Contro le armi degli Houthi non esiste soluzione a basso costo
La sicurezza da Aden a Suez ha un prezzo elevatissimo. Intercettare ogni drone e missile lanciato dagli Houthi costa anche quattro milioni di dollari a colpo, così gli Usa cominciano a usare velivoli F/A-18. E a pensare di colpire i lanciatori in territorio yemenita. Una scelta che però esporrebbe a ritorsioni tutta la flotta
Nella giornata di ieri, martedì 26 dicembre, il cacciatorpediniere della Marina americana Uss Laboon, insieme con altre unità militari statunitensi hanno abbattuto oltre una dozzina di droni e missili nel Mar Rosso, pochi giorni dopo che la stessa nave aveva abbattuto quattro velivoli nelle stesse acque. Secondo le fonti militari si tratta sempre di ordigni lanciati dai ribelli Houthi che sfrutterebbero la presenza nella regione di una nave radar iraniana dalla quale riceverebbero le informazioni riguardanti il traffico marittimo all'entrata dello stretto di Bāb el-Mandeb. Secondo il Comando centrale degli Usa, oltre alle contromisure della Uss Laboon, in più di una occasione sarebbero intervenuti velivoli F/A-18 Super Hornet decollati dalla portaerei Eisenhower, che a loro volta avrebbero abbattuto altri dodici droni, tre missili balistici antinave e due missili da crociera intercettati nel Mar Rosso meridionale. L'azione rappresenta sia l'annunciata intensificazione delle operazioni Houthi, sia la necessità Usa di non finire in pochi giorni le riserve di munizioni nobili e costose presenti sulle navi.
Yahya Sare’e, portavoce delle forze Houthi, ha dichiarato su X (Twitter), che gli ultimi lanci sono stati effettuati in segno di “continuo sostegno e solidarietà con il popolo palestinese”, ma quanto accaduto porta a oltre cento gli attacchi contro 15 diverse navi commerciali e mercantili nel Mar Rosso nell'ultimo mese, considerando anche quello delle ultime ore contro il mercantile della compagnia Msc. Intanto si stanno portando nell'area delle operazioni le prime 25 unità navali dell'operazione “Guardiani della prosperità” voluta dagli Usa, che tra i suoi obiettivi ha proprio quello di scoraggiare futuri attacchi, anche nel vicino Oceano Indiano.
Per abbattere i droni e i missili Houthi, le forze Usa possono utilizzare una serie di contromisure, dai cannoni a tiro rapido da 5 pollici a razzi per intercettazione, fino al jamming, ovvero al disturbo dei segnali radio di controllo. Ma qualunque sia il sistema utilizzato, i comandi delle unità navali devono fare i conti con l'arsenale disponibile a bordo, l'efficacia e ovviamente il suo costo, che aumenta man mano che la missione dura nel tempo. I droni sono più lenti dei missili e possono essere colpiti anche con i cannoni delle navi, mentre i più veloci missili devono essere intercettati con munizioni più sofisticate come il missile Raitheon Sm-2 (2,5 milioni di dollari a colpo), oppure il suo fratello maggiore Sm-6, un'arma più avanzata che può abbattere anche missili balistici fino nell'alta atmosfera e colpire altre navi con una portata fino a 370 chilometri, ma questi hanno lo svantaggio di costare più di 4 milioni di dollari ciascuno e avere tempi di produzione incompatibili con un uso continuo. Contro missili antinave e minacce a bassa velocità, come i droni e gli elicotteri, si può usare anche il missile Evolved Sea Sparrow (Essm), progettato per colpire a una distanza massima di 50 chilometri e dal costo di circa un milione di dollari a esemplare. E questo stride con il costo dei droni e dei missili iraniani usati dai ribelli, la cui produzione non supera il valore di 120-250.000 dollari. Tipicamente gli Houthi lanciano missili Tankil (500 km di gittata e 250kg di esplosivo) e Asef (450km e 180kg di testata), ovvero le versioni disponibili di ordigni progettati in Iran su licenza cinese, a sua volta basati sui soluzioni presenti sugli RedFlag2 degli anni Ottanta e su tecnologia sovietica. La domanda quindi è: fino a che punto, ovvero fino a quale costo, gli Stati Uniti vogliono spingersi per proteggere la navigazione mercantile? Perché per poter risparmiare, usando per esempio mitragliatori di precisione come il Gatling Phalanx da 20mm, è necessario che il bersaglio sia a una distanza massima di circa due chilometri dalla nave, ma poi in caso di mancato bersaglio il tempo per sfuggire al missile o al drone sarebbe insufficiente. Il limite del Phalanx è che non può difendere le navi mercantili, poiché costringerebbe le unità militari a una scorta ravvicinata e costante. Dunque la faccenda dei rifornimenti di armi assume, con il tempo, un'importanza crescente, anche perché ha soltanto due soluzioni, aggiungere unità navali, oppure fare rotta verso Gibuti, dove gli usa hanno una base logistica. Ma anche questo, in termini di tempi e costi, non è certo gratuito. Ne consegue, che nonostante un attacco diretto verso gli Houthi in Yemen causerebbe una reazione iraniana e metterebbe l'Arabia Saudita in grande imbarazzo, prima o poi potrebbe rivelarsi una soluzione percorribile e conveniente, seguendo il principio che sia meglio abbattere chi la lancia le frecce piuttosto che intercettarle una ad una.
Ma un attacco da parte degli Usa alle basi (accampamenti) Houthi esporrebbe a una possibile ritorsione tutte le navi che partecipano alla missione Prosperity Guardian, inclusa l'unità italiana, la fregata Virginio Fasan. Oltre a questo c'è un altro pericolo: la guerra nello Yemen, che imperversa dal 2015, sta volgendo al termine grazie alla mediazione di Iran, Cina, Oman e delle monarchie arabe; ma siccome all'operazione nel Mar Rosso nessuna di queste nazione prende parte, l'occidente si ritroverebbe in una nuova guerra contro i musulmani. E che la presenza occidentale nel Mar Rosso sia considerata di troppo è stato ribadito a mezze parole anche dall'Egitto, per bocca del suo ministro degli esteri Sameh Shoukry, che il 22 dicembre scorso ha ribadito che la responsabilità di proteggere il traffico navale nel Mar Rosso spetta alle nazioni che vi si affacciano. E quindi un attacco Usa suonerebbe come un'aggressione occidentale al mondo arabo.
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