100 anni di Aereonautica Militare Italiana
Di Leonardo Tricarico Generale di Squadra Aerea già capo di Stato Maggiore dell'Aereonautica Militare Italiana
Il disinteresse colpevole con cui il mondo della politica italiana ha sempre interagito con le questioni della difesa -nell’attualità vedansi le performances di Elly Schlein e Giuseppe Conte- ha comportato un duplice ordine di effetti sul nostro strumento militare. L’uno deleterio, in quanto la preparazione e l’aggiornamento delle capacità complessive si sono compiuti senza lo stimolo ed il controllo di chi aveva il dovere ineludibile di garantire le risorse, controllarne l’impiego e promuoverne l’integrazione nel contesto multinazionale.
Con Guido Crosetto e parte della coalizione oggi alla guida del Paese è ragionevole attendersi un nuovo atteggiamento, ma per loro non sarà facile. Lo sanno bene quei pochi ministri - basta meno di una mano per contarli- che in passato hanno compreso che le capacità militari sono un asset importante, anche e sopratutto a livello internazionale, meritevole pertanto di un’attenzione più oculata.
Per contro, la sostanziale separatezza dei due mondi -quello politico e quello militare- ha lasciato mano libera ai militari nelle scelte fondamentali, non solo in campo nazionale ma anche nella dialettica internazionale sempre più importante ed inevitabile. E quest’ultimo è certamente stato il fattore derimente, quello che ha comportato -parlo ora in maniera specifica dell’Aeronautica Militare- non solo di avere una forza armata assolutamente aggiornata ed integrabile in qualsiasi iniziativa comune ma anche di mettere a punto alcune capacità di eccellenza che oggi noi possediamo in evidente emersione rispetto agli altri paesi europei.
E che ci pone nella condizione, se la politica accompagnerà il percorso, di avere un ruolo guida nell’edificazione di uno strumento militare europeo. Volendo semplificare, quattro sono le aree in cui l’intraprendenza virtuosa della nostra Aeronautica ha comportato il raggiungimento dei livelli menzionati. Il primo -la cui importanza è finalmente sotto gli occhi di tutti oggi in Ucraina- è quello degli aeromobili a pilotaggio remoto, i droni.
Dopo il loro vero debutto sulla scena operativa nella guerra dei Balcani del 1999, il nostro paese ha colto appieno le prospettive di utilizzo di questi sistemi nei conflitti armati e se ne è dotata senza esitazione. I primi velivoli sono giunti in Italia nell’autunno del 2004, gli equipaggi erano già stati addestrati negli Stati Uniti, il tempo di montare le ali e di inviarli in Iraq a supporto delle elezioni generali che si sono svolte in quel paese a fine anno. Da allora i droni, i Predator, non hanno avuto pausa di alcun tipo, sia fuori dai nostri confini sia in Italia, lasciando paesi come la Francia a rincorrere insieme alla maggior parte degli altri paesi europei.
La seconda eccellenza, semmai più pregiata, è quella di aver messo a punto la piena capacità di gestire operazioni aeree di ogni tipo ed in ogni tipo di teatro.
Ormai i meccanismi di comando e controllo delle operazioni belliche sono divenuti molto complessi laddove si pensi alla molteplicità e specificità delle aeronautiche -come di altre componenti- normalmente impegnate in coalizione, ai sistemi d’arma differenti e non sempre integrabili che esse portano in dote, alle limitazioni che ognuno ritiene di dover imporre al proprio contributo, all’evanescenza ed alla mutevolezza degli obiettivi, ai meccanismi decisionali da rispettare, ai due nuovi domini - dello spazio e cibernetico- che ormai sono entrati a far parte delle operazioni militari e così via.
In questo settore ci ha aiutati molto l’aver affiancato gli Stati Uniti nelle operazioni di Comando e controllo in giro per il mondo (e segnatamente nella guerra dei Balcani) e nell’aver utilizzato l’esperienza per istituire un centro di direzioni delle operazioni tutto nostro a Poggio Renatico nel quale ci impratichiamo con la quotidianità e nelle frequenti esercitazioni NATO e nazionali.
