La Russia vende i suoi caccia Su-57 all'Algeria, 300km da Cagliari
L’Algeria si arma, a cominciare da jet russi e sottomarini tutto con l'appoggio di Mosca e davanti alle coste di casa nostra
Secondo gli analisti militari di area anglosassone per dare il via al contratto tra Russia e Algeria per la fornitura di velivoli Su-57, del quale si parla dalla primavera scorsa, mancherebbe soltanto la firma. Oltre agli aeromobili, che sono del tipo stealth e rappresentano lo stato dell’arte della produzione russa, ci sarebbero anche bombardieri Su-30 e Su34, missili antiaerei S-400, ma soprattutto la richiesta algerina di dotarsi di sommergibili e sistemi di guerra elettronica. La maxi-fornitura porterebbe Algeri a spendere 12 miliardi di dollari in un quinquennio, ed anche se non è ancora stata resa nota una cifra ufficiale pare che il governo si prepari ad approvare una spesa militare enorme, portando il bilancio della Difesa a circa 22 miliardi. Se ciò dovesse verificarsi, l’Algeria supererebbe l’Egitto nel rapporto tra spese militari e Pil, diventando la numero uno in Africa per investimento negli armamenti.
Come se non bastasse, l’esercitazione aeronavale congiunta tra Russia e Algeria avvenuta poco tempo fa nel Mediterraneo ha prodotto la reazione degli Stati Uniti, che non si è fatta attendere: alcuni membri del senato hanno proposto l’approvazione di un pacchetto di sanzioni per colpire Algeri. La questione è complessa e affonda le sue radici nell’alleanza tra il Marocco e gli Usa, con il sostegno di Washington a Rabat nella questione della difesa dei territori del Sahara occidentale, dove il Fronte Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro (o Fronte Polisario), finanziato da Algeri, dagli anni ’70 mira all'autodeterminazione, e nel risultato degli Accordi di Abramo del 2020, dopo i quali il Marocco ha ristabilito pieni rapporti con Israele.
Un altro buon motivo perché l’Europa prenda una posizione netta riguardo la sua ipotetica difesa comune. Se l’Algeria divenisse una potenza militare vicina a Mosca nel Mediterraneo gli scenari geopolitici attuali cambierebbero radicalmente. Per la Nato si aprirebbe un fronte sud complesso da gestire e molto – troppo – vicino, sul quale dovrebbe porre un controllo molto stretto. Mosca invece potrebbe disporre più facilmente di un avamposto in Nord Africa, da dove ha dovuto spostare i suoi contractors verso l’Ucraina per rimpiazzare le perdite subite. Che Mosca riesca effettivamente a produrre abbastanza armi per soddisfare le sue esigenze belliche e al contempo le richieste di esportazione non è scontato, del resto nel 2020 dichiarò che avrebbe avuto a disposizione 75 velivoli soltanto nel 2028, come non è scontato che l’aviazione algerina riesca in tempi brevi (2-3 anni) a raggiungere un livello di prontezza ed efficacia preoccupanti. Ma nell’ottica di prepararsi al peggio, ovvero in futuro di poter subire un attacco da parte di caccia Su-57 provenienti da basi come Annaba, dobbiamo ricordarci che essa dista soltanto 280 km da Cagliari.
Quanto al Su-57, secondo i russi potrebbe vincere confronti diretti contro l’F-35 perché più manovrabile; tuttavia, è noto che a fare la differenza nella supremazia aerea oggi sono sistemistica ed elettronica. E a parte una bassa impronta radar e infrarossa, il velivolo non pare essere così competitivo contro quelli occidentali.
A spaventare sarebbero invece le capacità del russo a operare insieme con droni Su-70, in grado di estendere la raccolta di informazioni del radar ad apertura sintetica, come quelli occidentali, e sensoristiche, nonché di calcolare autonomamente la situazione dello scenario di battaglia. Ottimi motivi per portare avanti la partecipazione italiana in programmi come Tempest (il caccia di sesta generazione in fase di studio con regno Unito, Svezia e probabilmente Giappone), e in quelli europei legati alle politiche si sicurezza e difesa come la Cooperazione strutturata permanente (Pesco). Non c’è infatti soltanto la Russia a preoccupare: durante il salone aerospaziale di Zhuhai, in Cina, il caccia J-20 è apparso in nuovi esemplari realizzati in quattro lotti, dimostrando anche in volo di continuare a fare progressi nel colmare il divario con i progetti di velivoli a bassa osservabilità degli Stati Uniti.