Le guerre cyber ci deglobalizzeranno?
La Rubrica - Cybersecurity Week
Due anni orsono feci alcune considerazioni. Scrivevo che la pandemia stava mostrando al mondo come la globalizzazione fosse un enorme equivoco. Il problema non era la globalizzazione in quanto tale, ma la sua convivenza con la struttura socio-politica che ha segnato la storia degli ultimi seicento anni: lo Stato. Un'entità basata su concetti come la sovranità all'interno di un perimetro spaziale definito, che ha vissuto per secoli lo scontro dell'autodeterminazione di sé stessa spesso opposta a quella dei popoli, che ha fatto della capacità di controllo la fonte della sua potenza. Una realtà incapace di sopportare l'idea stessa della globalizzazione nella sua forma attuale.
Ritorno oggi sull’argomento perché i governi in nome della “ragion di stato”, in modo più o meno strisciante, stanno cercando di minare alle sue fondamenta il pilastro su cui l’ultima globalizzazione si è fondata: la società dell’informazione. Questo in nome della sovranità tecnologica che l’attuale guerra russo-ucraina, con le sue implicazioni tecnologiche, ha reso di stringente attualità. Così la Russia annuncia il suo progressivo distacco dalla rete globale.
I risvolti cyber del conflitto in corso hanno una duplice natura. Da un lato i danni diretti determinati dagli attacchi i cui effetti sono meno appariscenti di quelli dello scontro convenzionale, ma di sicuro ci sono stati. Dall’altro le conseguenze degli embarghi tecnologici che rendono rapidamente vulnerabili i sistemi. A tal proposito dovrebbe fare riflettere la posizione assunta da Microsoft che, nonostante le sanzioni, ha dichiarato di continuare a garantire gli aggiornamenti dei suoi software agli ospedali e scuole russe perché in caso contrario si metterebbe a rischio la vita di civili. Un atteggiamento che non sarebbe applicato rispetto a sistemi militari o comunque rilevanti nel conflitto.
Ecco che qualcuno sembra averci pensato e filtrano voci secondo cui la Cina si appresta a lanciare un programma di autarchia tecnologica il cui primo segnale sarebbe la sostituzione di tutti portatili e relativi sistemi operativi di produzione statunitense. Un’operazione che coinvolgerà nella sola amministrazione centrale circa 50 milioni di dispositivi.
Gli Stati, forse più del genere umano considerato come specie, hanno un fortissimo istinto di sopravvivenza e iniziano a sospettare che i benefici di portare alle estreme conseguenze la “trasformazione digitale” potrebbero avere come effetto collaterale la loro crisi definitiva.