Un’altra area normalmente poco visibile ma derimente in caso di operazioni belliche è quella della guerra elettronica, della capacita di gestire -in ambiente ostile ed in volo- le attività di sorveglianza aerea, di individuazione precoce del rischio, di selezione degli obiettivi, di raccolta di informazioni, di ricognizione e così via. Il tutto facendo ricorso a tecnologie avanzate installate a bordo di piattaforme volanti di cui la nostra aviazione già dispone in una flotta da completare negli anni a venire.
E da ultimo, una leadership che per la verità ci è da sempre riconosciuta e che negli ultimi anni abbiamo potenziato e proposto prepotentemente all’attenzione internazionale, rendendola al pari tempo fruibile a paesi amici ed alleati: l’addestramento al volo. È una capacità che viene da lontano, condivisa con l’industria nazionale che oggi vanta il miglior caccia addestratore al mondo, Stati Uniti compresi, il velivolo Aermacchi M346.
Ed insieme all’industria abbiamo dato vita sulla base aerea di Decimomannu in Sardegna ad un vero e proprio centro di eccellenza per la formazione finale dei piloti da combattimento.
Già da ben prima che la struttura fosse pronta, la disponibilità di corsi per piloti stranieri e’ andata esaurita in un battibaleno e così nei prossimi anni. La IFTS (International Flight Training School) -così si chiama- è in poco tempo divenuta oggetto di attenzione di molte aeronautiche, il Capo di Stato Maggiore giapponese ha asserito pubblicamente che nessun pilota nipponico entrerà nelle forze da combattimento se non dopo essersi diplomato a Decimomannu.
Recentemente anche la Royal Air Force ha chiesto, ad iscrizioni chiuse, di avere quattro posti per suoi piloti e credo che il Gen Goretti, l’attuale capo dell’AM, per il prestigio dell’inattesa opportunità, abbia fatto spazio nell’affollamento internazionale pur di poter insegnare ai piloti della RAF. Ad oggi sono presenti nella nostra scuola piloti di Canada, Gran Bretagna, Germania, Austria, Quatar, Giappone, Singapore ed Arabia Saudita.
Non si può quindi non celebrare con legittima soddisfazione il compimento del centesimo anno di vita, una vita compiuta al servizio leale del Paese. Non poteva però mancare la nota dolente: Ustica. Un vero calvario per quelli della mia generazione, fortunatamente meno dolorosa per i giovani che della tragedia del DC9 Itavia sanno poco o nulla: l’attuale Capo di Stato Maggiore all’epoca dei fatti non era ancora entrato in Accademia. Una vicenda che ha visto i militari dell’Aeronautica finalmente è pienamente assolti, tutti, da ogni accusa, uscire specchiati dal lungo processo penale al termine del quale i giudici della Corte di Assise di Appello di Roma -quelli si magistrati giusti e coraggiosi- hanno chiesto (scrivendolo in sentenza a pag 48) loro scusa perché nei loro confronti stava per essere commessa un’ingiustizia.
A fronte di tutto questo molti, appartenenti ad una parte politica e di pensiero ben identificata, hanno ripreso a rimestare con inedito vigore la melma che loro stessi avevano creato. Giuliano Amato si qualifica senza dubbio come il portabandiera di questo putrido rimescolamento, un personaggio -non saprei come altro definirlo- che dallo Stato ha avuto molto e che ricambia divulgando falsità di cui ammette di non aver le prove, puntando ancora una volta il dito accusatore su servitori fedeli dello Stato che nel corso di questi cento anni hanno dato ampia testimonianza di come si serve il paese, di cosa vuol dire essere coerenti con il giuramento prestato. Rendendosi tra l’altro Giuliano Amato -ed è il fatto più grave- corresponsabile di quanti in questi anni, divulgando menzogne e farneticazioni su una tragedia italiana rimasta senza colpevoli, ha di fatto continuato ad impedire che la magistratura indagasse nella giusta direzione per individuare i colpevoli dell’attentato che ha ucciso 81 innocenti la notte del 27 giugno 1980.