Pochi mesi e l'Iran avrà la sua bomba atomica
Nucleare iraniano: l’Agenzia internazionale un mese fa avvertiva: l’arricchimento continua, possibile un’arma sporca pronta in sei mesi. Ed Israele farà di tutto per fermare questa corsa
Dopo l’attacco a Israele da parte dell’Iran, su un fatto tutti gli analisti militari sono d’accordo: questa è un’occasione unica per eliminare il pericolo nucleare della Repubblica Islamica. Nonostante i sabotaggi israeliani degli anni scorsi, i patti decaduti e poco rispettati per frenare l’arricchimento dell’uranio, anche l’agenzia internazionale per l’energia dell’atomo (Aiea) avverte: “Teheran procede spedita nel processo, arrivato oltre il 60%, il che significa poter disporre di un ordigno magari sporco e limitato nella potenza, ma letale.” Si consideri che per uso bellico si usa uranio arricchito oltre il 90%, e che di fatto dal 2018 al mese scorso gli ispettori dell’Aiea hanno osservato la produzione passare da zero a più di 300kg al febbraio scorso. Stando invece ai rapporti dei servizi israeliani oggi l’Iran avrebbe già sufficiente combustibile nucleare altamente arricchito per creare tre armi atomiche, ma prima di poter costruire missili balistici con testate nucleari, Teheran dovrà condurre diversi test e imparare a gestire il nuovo comparto armato – e qui l’aiuto cinese e russo si sta rivelando essenziale – tutte manovre che però, e questo è un vantaggio per l’Occidente, sono tracciabili perché difficili da nascondere. Ovvero: la realizzazione di un ordigno nucleare grezzo potrebbe avvenire in soli sei mesi dalla presa di una decisione, mentre per superare le sfide legate alla costruzione di una testata nucleare trasportabile tramite un missile richiederebbe più tempo, forse due anni.
I documenti rubati da un magazzino di Teheran dagli agenti israeliani nel 2018 avevano confermato quanto affermato dagli Usa in precedenza, ovvero che dal 2000 al 2003 e poi dal 2015 l’Iran aveva lanciato un programma accelerato sul progetto di arma nucleare. Alla luce di questa situazione la risposta di Israele all’attacco di sabato sera potrebbero certamente essere i laboratori e gli impianti nei quali si arricchisce e conserva la riserva di uranio, sui quali negli ultimi 15 anni ha sviluppato una visione precisa delle attività e una conoscenza approfondita finanche dei tecnici specializzati che ci lavorano. Ma contrariamente all’episodio dell’ambasciata iraniana in Siria colpita con bombe di precisione il primo aprile scorso, che aveva come obiettivo l’uccisione del generale Reza Zahedi e che ha causato pochi danni collaterali, in caso d’attacco ai siti nucleari la possibilità di provocare perdite di radiazioni sarebbe elevata.
Gli Stati Uniti hanno invitato il governo di Netanyhau ad astenersi da questo colpo, sia perché di fatto causerebbe una reazione ulteriore da parte di Teheran, sia perché non ci sarebbe ancora una vera urgenza di neutralizzare degli ordigni pronti per essere usati. Ma nel momento preciso in cui la prima bomba nucleare iraniana dovesse essere pronta per essere lanciata, l’esistenza stessa di Israele sarebbe in pericolo e questo certamente non sarebbe accettato neanche dagli Usa. Che in quel momento avrebbe motivo e opportunità per fare ciò che l’ex presidente George W. Bush avrebbe dovuto fare vent’anni anni fa, ovvero sferrare un colpo fatale alle ambizioni nucleari di Teheran. Con un vantaggio che in epoca pre-elettorale non guasta: fornire un forte contrappunto alle accuse di Donald Trump secondo cui Joe Biden sia debole.
