AirPods 3, la nostra prova. Come vanno i nuovi auricolari di Apple
Suono bilanciato, nitidezza interessante, nessun eccesso con i bassi. Autonomia migliorata e design ingentilito. Una scelta sensata, a patto di non considerare fondamentale la cancellazione del rumore
Promosse? Sì. Senza inutili attese, lunghi giri di parole. Perché in Moth to a flame, l'ultima collaborazione tra i sovrani redivivi della dance, gli Swedish House Mafia, e la macchina da hit The Weeknd, i bassi ci sono tutti, ma non sono un martello pneumatico che annulla il resto della melodia. Perché in Shadow of the day dei Linkin Park, l'arrivederci quasi addio di Chester Bennington si avverte cristallino, dolente, quindi più tagliente. O in una ballata italiana qualunque, perché tra rap, trap e contaminazioni assortite c'è ancora chi le ascolta (doveroso l'outing), voce e chitarra sono lì schiette ma non piatte, definite e non dopate.
La Apple, regina della misura, nemica della fascinazione dei paradossi - tranne per quel gusto di ribadire che l'ultimo prodotto è tanto più mirabile del precedente - ha creato con le AirPods di terza generazione, non figlie ma nipoti degli originali, un paio di auricolari prima di tutto onesti. E non è una deminutio, anzi una schietta lode.
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Non assecondano la tentazione di esagerare, pompare, insistere su un elemento a pregiudizio di un altro. Di fare bullismo sulle note, affermare arroganza tra le tonalità. Basta un po' di tempo a girovagare nella propria libreria di brani per accorgersene: gli acuti arditi non si distorcono, i classiconi nostalgici luccicano della gioventù originaria, le collaborazioni e i mash-up tengono viva la voglia di muoversi.
C'è poco da dire, pochissimo da manovrare per configurarle. È sufficiente aprire lo scatolotto ed eccole agganciarsi a un iPhone o a un iPad. Tenere premuto il pulsante sul retro perché la lucina bianca cominci a lampeggiare e siano rilevabili da uno smartphone Android, un televisore o un computer. Sarà che Tim Cook e i suoi ingegneri abbiano doti taumaturgiche o cure particolari, ma l'aggancio avviene di norma celere e senza intoppi. Come il transito da un dispositivo e l'altro.
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La metamorfosi rispetto alle generazioni precedenti non è eccessiva, eppur si nota. Le pennellate di nero con altoparlantini e microfoni incorporati sono più marcate rispetto alla generazione madre e persino agli AirPods Pro, di cui a un'occhiata distratta parrebbero un clone.
Niente gommini, in quel tentativo di universalità che le fa entrare nella maggior parte delle orecchie, cascare da quelle di pochi malcapitati. Comunque, la sensazione è di un rimpicciolimento del corpo principale, che tenderebbe a rosicchiare ancora il campione di chi le trova incompatibili con i suoi padiglioni. Altra differenza rispetto al modello Pro, l'assenza della tecnologia per la riduzione del rumore, che sulle sorelle maggiori è davvero sorprendente, forse tra le migliori mai sperimentate.
Sta al gusto di ciascuno decidere quanto sia cruciale. In casa, per strada, riprodurre la musica stessa fa già da ammortizzatore del mondo circostante. L'isolamento si risolve nell'utilizzo. Magari chi è spesso su un aereo o su un treno, potrebbe alla lunga sentirne l'esigenza. E spendere 80 euro in più (279 euro è il listino delle Pro), sebbene le offerte su altri siti riescano a far spuntare un prezzo migliore. Quello delle nuove AirPods 3, che rispetto alle 2 hanno gambette più corte e sempre i comandi da pizzicare sui piedini per mettere in pausa un brano, passare al successivo o tornare al precedente, chiamare in causa Siri, può sembrare eccessivo rispetto a molta concorrenza che ha abbassato l'asticella a 99 euro, 129 euro e multipli comunque inferiori.
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Intanto, per chi si muove nell'ecosistema Apple, restano un benchmark. Aggiungono un'autonomia migliorata, che arriva a sei ore teoriche di singolo utilizzo per la riproduzione musicale, quattro ore in conversazione (nella pratica un po' meno, ma comunque più che okay). Si possono ricaricare con il cavo incluso nella confezione – quello dell'iPhone, quindi il solito connettore Lightning – o in modalità wireless adagiandole su un alimentatore MagSafe.
E poi, o soprattutto a seconda di quanto si viva immersi nell'ecosistema della mela, come le AirPods Pro e le cuffie AirPods Max, hanno di serie l'«audio spaziale», già evidenziato e da provare subito per un veloce assaggio nella schermata principale delle impostazioni del dispositivo. La differenza si sente. Significa che con i contenuti compatibili, per esempio i dettagli di una scena di un film o una serie televisiva su Apple TV+, o con il Dolby Atmos attivato su Apple Music, si va oltre la stereofonia: si vive nelle orecchie l'effetto surround tipico di una sala cinematografica o un auditorium attrezzato. E grazie al tracciamento dei movimenti della testa, l'audio si sposta anche se ci si gira in una direzione o in un'altra.
È una prospettiva, una traiettoria, comunque il valore aggiunto. Sebbene quello principale delle AirPods versione numero tre è il loro essere uguale a sé stesse per ciò che funzionava già, migliorate nell'autonomia e, questione di gusti, nel design più aggraziato e meno spigoloso. Infine, resistono all'acqua e al sudore, così le si può usare per allenarsi senza timore di guastarle. Informalmente, era così già prima, ma una rassicurazione supplementare, ufficiale, non dispiace di certo.
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