DeepSeek, il nuovo chatbot cinese che può rivoluzionare l’IA
Il nuovo software cinese di Intelligenza artificiale è gratuito e open source. Sviluppato con costi bassissimi, il suo lancio è stato considerato da molti commentatori americani come il "momento Sputnik" dell'IA. Al momento l'app non risulta più disponibile in Italia.
Lunedì 27 gennaio le azioni di Nvidia, l’azienda produttrice di microchip più importante del panorama tecnologico americano, perdevano più del 17% del loro valore, bruciando in un solo giorno circa 589 miliardi di capitalizzazione. Il responsabile di questo “lunedì nero” al Nasdaq, che ha coinvolto l’intero settore tech americano, è stato DeepSeek, l’equivalente cinese di ChatGpt. Lanciato la scorsa settimana, DeepSeek è già diventata l’app più scaricata sia negli Stati Uniti che in Italia. Il chatbot cinese rappresenta infatti un nuovo approccio allo sviluppo e alla diffusione dell’intelligenza artificiale.
Per cominciare L’applicazione è stata sviluppata da un’omonima società di neanche 200 dipendenti (OpenAI ne ha 3500) di base nella città cinese di Hangzhou. Il fondatore, Liang Wenfeng, è anche cofondatore di High-Flyer, fondo di private equity che possiede e finanzia DeepSeek. La vera rivoluzione di questo modello IA è però nel suo addestramento. Questo è infatti costato solamente 5,5 milioni di dollari, ed è stato effettuato utilizzando vecchie Gpu di Nvidia H800; questa Gpu è un modello "indebolito" appositamente per rispettare le sanzioni americane imposte alla Cina ed essere ivi esportato. Il risultato è un chatbot paragonabile (se non superiore) ai migliori attualmente disponibili sul mercato, ottenuto ad una frazione del costo dei rivali e utilizzando hardware più obsoleto.
L’altro motivo che ha portato al crollo borsistico di lunedì è il fatto che DeepSeek sia gratuito e open source. A differenza di ChatGpt non è necessario fare alcun abbonamento a pagamento per fruire illimitatamente dell’applicazione; mentre la decisione di rendere il codice dell’applicazione open source mira certamente a rompere il monopolio delle grandi aziende tecnologiche, sia americane che cinesi. Il Wall Street Journal riporta alcune dichiarazioni di Wenfeng, rilasciate in un’intervista l’anno scorso a 36Kr, dove il fondatore di DeepSeek difende questa scelta asserendo che “per i tecnologi, il fatto che altri seguano il tuo lavoro dà un grande senso di realizzazione. L'open source è più una cultura che un comportamento commerciale, e contribuirvi ci fa guadagnare rispetto”.
Per quanto concerne il funzionamento dell’applicazione, esso è in fondo simile a ChatGpt. C’è però una funzionalità in più: la possibilità di utilizzare il tasto “pensiero profondo”. Questo tasto permette l’utilizzo del modello R1, che può contare su capacità di ragionamento in grado di ottenere, oltre alla risposta alla domanda posta, i passaggi logici che hanno portato il chatbot a fornire la stessa. Ma attenzione alle domande che si pongono, se si fanno riferimenti al massacro di piazza Tienanmen o al funzionamento del sistema politico cinese, DeepSeek non vi risponderà.
Insomma, la corsa dell’IA non accenna a placarsi. Donald Trump ha parlato dello strabiliante successo di DeepSeek definendolo una “wake up call”, un invito a risvegliarsi e a rimboccarsi le maniche per non restare indietro nella corsa tecnologica, facendo intendere che per gli Stati Uniti questo sia una sorta di "momento Sputnik".
Nel nostro Paese, intanto, il garante della protezione dei dati personali ha avviato un’indagine sulle società che gestiscono DeepSeek, similmente a quanto fece con ChatGpt al momento del suo lancio. Probabilmente proprio per questo l'applicazione non risulta più disponibile in Italia, essendo sparita sia dall'app store che dal Google store. L’Autorità ha infatti inviato una richiesta formale di informazioni per verificare il rispetto delle normative italiane ed europee sulla protezione dei dati personali. SI vuole insomma capire se i dati degli utenti vengano utilizzati solo per migliorare il chatbot o se vengano utilizzati per altri scopi, ad esempio fini pubblicitari o venduti a terze parti.