I siti di arricchimento, tra bunker e montagne
Il programma nucleare iraniano è nascosto nelle profondità del sottosuolo, in una fabbrica costruita all’interno di una montagna appena a nord-est di Qom, un'antica città, luogo di pellegrinaggio, nell'arido Iran centro-settentrionale, ai margini del Grande deserto salato. L’impianto, noto come Fordow, è il santuario interno fortemente protetto del complesso nucleare, una destinazione nota agli ispettori internazionali le cui visite hanno lo scopo di garantire la rinuncia a qualsiasi tentativo segreto da parte dell’Iran di costruire bombe nucleari. Il secondo impianto di arricchimento, che è anche il più esteso, è a Natanz, a sud di Qom, dove le scorte di U-235 al 60% ammontavano a quasi 140kg nel febbraio scorso, data dell’ultima visita di Aiea.
Prima dell’accordo sul nucleare del 2015 nei bunker di Fordow erano in funzione circa 3.000 centrifughe, cioè macchine cilindriche che ruotano a velocità supersoniche per creare una forma di uranio che contiene concentrazioni più elevate dell’isotopo U-235, la parte dell'uranio che può essere facilmente divisa per creare una reazione a catena, ma a Fordow si produceva solo uranio a basso arricchimento con una purezza dell’U-235 compresa tra il 3% e il 20%, tipico del combustibile all’uranio utilizzato nei reattori nucleari civili. Invece, durante l’ultimo viaggio degli ispettori, avvenuto nel febbraio scorso, il rapporto da loro pubblicato nel marzo 2024 è stato ritenuto allarmante. Laddove nel 2015, per l’accordo Jcpoa poi cancellato da Trump nel 2018, era stato fermato il processo di arricchimento c’è un’attività frenetica: apparecchiature appena installate, produzione di uranio arricchito a velocità sempre più elevate e, in generale, un’espansione tale da far pensare a una corsa al raddoppio delle capacità dell’impianto. Con dettaglio: il livello di arricchimento era tale che a Fordow si stava producendo materiale fissile appena al di sotto del livello utile per produrre ordigni e i tecnici iraniani responsabili dell’impianto avevano cominciato a parlare apertamente di ottenere la “deterrenza” lasciando pensare che Teheran ora aveva tutto ciò di cui aveva bisogno per costruire una bomba, se avesse voluto. Ma è chiaro che sei anni dopo la decisione dell’amministrazione Trump di ritirarsi dal patto di limitazione del nucleare iraniano, oggi sono decadute le restrizioni lasciando la Repubblica Islamica più vicina alla capacità di possedere armi nucleari che in qualsiasi momento della sua storia.
Le dichiarazioni contradditorie
Quando si parla di Iran bisogna sempre circostanziare quanto viene dichiarato al fatto che il paese sia una Teocrazia dalla dottrina inflessibile. Così non stupiscono le dichiarazioni contradditorie che sono state fatte da Teheran, in palese contrasto tra loro. Da una parte, quella rilasciata dal leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, che aveva emesso una fatwa – o editto religioso – contro le armi nucleari nel 2003, ha ribadito la sua opposizione ufficiale in un discorso del giugno 2023, dichiarando che le armi di distruzione di massa sono “contraddittorie con l’Islam; i paesi occidentali sanno molto bene che non stiamo perseguendo armi nucleari”. Non soltanto, Teheran aveva anche fatto notare che spesso i governi occidentali peccano di ipocrisia nel concentrarsi sul programma nucleare iraniano senza dire nulla su Israele, un paese dotato di armi nucleari che non è soggetto alla supervisione dell’Aiea. Al contrario, in un’intervista alla stampa inglese avvenuta nel gennaio scorso, il direttore dell’agenzia iraniana per il nucleare “Aeoi”, Mohammad Eslami, aveva affermato espressamente: “La deterrenza è stata ottenuta con l’aiuto di dio, senza dover violare alcuna norma o regolamento”. E così gli F-35 israeliani sono pronti a colpire.
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