Come sarebbe l'eventuale guerra Iran-Usa
Battaglia aerea improponibile, come quella sul campo. Ma le milizie fuori controllo sarebbero un nemico difficile anche per gli Stati Uniti
Non c’è soltanto chi esorta le potenze militari a impegnarsi per evitare un’estensione del conflitto arabo-israeliano tra Usa e Iran, ma anche chi getta benzina sul fuoco: qualche giorno fa, precisamente mercoledì 11 ottobre, il senatore americano Lindsey Graham, repubblicano della Carolina del Sud, ha dichiarato che Israele e gli Stati Uniti dovrebbero bombardare l’Iran nonostante manchino le prove del coinvolgimento diretto di Teheran nella strage del 7 ottobre scorso. In particolare, Graham ha chiesto un'operazione militare congiunta contro le infrastrutture iraniane e ha affermato che il Paese dovrà pagare un prezzo se uno degli ostaggi presi da Hamas verrà ucciso. Dopo aver risposto “Si” alla domanda diretta se sia necessaria un’azione bellica, Graham ha corretto in parte il tiro affermando: “Se ci fosse una escalation di questa guerra contro Israele, darò la colpa all'Iran, ed è giunto il momento di metterli in guardia. Pagheranno un prezzo alto. Penso che se ci sarà una guerra con l’Iran la vinceremo, mentre è grave se non riusciamo a capire il collegamento tra l'Iran e l'attività terroristica di Hamas e Hezbollah.”
A parte colpire e causare danni, non ci sarebbe alcunché da vincere in realtà, soprattutto sul territorio iraniano. Vero è che all’indomani dell’attacco del 7 ottobre, i funzionari statunitensi e israeliani si sono affrettati a dire che non c’erano prove che indicassero un coinvolgimento diretto dell’Iran, ma è parsa una dichiarazione troppo rapida che ha destato il sospetto che si volessero evitare scontri diretti in questo momento.
La differenza sul piano militare sarebbe enorme, le forze militari iraniane non sono equipaggiate né preparate per difendersi contro azioni ad alta capacità come quelle statunitensi, impossibile paragonare un budget militare di 816 miliardi come quello di Washington contro uno da 25 miliardi stanziato da Teheran. La Casa Bianca ha dichiarato fin dall’inizio della crisi che un intervento armato capillare avverrebbe soltanto nel caso in cui l’Iran aggredisse Israele, ma attualmente ciò sarebbe possibile soltanto usando la Marina, dotata, oltre a unità leggere, di quattro obsoleti sommergibili e di nove fregate. Che però non passano inosservate nei loro spostamenti, devono trovare una strada diversa da Suez né si possono nascondere agli occhi dei satelliti militari che proteggono la Sesta flotta della Marina Usa e ora anche il territorio israeliano.
Non si potrà quindi trattare di una eventuale guerra tra forze armate regolari quanto di azioni da parte di milizie armate, allertate da quanto affermato dal ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian: “Se le aggressioni sioniste non si fermano, tutti i partiti arabi della regione avranno il dito sul grilletto.” Di fatto però l’Iran è un attore “statale” che controlla e coordina attori “non statali” come Hamas, le Milizie affiliate a Teheran in Siria, Iraq e Yemen; e il più potente di tutti, la libanese Hezbollah o “Partito di Dio”, ed è ciò che il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, chiama “l’asse della resistenza”.
La Cisgiordania è il potenziale punto critico per l’approvvigionamento delle armi, non a caso Israele accusa l’Iran di farle passare attraverso la Siria per creare un secondo fronte e rifornire le milizie e rapporti dell’intelligence successivi al sette ottobre suggeriscono che alti funzionari iraniani fossero in stretto contatto con Hamas prima dell'attacco. In particolare, il generale Esmail Ghaani, capo della forza Quds del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (Irgc), responsabile delle operazioni militari clandestine extraterritoriali, pare abbia incontrato a Beirut il 2 ottobre i leader di Hamas e Hezbollah per sostenere un piano di incursioni simultanee aeree, terrestri e marittime nel sud di Israele, ma naturalmente l’Iran ha accolto con favore l’attacco, ma nega il suo coinvolgimento.
Bisogna però considerare che dal punto di vista strategico, la preoccupazione dell’amministrazione Biden per l’Ucraina e Taiwan, viste da Taiwan appaiono opportunità, mentre il ritiro dall’Afghanistan e dall’Iraq, nonché la riabilitazione del regime siriano, rafforzano la percezione internazionale che gli Stati Uniti stiano perdendo influenza e interessi nel Medio Oriente. La crescente belligeranza dell’Iran deriva anche dal rafforzamento dei legami con Cina e Russia, ora un grande cliente di armi. Risultato: ieri 16 ottobre il Pentagono ha allertato 2.000 soldati affinché si preparino a schierarsi in risposta al crescente conflitto tra Israele e il gruppo militante palestinese Hamas, con precedenza tra gli specialisti in logistica, medici e artificieri. Ciò che il Pentagono non ha specificato alla stampa è però se le truppe potranno essere schierate all’interno dei confini d’Israele o se il personale si occuperà di località fuori dal Paese.
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