabinieri per il possesso di alcuni panetti di hashish e deceduto sette giorni dopo in stato di inedia e con lesioni ed ecchimosi su volto e corpo, ha generato il celebre caso giudiziario a danno di militari dell'Arma, accusati di aver picchiato Cucchi a suon di pugni e calci nella caserma dove era stato portato dopo l'arresto.
Ragioniere con problemi di tossicodipendenza, impegnato nello studio di famiglia, Stefano era un ragazzo gracile, ma alla sua morte arrivò a pesare appena 37 chili.
Perché è nato il film
Sulla mia pelle nasce da un soggetto e da una sceneggiatura di Alessio Cremonini, che è anche regista del film, alla sua opera seconda dopo il lungometraggio low budget Border (2013) sulla guerra civile in Siria, già co-sceneggiatore di Private (2004) di Saverio Costanzo.
"Quando Stefano Cucchi muore nelle prime ore del 22 ottobre 2009, è il decesso in carcere numero 148. Al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra raggiungerà l’incredibile quota di 176: in due mesi trenta morti in più", così Cremonini, 45 anni, spiega cosa l'ha spinto a scrivere e dirigere Sulla mia pelle. "Nei sette giorni che vanno dall’arresto alla morte, Stefano Cucchi viene a contatto con 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri e in pochi, pochissimi, hanno intuito il dramma che stava vivendo. È la potenza di queste cifre, il totale dei morti in carcere e quello del personale incontrato da Stefano durante la detenzione che mi ha spinto a raccontare la sua storia: sono numeri che fanno impressione, perché quei numeri sono persone".
E ancora: "Di tutta la vicenda, le polemiche, i processi, è l’ovvia ma allo stesso tempo penosa impossibilità di difendersi, di spiegarsi, da parte della vittima ad avermi toccato profondamente: tutti possono parlare di lui, tranne lui. Ecco, Sulla mia pellenasce dal desiderio di strappare Stefano alla drammatica fissità delle terribili foto che tutti noi conosciamo, quelle che lo ritraggono morto sul lettino autoptico, e ridargli vita".
Chi ci ha lavorato
A interpretare Stefano Cucchi è Alessandro Borghi, l'attore che sa portare su di sé - come già fece in Non essere cattivo e Suburra - tutta la romanità da borgata e la fatica di chi è un po' smarrito e ribelle. Per la parte ha perso 18 chili.
Jasmine Trinca incarna invece Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano che, con caparbietà e coraggio, ha iniziato la battaglia per rompere il silenzio e trovare verità e giustizia per suo fratello, facendo diventare il suo caso una vicenda di forte impatto mediatico e riflessione nazionale.
I genitori Giovanni Cucchi e Rita Calore sono interpretati rispettavamente da Max Tortora, che lascia la sua consueta vena comica per trovare tutta la misurata delicatezza del caso, e Milvia Marigliano.
Dove vederlo
Film originale Netflix, presentato alla Mostra del cinema di Venezia in apertura della sezione Orizzonti, Sulla mia pelle è stato distribuito dal 12 settembre in alcuni cinema selezionati da Lucky Red e in streaming sulla piattaforma digitale Netflix.
Sulla mia pelle, insieme ad altri film proiettati in concorso a Venezia, rientra nella polemica in corso tra Netflix e gli esercenti cinematografici, convinti che "la visione di un film concepito per il grande pubblico debba avvenire prioritariamente su grande schermo" e contrari alle uscite contestuali sala-streaming.
Le visioni in piazza: legali o no?
La possibilità di visione in streaming ha creato un'altra anomalia cinematografica: alcuni centri sociali hanno voluto proiettare in piazza il film. È capitato in piazza Oberdan a Milano e sul prato davanti all'Università La Sapienza di Roma. Da un semplice abbonamento a Netflix, ecco che hanno potuto usufruire della visione decine e decine di presenti, con buona pace di copyright, incassi al cinema e eventuali nuovi abbonamenti a Netflix.
È così che è nata una nuova polemica tra chi considera questa operazione legale e chi la taccia come illegale. A far discutere anche la qualità della proiezione perché, al di là della tematica proiettata, ad alto contenuto sociale, il cinema è pur sempre arte.
Il regista Cremonini sui social ha commentato: "Che un film venga proiettato in un lenzuolo che svolazza con un impianto audio opinabile non fa bene al film e non fa bene alla memoria della persona che il film racconta".
Perché è importante
Sulla mia pelle è un film che, pur nella drammaticità della materia trattata, riesce a essere sobrio. Alla larga isterie, violenze urlate o mostrate, dolori sotto forma di decibel. La violenza è strisciante, taciuta, sussurrata a fior di bocca.
Il taglio è quasi documentaristico e quasi misurato. Stefano Cucchi è raccontato come un ragazzo comune con le sue debolezze e i suoi errori, rare concessioni o ammiccamenti. Il racconto procede come una cronistoria, un riassunto delle tappe di un calvario silenzioso.
Ci sono alcuni momenti di commozione, come l'abbraccio tra il padre e Stefano, in tribunale. Come i dubbi di Ilaria che, impossibilitata dai lacci burocratic ad andare a trovare il fratello in ospedale, teme che lui la creda arrabbiata.
Sulla mia pelle è un film che parla di diritti civili e diritti umani. Non è un attacco indistinto alle forze dell'ordine. Non tutti gli uomini rappresentati in divisa sono orchi.
"Sono accuse gravi", dice un poliziotto penitenziario allo Stefano Cucchi incarnato da Borghi che sostiene di essere stato picchiato; "Come le botte che m'hanno dato", risponde lui.
Proprio perché, se confermate, le accuse contro i carabinieri rinviati a giudizio nell'inchiesta bis su Cucchi sono gravi, estremamente è importante parlarne. È importante che si sappia. Che si getti luce su quella palude scura di indifferenza e odio.