Sulle Case Green l'Europa ci racconta una favola a cui crede pure
I numeri e le leggi della fisica dimostrano che l'idea alla base della decisione del Parlamento Europeo si basa su cose irreali, soprattutto in Italia
Con l’approvazione del provvedimento per le case green il Parlamento europeo ha dimostrato ancora una volta di credere nelle favole. Meno di prima, quando delirava provvedimenti capestro, ma questo non è ravvedimento né studio della fisica, bensì l’avvicinarsi delle elezioni. Il problema, come sempre, è che vengono assunti per veritieri e insindacabili studi fatti da chi viene pagato per dimostrare quanto la politica vuole.
Ecco, allora, che si arriva alla follia di dichiarare che gli edifici dell'Unione europea sono responsabili del 40% dei consumi energetici e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra dei Paesi membri, finanche che i soldi contanti producono CO2, come se le carte di credito – di plastica e che senza energia non funzionano - invece fossero il prodotto di chissà quale arbusto.
Tornando alle case, ecco che dal 2021 a Bruxelles si pensa davvero che il riscaldamento degli edifici sia un problema al pari delle emissioni industriali e dei trasporti, arrivando, nel caso dell’Italia, a sostenere che il 53% delle emissioni di microparticolato Pm 10 e il 18% delle emissioni climalteranti siano dovute alla pretesa umana di non morire congelati in casa propria. Se poi ci concentriamo sulla Pianura Padana, dove purtroppo la stagnazione dell’inquinamento è da sempre un problema, ai verdi nostrani quella ottenuta a Bruxelles appare una vittoria. Ma tant’è, dal 2030 i nuovi edifici privati dovranno essere a emissioni zero, mentre quelli pubblici già dal 2028. Apriti cielo, siamo già bombardati di pubblicità su fantomatiche efficienze di oltre il 110% delle pompe di calore a propulsione elettrica, e poco importa che la fisica dalle scuole medie in poi, fino all’università, insegni che a ogni cambiamento di stato della materia ci sia una perdita energetica. Per la Commissione Ursula queste sono baggianate, così hanno votato a favore 370 eurodeputati (che evidentemente credono alla fisica di Bruxelles e all’albero delle carte di credito), contrari 199 (a loro la fisica probabilmente piaceva di più), mentre 46 si sono astenuti.
A questo punto, pur ammettendo che si possa metter mano alla svelta a una parte del patrimonio immobiliare italiano escludendo case storiche, seconde case, luoghi di culto e agricoli, caserme eccetera, garantendo la ristrutturazione del 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni entro il 2030 e del 26% entro il 2033, imponendo prestazioni energetiche minime da garantire, e anche pensando di riuscire come per magia a ridurre del 16% l’energia usata dall’edilizia residenziale entro fine decennio, considerando che questi numeri sono una frazione delle emissioni europee, e che queste ultime (13%) sono una parte di quelle globali (la Cina da sola fa il 27%), c’è da chiedersi come faccia a valerne la pena. La scrivo con i numeri: per legge vogliamo ridurre del 16% il 18% del 13%. A voi i commenti, soprattutto considerando che la fabbricazione di cappotti termici, pannelli solari, collanti e quant’altro serve per “efficientare” un condominio non è certamente priva di inquinamento.
Se crediamo ai numeri diffusi sulla maggioranza dei siti web appartenenti a Unione europea e le fin troppo considerate associazioni ambientaliste, vediamo che Cina, India e Usa insieme emettono ben oltre la metà della CO2 mondiale. E che in Cina le centrali a carbone emettono, da sole, più della riduzione che si avrebbe in Italia se la bacchetta magica funzionasse e le pompe di calore andassero ad aspirina atomica (Cit. Archimede Pitagorico). Quanto alle case private, passino nuovi serramenti, laddove possibile e opportuno anche il cappotto termico, van bene le caldaie per chi le ha vetuste, ma è prevedibile che la maggioranza degli interventi riguarderà l’installazione di pannelli solari. E indovinate chi è il maggior produttore mondiale? Ovviamente sempre la Cina, che nel frattempo avrà creato piantagioni di alberi da carta, ovviamente di credito.